Alice

Ci sono periodi in cui ti senti violento, in cui anche il gesto più dolce diventa violento, in cui sei sgarbato con tutti anche con le persone più affabili e indifese; anzi più ti ritrovi a fare i conti con una persona affabile e più tu diventi cattivo. La violenza è al servizio della viltà. Il violento è vile. Il vile è violento. La mia natura non è né vile né violenta, ma ci sono periodi in cui divento l’essere più cattivo vile e violento della terra.
Questo che sto per raccontare è il periodo più incazzato della mia vita. Non so quale fu la causa scatenante, probabilmente fu una miscellanea di eventi, un insieme globale di sottocause scatenanti che risvegliarono la parte di me più primordiale e meschina.
Un mattino all’alba verso mezzogiorno mi ritrovai a camminare per la statale 29, con le mani in tasca e gli occhi bassi, solo con me e la mia testa vuota. Un mattino verso mezzogiorno, mi fermai dinnanzi ad Alice senza guardarla negli occhi. Un mattino verso mezzogiorno non ebbi più voglia di parlare con Alice.
Le parole portano ai fatti. Un mattino verso mezzogiorno Alice mi invitò a mangiare a casa sua.

Gli errori più terribili si commettono per innocenza.
Un mattino verso mezzogiorno Alice aveva voglia di parlarmi dello spezzatino che aveva preparato. La sicurezza blocca il ragionamento, il dubbio lo incita. Un mattino verso mezzogiorno fa salire strane voglie. Non di spezzatino o forse anche.
Alice aprì la porta. Alice chiuse la porta.
“Ti senti diversa?”
“Per il viaggio a Londra o per l’altra sera?”
“Non avverti il cambiamento nell’aria?”
“Tutto cambia perché tutto rimanga uguale” citò rimestando lo spezzatino.
“Per l’altra sera” le dissi fissandola con gli occhi fissi.
Rise, lei, ignara del più immediato dei futuri. Risi io che avevo letto in anticipo la fine del racconto.
“E’ buono lo spezzatino... ti piace?”
“Sarebbe più buono con carne umana”
Rise ancora, risi anch’io.
“Com’è la carne umana?”
Mi provocava, non bisogna provocare mai nessuno. Non bisogna mai fidarsi totalmente di qualcuno.
Rise. Mi alzai con la scusa di lavarmi le mani. In bagno presi la lacca di sua madre, la lacca Wella. Il fatto che fosse figlia di una donna che usava la lacca Wella mi rese ancora più crudele.
Feci un giro intorno al tavolo, lei mangiava, lei non mi guardava, lei non immaginava.
Dietro la sua seggiola mi fermai per un attimo a guardarla mangiare. Non mi interiva più la mia dea. Le misi una mano sulla bocca e l’accecai con la lacca Wella. L’urlo rimbalzò sul mio palmo e ridiscese giù per la giugulare. Le tappai bocca e naso. Svenne.
La guardai esanime con la faccia riversa nello spezzatino. L’avevo amata tanto la mia dea, l’avevo amata davvero. Quando decisi di amare qualcuno cominci a salire una scala, ad ogni gradino il tuo amore cresce sempre più, fino al momento in cui arrivi all’apice della scala e scopri il dirupo.
Se continui ad amare ci cadi dentro. Cadi nell’odio. L’odio per una persona che hai amato è l’odio più feroce, il più pericoloso. Io avevo amato Alice con tutto me stesso e ora l’odiavo con tutto me stesso.
La spogliai, era la prima volta che la vedevo nuda: era l’ultima volta.
Era svenuta, solo svenuta. Non c’è mai fretta a morire e Alice voleva vivere fino in fondo.
Le spalancai le gambe. La sua carne bianca si fuse alla mia nera. Le sbattevo la testa contro il tavolo per farla rinvenire, volevo che se ne accorgesse, volevo sentirla urlare.
Rinvenne e risvenne, aveva gli occhi bianchi, urlò urla silenziose, senza forze, senza lacrime.
Non aveva poi tanta voglia di vivere. Meglio così. La guardai rinvenire un’altra volta. La guardai rinvenire e rantolare una parola tronca. La guardai svenire ancora e perdere la vita.
Come i medici decidono sulla vita dei loro pazienti, io decisi sulla sua morte.
Bluffai il destino. Avevo sempre sognato di dire: “Ora del decesso 13.26”
Alice non c’era più, era soltanto un loculo al cimitero. Alice non c’era più, lo avevo deciso io. La preparai e mangiai il suo spezzatino, la carne umana è dolce simile a quella del cavallo.
Andandomene immaginai le teorie della polizia riguardo al braccio mancante. Sette sataniche, suppongo, come al solito. Non c’è più religione? Non ce n’è più? E Alice? Neanche. Alice chi? Non c’è Mai stata.
Me ne tornai nella mia Drake’s Heaven e fui in pace.

Chiara Borghi