Torino si
adagiava dolcemente sotto ai suoi piedi, così bella con tutti quei colori pastello e
così magica con quella Mole che pretendeva di mediare le esigenze del cielo con le
ambizioni dei piccoli umani.
In quel bar allaperto in collina poteva godere di uno scorcio di panorama magnifico:
mai la città gli era parsa così interessante, ricca, stupenda e variegata nelle sue
infinite contraddizioni. Aleggiava un'atmosfera fantastica, surreale. Assaporò con gusto
la sua sigaretta, come se fosse lultima. Si ritrovò a percepire oceani di felicità
di cui non sospettava nemmeno lesistenza.
Era un giornalista famoso, lottava contro il male come uno di quegli eroi dei cartoni
animati giapponesi che si scagliavano contro le mostruosità perpretate dai presunti
cattivi, aveva una famiglia da sogno, godeva di ottima salute e il suo conto in banca era
inattaccabile. Si sentiva felicemente realizzato, soprattutto sorseggiando quella visione
paesaggistica che riempiva di bellezza il creato.
Stava vivendo sospeso nell'eternità.
Improvvisamente però si rese conto di non essere reale.
Lessere era comparso dal nulla. Era alto come un atleta di pallavolo, aveva dei
lineamenti da duro temprati dalleco di mille battaglie e aveva uno sguardo freddo e
determinato, tipico di chi sapeva di dover raggiungere nella vita un unico scopo. La mano
destra delluomo era serrata dentro la tasca di una giacca di jeans sgualcita.
Lentità si sedette al suo tavolo e disse soltanto due parole, chiare e indelebili:
Treblinka 1942.
La visione idilliaca della città lasciò il posto a pareti di cemento, uomini nudi dalle
carcasse scarnificate e forni crematori innalzati per la purificazione. Luomo
sparò. Era giusto così, le parti si erano invertite e il carnefice di allora adesso era
diventata la vittima. Buffo, pensò per lultima volta, in
questultima vita non aveva mai creduto nella reincarnazione.