Diario

Racconto per il concorso "300 Parole Per Un Incubo", 2003 - edizione 2

Venerdì 13 agosto.
Ore 22:01.
Caro Boh! La vita è davvero di merda, ed io sto sempre più male.
La depressione è penetrata in me, si sta impadronendo del mio corpo, del mio tempo, del mio mondo. Come un morbo assassino cresce continuamente dentro di me, alla continua ricerca di nuovo cibo, nuovi organi da colpire. Penso che proprio adesso abbia finito di inghiottire il cuore, ma l’ingordo virus non si ferma.
Sembrava essere scomparso, sconfitto, eppure è riaffiorato così, inaspettato e apparentemente senza motivo, spontaneo. Vorrei reagire, combattere quest’oscurità alla stregua del sole all’alba con la notte; eppur mi ritrovo come l’ultimo sospiro di luce sconfitto dal tramonto.
Ci sto pensando, davvero.
Ogni notte sogno la Luce con la falce; di mattino mi sento sollevata nel sapere che presto arriverà a prendermi. L’altra notte però è stato diverso: una ragazza accompagnava la Luce; non so chi fosse; i suoi occhi, il suo sorriso erano tremendi; certo era bellissima, ma quell'espressione m’incuteva terrore.

Si tenevano per mano, sullo sfondo qualcosa di strano, forse l’Infinito, forse il Nulla. Serenità e angoscia; caligine e albore, amici per la pelle; gravoso il separarli, difficile un tradimento. In realtà ciò che mi attraeva, mi affascinava, era la ragazza: le ho sorriso e la sua espressione è cambiata.
Strano, ora sembrava felice nonostante alle sue spalle il buio avesse ucciso la luce. “Troppo amore”, ho pensato; fiduciosa le ho teso una mano. Prima che riuscissi a toccarla, me l’aveva già tagliata di netto. Il sangue sgorgava ma io non sentivo alcun dolore; solo Paura, decomposizione, lacrime; poi il risveglio. Un sogno, era solo un sogno. Ho continuato a piangere.
Poi ho capito di aver sbagliato: non dovevo svegliarmi. Sarei morta lì, nel sogno, e la mia mente non avrebbe più riconosciuto il dolore.

Daniele Giuliano