- Amore dovremmo più spesso concederci di queste serate, quasi quas...
-. La frase iniziata sul pianerottolo mentre la chiave apriva la porta fu interrotta da un
sordo rumore e poi un altro. Lei aveva lo sguardo assente, tratteneva ancora con due mani
parte della miniatura in marmo della Venere di Milo, regalo di nozze degli amici con i
quali avevano trascorso la serata. La rabbiosa rincorsa dell'oggetto e lo schianto sul
capo di lui avevano avuto tre conseguenze: un suono di ossa fracassate, un foro
irreparabile nella calotta cranica del suo uomo e la consapevolezza che quella statuetta
non poteva essere più riparata.
Erano passati quasi undici anni dal loro primo incontro e quattro dal loro matrimonio.
Cresciuti insieme sin dai tempi della scuola; è da lì che partirono i ricordi. Lei la
timida del primo banco, lui: l'incoscienza fatta persona.
Poi quel giorno al lago, schiene
sull'erba e nuvole sfumate; la prima sera con la pioggia insieme, gli esami, l'incontro
con i genitori di lui, le canzoni che riempivano le giornate, le loro vite che
coincidevano. Ricordi alla rinfusa e poi ancora: il passo lento fino all'altare con suo
fratello ad accompagnarla, tenersi la mano quel famoso 11 settembre, le risate che
svegliavano i vicini, la spesa insieme, la tovaglia solo per due, lui ai fornelli che era
un disastro e quel mondo che non era mai stato senza un sorriso, quel mondo che aveva
fatto "solo" il suo dovere... girare!
Il suo sguardo smise di fissare qualcosa oltre quel corpo che non reagiva allo scorrere
del sangue che ormai era arrivato fino al battiscopa, allentò la presa ed indossò di
nuovo quell'espressione di solarità che nasconde un leggero sorriso perenne. Si preparò
alla notte senza quel bicchiere d'acqua che lui le metteva ogni sera di fianco al letto,
socchiuse gli occhi senza spegnere la sua espressione.
... da un telefonino all'interno di una giacca da uomo, in modalità silenziosa, compariva
in chiamata un nome di una donna sconosciuta.