E' sera, i campi intorno al paese sono laghi di buio e nebbia.
Sara scorge Viola seduta sul marciapiede della piazzetta, le guance ceree
solcate di lacrime, gli occhi smarriti.
“Cosa è successo, cara?” chiede appoggiandole una mano sulla spalla.
“Marco” balbetta la ragazza.
Sara guarda altrove, per nascondere la gioia: l’ha lasciata, ha funzionato.
Mamma dice sempre che sono sciocche superstizioni, ma poi si fa il segno
della croce e ringrazia il Signore che la vecchia sia chiusa all’ospizio.
Aveva trovato la nonna rattrappita in sedia a rotelle, lo sguardo opaco
perso nel muro del ricovero. Le aveva raccontato di Viola, la sgualdrina che
aveva incantato Marco, il suo amore. Lo rivoleva, a tutti i costi, senza di
lui non poteva vivere.
Con voce roca l’anziana aveva preso a cantilenare.
“In un braciere ardano sangue mensile, radici di rosa, crine dell’amato.
Sarete legati per sempre, per sempre, per sempre.” Poi aveva abbassato le
palpebre rugose e un rivolo di saliva le era scivolato sul mento.
“La moto è caduta... ha preso fuoco...” Viola singhiozza convulsa.
Sara indietreggia, le guance in fiamme e le mani ghiacciate.
“Marco è all’ospedale?” chiede con un filo di voce. Ha sbagliato qualcosa
nella sequenza, forse c’era troppo sangue.
La ragazza si rannicchia e piange più forte.
“Non sono stata io!” grida Sara.
Viola neppure l’ascolta, il volto affondato nelle mani.
Si guarda attorno come un animale braccato e scappa lungo la strada,
raggiunge un campo e si butta nell’erba bagnata.
“E’ colpa mia” ansima a occhi chiusi.
Un odore acre di benzina le brucia la gola, tossisce convulsa. Una mano le
sfiora la schiena, rigida come un artiglio. Sara sobbalza e apre gli occhi.
Labbra carbonizzate si avvicinano alle sue e sussurranno: “Legati per
sempre.”
“Per sempre, per sempre” cantilena la brezza sull’erba.