Il giorno
era appena cominciato, regalandoci un tiepido sole dopo giorni di pioggia e freddo.
Tutto era pronto per linizio della marcia e la selva di Teutoburgo era lì, davanti
ai nostri occhi, ultimo ostacolo tra noi ed i campi invernali. Una pattuglia mandata
preventivamente in perlustrazione, aveva individuato la strada migliore da seguire.
Lentamente la colonna si infilò nella foresta.
Carri e uomini a fatica procedevano nel fango.
Il buio si faceva sempre più fitto grazie alla folta vegetazione, ed un brivido percorse
la schiena di tutti noi, quando udimmo spettrali lamenti in lontananza. A nulla valsero le
esortazioni dei comandanti che ci ricordavano essere soldati di Roma e come tali, pieni di
orgoglio e fierezza.
Andammo avanti. Qualcuno di noi preventivamente sfoderò le armi, trovando in questo gesto
un po di sicurezza.
Ad un tratto apparvero loro. Creature vomitate dallinferno. Con i loro occhi di
colore bianco sporco ed i loro volti trasfigurati
Vivi ma senza vita. Demoni
assetati di sangue che si avventarono su di noi emettendo lamenti agghiaccianti. I colpi
di gladio ed i precisi lanci di pilum, erano come carezza per le loro carni putrefatte. Ci
presero lanima. Gli ufficiali, tra cui il nostro comandante Publio Quintilio Varo,
preferirono il suicidio quando ebbero la consapevolezza che Roma stava combattendo contro
demoni del male assetati di anime. Li invidiammo per avere avuto il coraggio di tale
gesto, risparmiandosi questa pena eterna.
Ora vaghiamo da secoli in cerca di anime da strappare.
Adesso sai, incauto archeologo, quello che accadde in quel giorno del 9 del periodo che
voi chiamate dopo Cristo. Conosci la mia storia, la storia di Marco Curzio, aquilifero
della XVII legione. Alzati ora che hai letto questo scritto, e guardati in uno specchio...
I tuoi occhi ti diranno che la tua anima adesso mi appartiene.