Il mio
corpo effondeva ancora nellaria lodore tiepido di quella fanciulla e la mia
retina, in modo armonico, seguitava a riflettere i suoi giovani seni appena assaporati e
quei glutei densi e così ondeggianti che scriverne ancora oggi mi riesce faticoso.
Dovrei dire poi che qualcosa di terribile avvenne ma che non è onesto ripetere cosa fu.
Ma non ci riesco. E un macigno troppo ingombrante per lasciarlo intatto.
Ricordo che chiusi la porta di quella angusta dimora lasciandomi dietro il chiarore oscuro
di una luna troppo sferica. Sentii poi un alito di vento sibilante e mi ritrovai nel buio
solitario della mia stanza. Misi il chiavistello, mi avvicinai alla branda e le venature
incandescenti di due pupille incavate si sollevarono dal mio letto.
Così mi apparve quel servo del vampiro, con gli occhi infossati, le sopracciglia folte ed
unite tra loro, peli sui palmi delle mani e sulle piante dei piedi, mani larghe, un dito
medio eccezionalmente lungo.
Il ricordo ancora oggi mi risveglia dei brividi impalpabili su tutto il corpo e il senno
che in quegli attimi principiò a pulsare così rabbiosamente oggi continua a lacerarmi il
cuore.
Non mi ricordavo più come si ammazzavano i licantropi.
Bastoni di frassino, croci, pentole di zolfo.
Il mio pensiero era inebriato dallerba fumata con la mia piccola e il cuore pervaso
dai troppi calici di assenzio bevuti per stupirla.
Mi saltò addosso fissandomi con quegli occhi scintillanti di luce lunare in un pianto
affascinante e misterioso e istintivamente presi il paletto appuntito dalluscio di
legno e con tutta lenergia che avevo glielo conficcai nel petto.
E così che lho ucciso. Dimpulso. Senza ricette o stregonerie.
Non sapevo che fosse mio padre. I primi peli cominciarono a infoltirmi il petto ancora
adolescente soltanto dopo molti pleniluni.