Pesanti
gocce di sudore e di paura mi scendono lungo la fronte e mi inzuppano i capelli. Respiro
malamente un'aria umida e maleodorante; mi trascino, scostando felci che urticano le gambe
e scavalcando liane che si aggrappano alle caviglie, verso l'unica fonte di acqua
bevibile. Melmosa, calda, ma bevibile.
Intorno nugoli di insetti si cibano del mio sangue e rettili schifosi sibilano schivando
il mio passo pesante.
Più lontano si intravvede, sotto sciabolate di luce accecante lo squarcio lasciato dal
napalm; il fuoco divampa ancora qua e là, aggiungendo calore a calore.
Intuisco, mimetizzati nella foresta, vietcong invisibili in agguato, pronti ad impedirmi
di raggiungere quell'acqua di cui ho tanto bisogno ("Non mi avrete, musi
gialli!"). Ma avanzo, nel pomeriggio torrido e spugnoso, trascinando i passi, intriso
di umidità e di sudore, i pochi brandelli di abiti appiccicati addosso; avanzo verso la
fonte, sto per raggiungerla...
Dling, dleng, fanno le monetine scivolando nella fessura, e, bong!, fa la bottiglia
lasciata cadere dalla macchinetta.
Torno in ufficio. Ahhhhhhh... aria condizionata, finalmente!
Sono nata nel 1953, sono impiegata. Da un paio di anni mi piace scrivere su argomenti vari, e mi diletto di brevi racconti. Non mi piace prendermi troppo sul serio, comunque.