L'infermiera
continuava a ripetermelo e io l'ascoltavo, incapace di ribattere, odiandola con tutto me
stesso.
"Tua madre è morta! È morta di parto, ed è solo colpa tua!"
Me lo diceva sempre, mentre mi lavava, mentre mi puliva, mentre mi vestiva, solo per il
gusto di farlo, per quell'onnipotenza di cui credeva d'essere investita.
Ero nato solo da poche giorni e già quella donna mi feriva, credendo che un neonato non
potesse sentire, o ricordare, o provare dolore e rimorso anche a quella età.
Se la prendeva un po' con tutti in quella stanza, ignara che qualcuno l'ascoltasse per
davvero, ma evidentemente tra i tanti neonati io ero il suo preferito.
Stava lì, di fronte a me, svettando imponente con la sua statura di donna adulta e con
l'accusa sempre viva negli occhi piccoli e miopi.
Pareva una cariatide di marmo tanto era fredda ed insensibile, remota come un fossile
polveroso.
"La colpa è solo tua" mi disse un giorno quando finii tra le sue grinfie per la
poppata, "tua madre è morta di parto per un essere come te! Tu non sei un bambino,
sei un orribile demonio!" Sbraitò quelle parole con ferocia, digrignando la bocca
piena di putridi denti giallastri.
Il mio odio crebbe a dismisura, al colmo delle umiliazioni e del dolore. Quella donna non
immaginò mai, prima di morire, quanto avesse avuto ragione.
Nella mia mente parole di fuoco si formarono, inespresse, ma mortalmente letali.
"Preferirei che fossi morta tu di parto!"
L'infermiera d'improvviso piegò in avanti il corpo, ansimando tra le convulsioni e
accasciandosi priva di vita sul pavimento. Solo un rivolo di sangue scarlatto le macchiò
le vesti bianche, nient'altro. Piccole grida di neonati si levarono acute per salutare
l'evento.
Quella donna aveva ragione, ero davvero un demonio, in tutti i sensi.