Un raggio
di luna svegliò Anton, era nella lurida cella dei suoi carnefici. La branda sfasciata, il
pavimento sporco dei suoi stessi escrementi, il fetore della paura che aleggiava intorno.
Aveva pianto, aveva gridato ma nessuno aveva avuto pietà di lui, si erano accaniti, lo
avevano torturato in nome di una scienza che non esisteva.
Cercò di tirarsi su, ci riusciva, non sapeva come potesse essere ma le sue gambe erano di
nuovo integre e forti. Le pietre fredde gli ferivano i piedi, ma lui non sentiva nulla.
Scrutò nelloscurità quella porta che aveva sempre sognato di abbattere, non
credette ai suoi occhi, era aperta.
Il carceriere aveva dimenticato di chiuderla, quando gli avevano portato la brodaglia che
loro chiamavano cibo. Non aveva più paura, era libero, libero di scappare e di ritornare
dove era atteso da chi lamava.
Silenziosamente varcò luscio, il corridoio
tetro era buio, non poteva desistere, era la sua opportunità. Sempre più veloce
cominciò a correre, sempre più lontano, fino ad essere inghiottito dalloblio che
lo circondava. Non aveva paura, lo confortava un unico pensiero, era libero e prima o poi
avrebbe rivisto la luce.
Un rumore sordo svegliò Anton, giaceva sulla sua branda, abbandonato nel dolore della
pazzia. Si tirò su e vide ciò che restava delle sue gambe, miseri moncherini avvolti in
bende insanguinate. Toccò il viso, era deforme come tutto il resto del suo corpo, a causa
del siero che continuavano ad iniettargli. Guardò la porta che lo confinava, era chiusa
con un pesante lucchetto. Il suono che laveva svegliato erano passi, il medico con
luniforme grigia tornava per ricominciare i suoi esperimenti. Un grido muto gli
morì in gola, era stato ingannato ancora una volta dal suo sogno ricorrente. Ricadde
disteso e rimase ad aspettare piangendo, lincubo stava per ricominciare.