L'urlo
del citofono.
"Dev'essere Gianni, accidenti non sono ancora pronta".
"Vieni Gianni, sali pure".
Un forte rumore di cavi arruginiti rieccheggia nella tromba dell'ascensore.
La porta dell'appartamento è socchiusa, un'ombra vi scivola dentro e la chiude.
"Arrivo subito, il tempo di mettermi le scarpe".
L'ombra si muove verso la finestra e sposta le tendine, butta lo sguardo verso la notte,
l'eco di una frenata improvvisa tuona nel silenzio fatto di gatti neri che rovistano nei
cassonetti.
"Eccomi, scusa il ritardo. Ma perchè non ti sei tolto il casco?".
"Ma dove ho messo il cappotto?".
"Eccolo, finalmente. Sei silenzioso questa sera, qualcosa non va?".
"Se può consolarti neppure a me le cose vanno bene, sono due settimane che ricevo
minacce di morte al telefono. Ci mancavano pure gli psicotici adesso".
"Allora? Andiamo?".
Un muro d'attesa s'interpone fra loro.
"Ehi, ma si può sapere che ti prende, sei strano. Sicuro di star bene?".
In quel preciso istante un grido raggela il cuore della notte, dietro le tendine l'ombra
di un coltello si alza e colpisce un corpo inerme, zuppo di sangue.
La luce si spegne... silenzio.
Passano i minuti e qualcuno suona, forse è Gianni.