Golia,
appena nato, pesava dodici chilogrammi. Eccezionale. Come eccezionale fu il ritmo del suo
sviluppo: era alto e forte. Tutti i bambini, intimoriti, si rifiutavano di giocare con
lui. Diventó introverso e cattivo e guardava tutti come un animale. Metteva paura. Poi,
da quando i media cominciarono ad interessarsi a lui, i genitori decisero di trasferirsi
in un luogo appropriato dove prendersi cura personalmente del loro prodigioso, ma
preoccupante, figliolo. Golia diventó per tutti un brutto ricordo, finché, molti anni
dopo, un giornalista decise di intraprendere una ricerca che lo portó ai limiti della
stessa grande cittá.
Una notte, il giornalista stava guidando lentamente per le vie buie di un complesso
industriale semiabbandonato. Il pesante sferragliare di un cancello e una luce fioca lo
invitarono ad indagare.
Parcheggió e fece il giro del caseggiato camminando in silenzio. Le finestre erano alte e
l'unico accesso al suolo era fornito dall'enorme portone. Tentó un'altra ispezione e si
ritrovó davanti al portone aperto. Entró senza esitare. Un'alta parete, che seguiva
parallelamente i muri perimetrali, delimitava un ampio corridoio.
Il giornalista si
avvió; a giro ultimato, peró, il portone era chiuso. Ebbe il tempo di realizzare che non
poteva fuggire, che si sentí sollevare da terra, le braccia serrate al corpo. Senza tanti
complimenti, il gigante scaglió violentemente il giornalista in un angolo della
mastodontica dimora.
Golia, ventidue anni, alto quasi quattro metri, il palmo delle mani di cinquanta
centimetri, non si curava troppo dei lamenti dell'intruso. Il giornalista lanció un urlo
e Golia gli si scaglió contro, lo prese per la testa con una mano, se lo avvicinó alla
bocca e con un morso gli staccó mezza faccia.
Masticó, sospirando profondamente, e deglutí il boccone. I due bambini nel frigorifero
li avrebbe mangiati dopo. Morse ancora la faccia insanguinata del giornalista. L'orco
viveva.