“Come lo chiamiamo?”
“Adesso non ci pensare, cara.”
“Ma...”
“Respira.”
Respira, dice. Ma figurarsi se gli presterà attenzione. Ha la testa più dura
di un sasso. Se fossi al posto suo l’avrei ammazzata da un’eternità. Tanto
lo farò comunque. In fondo, è solo un ricettacolo e niente di più. Intanto,
le trasmetto nel cervello una serie di impulsi sonori. Qualcosa che possa
confonderla e calmarla un po’: note dissonanti di musica atonale; infrasuoni
captati da un altro mondo; vibrazioni che potrebbero essere state prodotte
da una sgualdrina morente; sussurri di vecchie che recitano preghiere
blasfeme mixate a rantoli di malati di cancro in agonia. E io, a modo mio,
sono un cancro. Anche se non lo sospetta. Non ancora.
Quando il dottore le diede la notizia, si mise a piangere come una
collegiale dell’ottocento. Ma era proprio ciò che cercavo: una cretina
scipita tutta manfrine e moine. Una scema che guarda telenovelas e sogna il
principe azzurro. Un principe l’ha trovato, comunque. Anche se non è
esattamente azzurro.
Tornò a casa e lo disse a quell’imbecille del marito. Il suo sperma era
acido. L’ideale per me. Mi ero insidiato nelle particelle del suo seme,
mentre si era concesso un rapporto sessuale con un trans, ovviamente
all’insaputa della gentile consorte. Nel momento dell’orgasmo, già che
c’ero, attaccai un morbo nell’organismo di quello scherzo di natura, né uomo
né donna, così, tanto per divertirmi. Mi hanno sempre detto che sono
dispettoso. E non lo nego. Un giorno scriverò un diario e vi annoterò tutte
le mie gesta. Mi farà piacere leggerlo.
“Respira...”
“Io...”
“Non ci vorrà molto.”
Be’, almeno per una volta il fesso ha detto una cosa giusta. Sto per venire
fuori. E dopo ne vedremo delle belle. Ma non anticipiamo. Dunque, dicevo?
Ah, sì, andò a casa e lo disse al marito. Il tipo apparentemente perfetto
che di nascosto si sollazzava con i trans. Si mise a fare salti di gioia
come un babbeo e dopo ascoltarono un cd melodico, uno di quelli aborti
musicali che ti fanno venire il latte ai coglioni. Perlomeno a me lo fanno
venire. Di solito preferisco altri generi. Tipo, l’industrial fragoroso che
suonano in certi rock club frequentati da un sacco di fighe gotiche. Che non
sospettano di essere infestate da colonie di entità minori. Ecco, quelle
così me le farei ad occhi chiusi. Ma non mi sognerei mai di sceglierle come
incubatrici. Per essere cattivo sono cattivo. Dispettoso pure. Ma deficiente
proprio no.
Poi incominciò la solita trafila. Lei che andava regolarmente dal ginecologo
e faceva tutto ciò che questi le diceva. Era un bell’uomo, gentile,
premuroso e raffinato. In segreto si vestiva da bambino e si faceva frustare
da una dominatrice professionista, recitando filastrocche. Non sospetta che,
utilizzando metodi che non spiegherò, sono riuscito a realizzare diverse
fotografie che lo ritraggono in quella situazione. Magari un giorno le
divulgherò, tanto per rovinargli la reputazione. Quando lei andava nel suo
studio, lui pensava che era una bella ragazza. Che forse sarebbe stato
carino trombarsela, dopo la gravidanza. In verità questi pensieri glieli
inviavo io. Lo facevo più che altro per tenermi in allenamento. E poi
diceva: “Non deve agitarsi. Ciò che le sta accadendo è meraviglioso. Una
nascita è il miracolo della natura.”
Potrei trovare frasi più originali nei biglietti dei cioccolatini. Ma la
scorfana si bevve quelle puttanate. Non potevo aspettarmi intelligenza da
parte sua. Di notte, mentre dormiva, la tormentavo con sogni inquietanti,
per farle crescere l’ansia. Io mi nutro di ansia. Ha un ottimo sapore. Non
mi sazio mai. La tormentai con l’immagine di un serpente squamoso che le
usciva dalla vagina, proprio in sala parto: scena degna di un b-movie.
Un’altra volta la feci quasi impazzire con una tortura onirica piuttosto
elaborata: lei entrava in una stanza, sorprendeva il marito che si divertiva
con una specie di escrescenza tumorale dalla pelle scagliosa e in parte
tatuata (i tatuaggi rappresentavano il Nazareno che divorava una murena
mentre, accovacciata ai suoi piedi, Maria Maddalena concedeva le sue grazie
a un nano abbigliato in stile fetish); quando, sdegnata, gli rivolgeva la
parola, il marito si metteva a ridere e dalla bocca emetteva strani
filamenti dorati, simili a saliva corretta con urina, e le diceva cose
orribili. Tipo che l’escrescenza era il figlio che portava in grembo. Che la
nascita imminente non era il miracolo della vita. Piuttosto un’espressione
di morte. Come colonna sonora dell’incubo, avevo scelto i Pink Floyd del
periodo Syd Barrett che sfumavano in una versione remix di un famoso pezzo
dei Gang of Four.
Altre volte, invece, la fottevo con allucinazioni porno che la facevano
venire e la indebolivano. A stento riusciva a respirare e diceva: “Il
bambino... mi sta svuotando... mi sta indebolendo...”
“Mi sto indebolendo” sussurra ora, con il marito accanto, circondata da un
medico e da due infermiere.
“Respira” la incita l’idiota, come un disco incantato.
“Non ci vorrà molto” dice il medico. “Ormai siamo a buon punto.”
Quello lo capirebbe pure un ritardato. Ma, del resto, non posso pretendere
troppo da quell’uomo. Per lui sono un bambino come tanti altri. Un pezzo di
carne incastonato all’interno di un utero. E poi ha le sue ossessioni: si
masturba osservando foto di ragazzini nudi e ha preso contatti con un tizio
che potrebbe procurargli eccezionali video per pedofili, a quanto dice. È
incredibile comprendere come le pulsioni negative imprimano ogni interstizio
del reale. I pensieri. I corpi. Gli oggetti. Tutto, insomma. Si tratta della
mia energia. Altro che miracolo della vita. La nascita, questa particolare
nascita (la mia), sarà la fine di tutto.
Ma la fessa non capirebbe. Certo, l’istinto, specie negli ultimi giorni, le
ha suggerito che qualcosa non va per il verso giusto. La depressione si è
fatta sentire nel corso di queste settimane. Stavolta non sono responsabile.
È semplicemente colpa della stanchezza. Della situazione in generale. Si
guardava allo specchio e si vedeva grande come una balena. Camminava con
fatica. Il mio veleno la intorpidiva. Il principe che va a trans non se ne
rendeva conto, concentrato sul pensiero della paternità. Ma che c’è di così
esaltante nell’essere padre o madre? Anche i vermi procreano. Tutti si
riproducono. La nascita è un dettaglio. Fare un figlio un mezzo per
lasciarsi dietro qualcosa. Per me ha la stessa valenza di una scoreggia che
molli in un ascensore.
E lei respira più velocemente. Perché mi sto spostando. Non faccio tante
cerimonie e me ne frego se è doloroso. Infatti, urla e devo ammettere che ha
una bella voce. Ho sentito grida simili solo una volta, quando un serial
killer che conoscevo fece un curioso gioco con una prostituta, utilizzando
pinze, aghi e fiamma ossidrica. Registrai su nastro la sessione omicida e la
ascoltai a lungo. Poi la diedi a qualche sottoposto. Se non sbaglio, oggi
circola come bootleg tra i cultori della morte. Ma questa qua non pensa alla
morte. Piuttosto alla nascita.
“Ci siamo” le dice il dottore. “E’ il momento.”
“Spingi, cara! Spingi!”
“Io...”
“Coraggio!”
“Fa male!”
Brava. Quanto sei acuta. Fa male, dice. Cosa credeva? Che l’avrei trattata
con i guanti? Che sono fatto di velluto? No, invece. Stai per espellere uno
stronzo maligno e duro. Un essere che distruggerà il creato, secondo le
profezie. È il momento, proprio come ha farfugliato il dottore. Nel suo
ventre, intanto, sento una specie di scossa sismica che per poco non la
spedisce all’altro mondo. Ogni tanto ho provocato terremoti, tsunami e
catastrofi di vario genere. Più che altro perché le avevo girate. Ecco,
adesso potrei considerare l’interno del suo corpo come un ecosistema da
distruggere. Un pianeta da atomizzare. Un racconto scritto al computer da
cancellare premendo un semplice tasto.
Tuttavia, avrò tempo per eliminarla. Non mi voglio perdere la possibilità di
farmi allattare da lei. Mordendole il capezzolo, la metterò al tappeto con
un morbo sconosciuto. Uno che potrei anche fare utilizzare da qualche
pazzoide che cerca di inventare nuove armi batteriologiche in uno qualsiasi
dei tanti laboratori esistenti. E a me l’inventiva non manca. E se creassi
un miscuglio di AIDS, Ebola e Parkinson?
“Eccolo! Lo vedo!” urla il dottore.
“E’ fuori!” dice una delle infermiere, che arrotonda lo stipendio
prostituendosi, mentre l’altra tace e pensa che, se fosse possibile,
lesbicherebbe con la mia fattrice, perché vederla in quelle condizioni la
eccita.
Esco dal ventre, finalmente, e lei, dopo l’urlo finale, ride e respira e
pure il suo ritardato ride; e ride il dottore; e ridono le infermiere.
“Ha... ha un aspetto... strano” dice lei.
E non hai ancora visto niente, troia; questo è solo l’antipasto.
“E’ normale” replica il medico. “Non appena nascono sono tutti un po’...”
“Ma i suoi occhi...”
“E’ un bambino sano ed è ciò che conta.”
Sano? A modo mio, lo sono. Bisogna vedere se sarà sana lei nelle prossime
settimane, eh eh eh... deve ancora affrontare il miracolo della vita. Di
questa vita, in modo particolare. La mia.
“Come lo chiamiamo, caro?”
Chiamatemi Satana, direi, se potessi parlare. Ma, intanto, mi preparo
psicologicamente per il taglio del cordone ombelicale. E aspetto. Le
profezie si sono avverate. La nascita si è verificata.