Antonio
lavorava nel cimitero di Lambrate da trentadue anni e quel pomeriggio di ottobre lo aveva
trascorso lavorando sodo tra sigarette e rhum: il sole stava tramontando, disegnando sulla
collina del campo diciassette strisce dorate e rossastre, quando un grido alle sue spalle
lo fece sobbalzare. Gli venne la pelle d'oca e l'ansia gli si strinse intorno al cuore,
rendendo il suo respiro affannoso.
"Era la voce di tua moglie, vero?", una vocina stridula gli mise quel pensiero
in testa.
"No", sussurrò alla fossa che aveva scavato quel giorno, "Non è
possibile! Adele è morta da tanto tempo, da
", il suo fiato si interruppe,
come se qualcuno gli avesse serrato la gola improvvisamente.
"Fanno trent'anni oggi!", gli rammentò quella vocina stridula.
Il campo diciassette era un campo trentennale, dove i morti rimanevano seppelliti per
trent'anni e i parenti rimasti in vita potevano rinnovarne la permanenza per altri trenta.
Sua moglie, mentre moriva, gli aveva giurato che a quella scadenza sarebbe tornata
dall'oltretomba per portarlo con sé.
Antonio per tutta risposta aveva affondato ancora di più il paletto di legno nel suo
cuore, mentre dalla bocca le uscivano rivoli di sangue che macchiavano i canini lunghi e
aguzzi che le erano cresciuti nella notte.
Un altro urlo squarciò l'aria nell'imbrunire: il cuore di Antonio non resse e a causa del
malore cadde nella fossa.
Davide e Luca, due quindicenni nascosti dietro un cespuglio sulla collina, scesero di
corsa fra le tombe per soccorrere il vecchio, credendo che fosse accidentalmente caduto.
"Non dovevamo urlare così? Se si fosse rotto l'osso del collo?", Luca guardò
con apprensione gli occhi vitrei del vecchio.
"Andiamocene prima che arrivi qualcuno, sicuramente è solo ubriaco."
I due ragazzi scapparono a gambe levate, mentre alle loro spalle una fragorosa risata di
donna irrompeva nel silenzio della sera.