Oltre il
buio non c'era più niente: solo altro buio. Buio assoluto e impenetrabile, denso e
avvolgente da uccidere il più infinitesimale riflesso di luce. Sbatteva gli occhi come un
miope, lui che aveva una vista perfetta. Eppure vedeva tutto nero. Era così buio che
riusciva quasi a vederlo, ne era impregnato come una spugna.
In che buco era finito? Si aggrappò disperato agli ultimi ricordi: dormiva sotto la
pensilina della stazione, al solito posto. Poi più niente: solo buio. Era morto e
l'avevano già seppellito? Allungò una mano ma non sentì legno sopra la testa.
Incominciò ad urlare. La paura infantile del buio non gli era mai passata. Per questo
viveva in strada dove le tenebre non esistevano. C'era sempre un pezzetto di luna o un
riverbero di lampione a rompere la notte. Alla stazione poi la luce bianca non si spegneva
mai e lui adorava dormirci sotto.
Eppure non era un sogno, era perfettamente sveglio.
Precipitato nel peggiore dei suoi incubi. Scaraventato nel più terribile dei buchi neri.
Tremava e urlava. Disperazione infinita, angoscia incontrollabile: terrore allo stato
puro. Riuscì ad alzarsi e comincio a correre in tondo. Non sapeva dov'era e sbatteva
contro tutto. L'angoscia lo prendeva alla gola e lo soffocava. Il cuore ballava come
tarantolato. Doveva trovare un interruttore o una finestra. Sarebbe bastato una fiammella,
una lama di luce, un lontanissimo punto di riferimento nelle tenebre. E tutto si sarebbe
risolto. Oppure presto sarebbe impazzito.
All'improvviso i suoi occhi videro la luce e osservarono il volto sfocato di un medico che
sorrideva paterno. Ma lui gridava ancora nel buio. Perché i suoi occhi erano nelle orbite
di uno sceicco arabo e presto avrebbero visto le cose più belle del mondo. Lui invece
avrebbe urlato come un lupo impazzito per il resto dei suoi giorni.