Penso
sempre più spesso alla morte. Nella solitudine di questa stanza buia, nell'oscurità
imperscrutabile della mia mente. Non ho ragione di credere che la vita sia così
meravigliosamente piena di bellezza come la descrivono i più illusi poeti, o così
infinitamente crudele come la dipingono coloro che ne sono rimasti tragicamente segnati.
Essa non è un grandioso dono o un cammino con i suoi ostacoli, discese e salite. È una
costrizione, uno stato che siamo obbligati a vivere, la nascita è la più sadica
crudeltà che la natura abbia mai creato, la consapevolezza è l'unico disperato appiglio
che ci rimane per liberarci di tutto questo.
I pensieri attraversano la coscienza mentre sento la follia lentamente cibarsi degli
ultimi brandelli di lucidità rimasti, il dolore lacera il cranio e fra poco perderò i
sensi. Spero di avere la forza di compiere l'ultimo gesto, di liberarmi della mia inutile
esistenza.
La mia piccola vendetta... la mia rivincita. Sarebbe banale asserire ora quanto facile sia
morire e quanto difficile vivere, ma per quanto semplice sia raggiungere la morte non è
forse lecito godersela fino all'ultimo respiro?
Penso sempre più spesso alla morte. Nella solitudine di questa stanza buia, nel fetido
calore di quest'acqua sporca. La ruggine della vasca mi riporta alla realtà, a questo
squallido motel, alle sue luci intermittenti, al suono che producono i piedi raggrinziti
dei topi, alla puzza di merda.
Il dolore si fa più forte quando la lama lacera i polsi, sento gli angoli della mia bocca
sollevarsi in un lieve sorriso all'immagine del sangue che sgorga dalle mie vene
seviziate.
Penso sempre più spesso alla morte, e ora che la vedo arrivare, mesta, con l'incedere di
una dea maestosa e inflessibile mi tornano alla mente le parole profetiche di colui che
lascivo la sedusse: "scenderemo nel gorgo muti".