Caro
Marco,
ti scrivo per farti avere mie notizie, è tanto che non ci sentiamo e mi manchi, come
spero sia io a mancare a te.
Qui, nel posto dove mi trovo, c'è una pace infinita. Il mare è uno sciabordio continuo
che mi culla e mi avvolge con la sua vastità. La luce è bandita, la penombra è la
regola. Il mio corpo galleggia, disfatto e senza peso, nella prateria di alghe vicino al
relitto della barca.
Te la ricordi la barca?
La tempesta non le lasciò scampo e quando affondò non facesti nulla per tentare di
salvarmi, pensasti solo a te stesso. Io rimasi prigioniero dentro lo scafo e ne condivisi
il destino.
Ma tu stai bene adesso?
Io sono sempre qui e ti aspetto. Non ricordo da quanto, ma con l'ostinata certezza che
prima o poi ci rivedremo.
Ora permetti che un vecchio amico ti dia un consiglio: vieni a trovarmi, vieni da me;
vieni perché, se non lo farai, una di queste notti sarò io a risalire dal profondo e a
giungere fino a te.
Ho trovato questo manoscritto dentro una bottiglia, vicino alla parte
vecchia del porto. Giaceva sulla sabbia portato chissà da dove dalla marea. La grafia è
incerta e la firma risulta illeggibile.
Una sera che non ricordo, all'osteria del Vecchio Veliero qualcuno ha raccontato una
storia simile. E c'è un tale di nome Marco, un pescatore, che abita non lontano da qui;
un tipo solitario col quale nessuno vuole lavorare, così che di notte è costretto ad
uscire in barca da solo.
Forse dovrei consegnargli questa lettera; o forse no