La fuga

Mi ha inseguito per le vie del centro fino alla fermata dell’autobus. Una volta preso il numero sette, che ho scelto senza riflettere in preda all’angoscia invece di salire sul solito numero quattro, credo di essermi finalmente liberata di lui. Lo spazio al centro tra le due file di sedili è congestionato dalle persone in piedi, che a fatica si mantengono in equilibrio alla curve e con le frenate brusche. Persone normali, che fanno la loro vita normale: qualcuno torna a casa dal lavoro in ufficio, altri sono passati dal supermarket a fare un po’ di spesa, c’è anche qualche studente da poco uscito dall’Università. La gente normale mi sta tranquillizzando, mi sento protetta, nessuno può farmi niente di male tra tutte queste persone. Decido di rivolgere la parola a un anziano per distogliere la mente dalla brutta esperienza appena vissuta. Gli anziani parlano sempre volentieri con gli sconosciuti per sentirsi ancora considerati.
“È iniziata una buona primavera, dopo il freddo invernale adesso si sta bene.”
“Ha proprio ragione signora, una bella donna come lei avrà dei progetti per le vacanze di Pasqua.”
“Non so, mio marito lavora fino alla vigilia, credo che non ci muoveremo molto, probabilmente solo per il classico giro di Pasquetta.”
“Vada a San Gemignano, è un borgo incantevole, molti lo scelgono per una gita primaverile.”
“La ringrazio del consiglio. Sono arrivata, arrivederci.”
Scendo alla fermata del cimitero, ma non so nemmeno io perché lo faccio. Me lo chiedo e non so darmi davvero una risposta, ma non fa niente. L’essenziale è averlo seminato una volta per tutte. Non abito distante da qui, tornerò a casa a piedi, fa bene passeggiare.
Ma nel momento in cui l’autobus riprende la sua corsa, me lo ritrovo davanti. Come è possibile? Allora aveva preso anche lui l’autobus e mi ha spiato fino a quando sono scesa dal portellone anteriore, mentre lui è sceso da quello posteriore. Deve essere andata in questo modo, ma adesso l’unica cosa sensata è tornare a scappare in cerca di aiuto. Ho fatto bene a fermarmi al cimitero, dove di sicuro troverò qualcuno che mi darà un passaggio fino a casa. Per il momento non voglio chiamare la polizia, anche se adesso tengo la mano sul cellulare riposto nella borsa e ho già digitato il 112. Il mio inseguitore non mi ha ancora detto niente di minaccioso, anzi non si è proprio avvicinato, si è solo limitato a venirmi dietro mantenendo la debita distanza, più o meno sempre a una trentina di metri da me. Ha uno sguardo serio, ma non arrabbiato, perso nel vuoto, come se fosse un automa programmato per seguire i mie passi, senza un motivo.
Mi chiedo se sia tutto un grave errore, un assurdo fraintendimento. Forse non mi sta seguendo, sta soltanto facendo la mia stessa strada e ha questo sguardo perso perché è diretto alla tomba di un parente e sta pensando alla sua scomparsa, che magari è avvenuta di recente. Sono io che mi sono allarmata in modo eccessivo.
Ma adesso mi sta guardando, con i suoi occhi che sembrano osservare il vuoto, anche se sono puntati verso di me. Ha un aspetto sgradevole. È basso e, malgrado la giovane età, molto grasso. Il suo corpo appare deformato dalla pancia che compatta si allunga sopra il pube, mettendo in tensione i bottoni della camicia. La sua barba ispida, poco curata, e gli occhiali scuri devono nascondere un viso che non lo soddisfa, brutto agli occhi dell’altro sesso. Lo sento, il suo aspetto spiacevole deve averlo spinto a odiare le donne che lo rifiutano, ma perché adesso si è messo in testa di seguire proprio me?
Un uomo di mezza età è il primo incontro che faccio nel cimitero. Mi avvicino in modo discreto, cercando di non metterlo in agitazione.
“Conosceva anche lei mia moglie? - mi dice - Era una sua collega alla motorizzazione? Grazie per essere venuta a vedere la sua tomba.”
“La prego, mi ascolti devo dirle una cosa importante...”
“Ah no, non vorrà mica tirare fuori anche lei quella vecchia storia di quando fece la spia alle colleghe andando dal direttore. D’altronde aveva ragione ad accusare la brutta abitudine di uscire a turno per fare la spesa. Nell’orario di lavoro si lavora...”
“La prego mia ascolti, io non so niente di questa storia e tantomeno conoscevo sua moglie.”
“Allora lei chi è?”
“La prego di aiutarmi, da alcune ore un uomo giovane, questo brutto ciccione che si è fermato a una decina di tombe da noi, mi sta inseguendo. Non so chi sia e mi fa paura.”
“Senta signora io non voglio saperne niente di questa storia, abbia un po’ di rispetto, ho perso mia moglie da appena una settimana per un tumore al cervello, mi lasci stare.”

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L’uomo si allontana di scatto e mi ritrovo ancora una volta sola con il mio inseguitore, l’unica cosa che posso fare è riprendere a fuggire. Devo uscire dal cimitero e chiamare mio marito, di sicuro mi verrà subito a prendere.
Come, non c’è campo! È impossibile, se vengo a fare visita alla tomba dei miei suoceri mi squilla sempre il cellulare. Quando è un’amica che vuole sapere se possiamo uscire insieme, quando mio marito o miei figli che vogliono che torni a casa, quando il datore di lavoro per farmi le sue solite lamentele. Chissà perché non ho telefonato prima, quando ne avevo ancora la possibilità. Adesso mi trovo isolata nel cimitero.
Lui continua a seguirmi a debita distanza, ma è imperterrito nel fare il mio stesso tragitto, che adesso in realtà è solo un girovagare nervosa tra le tombe. Ormai non c’è più alcun dubbio, mi sta seguendo. Il sole sta per tramontare. La gente inizia ad andarsene e sono ormai tutti lontani da me. Vorrei anch’io raggiungere l’uscita, ma lui è rivolto proprio verso quella direzione. Io mi trovo nella parte opposta e sono talmente agitata, da addentrarmi sempre più verso l’interno del cimitero senza rendermene conto. Mi sono chiusa in trappola.
Vorrei gridare aiuto, ma temo da lui una reazione di violenza improvvisa; potrebbe essere armato e nel sentirmi gridare spararmi a bruciapelo, oppure raggiungermi correndo e pugnalarmi al petto. È grasso, ma sembra abbastanza agile, almeno per la sua stazza, ed è sicuramente capace di spostarsi velocemente. E allora vediamo chi corre più veloce. C’è un’uscita secondaria sulla zona posteriore del cimitero, si raggiunge percorrendo un lungo viale tra le tombe a terra. Inizio a correre.
Quando ho attraversato oltre metà del tragitto mi volto indietro e non lo vedo. Sono riuscita a seminarlo. Sporco, brutto ciccione. È senza dubbio un maniaco, uno di quei perversi malati che godono nel far del male alle donne. Perché non se la prende con un uomo della sua corporatura, anzi no, di due metri e con una notevole struttura muscolare? Per fortuna sono scappata, se fossimo rimasti da soli mi sarebbe senz’altro saltato addosso.
Finalmente sono arrivata all’uscita posteriore, è fatta, sono salva. Appena fuori chiamerò subito mio marito per farmi venire a prendere. Insieme andremo alla polizia a raccontare cosa mi è successo, spero che lo prendano quel bastardo, probabilmente ha già commesso qualche reato grave. Oh no!
A un tratto è apparso al cancelletto dell’uscita. Basta non ce la faccio più. O mi lascia stare o gli sbatto la testa nel muro.
“Cosa vuoi da me? Vuoi dirmi cosa cazzo vuoi da me? Perché mi segui, perché mi spaventi? Chi cazzo sei?”
Urlo con tutte le mie forze, ma mi rendo conto che ho ancora una paura tremenda e dagli occhi mi scendono copiose le lacrime. Perché lo sto affrontando? Dovrei continuare a fuggire.
“Ma non mi riconosci?”, mi dice lui con uno sguardo sempre più serio, sempre più perso nel vuoto, malgrado i suoi occhi siano tornati a fissarmi con insistenza.
“Ma chi cazzo sei, perché dovrei riconoscerti?”, continuo a gridare in preda a un terrone cieco.
“Sono Freddy, Katia, il tuo Freddy, perché scappi?”
Quel nome entra nella mia mente come una pallottola, scavando in profondità per riportare in superficie la memoria, che era rimasta seppellita nell’inconscio. Freddy, certo il mio povero Freddy. Come ho fatto a non riconoscerlo. Il mio batuffolo di ciccia, l’unico uomo che abbia mai amato, al di là dei soldi e dell’aspetto fisico. Il tenero ragazzone che mi ha insegnato ad amare.
“Non ti ricordi, tuo marito ci ha scoperti nel mio letto.”
Adesso ricordo tutto. Ricordo di averlo subito amato fin da quando si è trasferito nell’appartamento che occupavano i miei suoceri. Ci vedevamo di nascosto nei bar di periferia e facevamo l’amore in macchina come i ragazzi. Poi io ho avuto la pessima idea di incontrarci a casa sua. Mio marito era in viaggio per lavoro e i bambini in gita con la scuola, ma Giorgio è tornato all’improvviso. È entrato da Freddy per chiedergli un anticipo sul pagamento dell’affitto, l’appartamento è suo e ha le chiavi, e ci ha scoperti.
“Ci ha storditi e poi ci ha impiccati al trave del soffitto, ricordi Freddy?”
“Certo. Abbiamo sbagliato, ma la sua vendetta è stata terribile.”
“Abbiamo sbagliato a fare cosa? Ad amarci? L’amore non si può comandare, è un sentimento puro, sei stato proprio tu a insegnarmelo.”
“Vieni. Adesso potremo stare insieme per sempre. Le persone riuscivano a vederci e sentirci perché in noi c’era ancora l’ultimo barlume di vita, essenziale per comprendere la nostra condizione.”
“Sì, guidami amore mio.”

Giampaolo Giampaoli



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