Non sapeva
perché avesse accettato il passaggio dello sconosciuto. In ogni caso, ora che si trovava
nell'abitacolo dell'automobile al fianco di quell'uomo così distinto, tutto quello che
poteva fare era sperare che quell'apparente disinteressata gentilezza fosse reale.
- Mezz'ora e sarai a casa. Mi spiace ma il tempo è davvero pessimo, non posso andare più
veloce di così.
Helen si affrettò a spiegargli che non c'era alcun problema, che era stato gentilissimo e
che, comunque, col treno avrebbe fatto ancora più tardi.
Intanto la pioggia, che nel corso della giornata era caduta incessantemente, si tramutò
nel volgere di breve tempo in una vera e propria tormenta di neve. Helen pensò che se
fosse continuato a nevicare in quel modo non avrebbero potuto procedere oltre . Il
pensiero di rimanere bloccata con lo sconosciuto all'interno della vettura le fece gelare
il sangue nelle vene, nondimeno una parte di lei cominciava a desiderare
quell'eventualità. Si vergognò con sé stessa per l'assurdo desiderio, eppure sempre
più si sentiva affascinata dalla gentilezza dei suoi modi.
Impugnava il cambio delle marce con dita sottili e nodose, che spesso portava alla testa
per accarezzare il nero corvino dei capelli. L'altra mano, poggiata sul volante, reggeva
una sigaretta dalla quale aspirava generose boccate di fumo. Il suo profilo era
assolutamente perfetto, ed Helen pensò che neppure il più abile degli scultori
dell'antica Grecia avrebbe potuto concepire una simile geometria ed armonia di linee.
Avrebbe voluto assaggiare la morbidezza delle sue labbra con baci caldi e profondi e
guidargli le mani su ogni centimetro della sua pelle. A distoglierla da quei pensieri fu
la voce stessa dello sconosciuto.
- Sono mortificato, ma non vedo come possiamo andare avanti. C'è un motel al prossimo
bivio, io mi fermo lì. Dovrebbe esserci un telefono, così potrai chiedere ai tuoi
genitori di passare a prenderti appena il tempo migliora. Posso prenotarti una stanza se
vuoi.
Helen non vide motivo per rifiutare l'invito dell'uomo che, anzi, la riempì di gioia ed
eccitazione.
Ma il motel in verità la deluse, e per un attimo si rimproverò di essere stata così
spregiudicata ed incosciente. Non era altro che una vecchia casa che qualcuno aveva deciso
di trasformare nel più miserevole degli alloggi. Una volta entrati li avvicinò un
piccolo uomo strabico e dall'incerta andatura che si presentò come Jeff. Li informò che
al momento una sola stanza era disponibile. Lo sconosciuto disse ad Helen che poteva
occuparla lei, sempre che i genitori le avessero permesso di trascorrere la notte fuori,
mentre lui sarebbe rimasto lì con Jeff ad ammazzare il tempo dialogando del più e del
meno e bevendo un po' di birra.
Ai genitori Helen disse di essere rimasta a casa di Christie. Promise loro di tornare
l'indomani appena le condizioni del tempo lo avrebbero consentito. Nonostante avesse avuto
l'impressione che la sua bugia fosse stata ascoltata dallo sconosciuto, questi sembrò non
essere affatto turbato dalla situazione, e la accompagnò nella stanza scusandosi con lei
per non essere riuscito a trovare un alloggio migliore. Giunti sulla soglia della porta
Helen, certa che nessuna proposta sarebbe arrivata dallo sconosciuto, fece appello a tutta
la sua maliziosa disinvoltura per invitarlo a trascorrere la notte con lei. Questi, non
senza imbarazzo, la ringraziò e girò la chiave nella serratura.
La stanza era addirittura più sudicia e misera di quanto non fosse il motel all'esterno.
Al centro di essa vi era un letto matrimoniale che, con una scrivania ed uno specchio
opaco, ne costituiva lo spartano arredamento. L'uomo appoggiò la ventiquattrore sulla
scrivania e si scusò con Helen per non essersi ancora presentato. Disse di chiamarsi
Clive, e sorrise alle sue stesse parole dicendole che era ormai disabituato a presentarsi
in maniera così informale, per tutti infatti era il dottor Baker.
- Che specie di dottore?
- Cardiochirurgo. E' un lavoro pesante ma dà tante soddisfazioni. Avrei voluto fare
l'avvocato, ma sai, mio padre è medico, così come mio nonno e tutti i miei avi dei quali
si ha conoscenza. Ho dovuto assecondare la tradizione di famiglia. Tu invece? Direi che
studi, ma cosa?
- Io? Sì, studio. Liceo classico. Ma un domani mi piacerebbe suonare il basso in una rock
band.
- Ah, il rock! Lo amo, credimi. Lo ascolto da quando ero adolescente ma ancora ho i
brividi quando sento una chitarra distorta!
E così, dopo che ebbero parlato per circa un'ora dei loro gusti in tema di musica e
letteratura, il dottor Baker le confessò di essere stanco e di aver bisogno di riposare.
Nessuno dei due sembrò imbarazzato dal fatto di dover condividere il letto. Il dottor
Baker si recò in bagno sbadigliando, per uscirne soltanto una decina di minuti dopo
correndo a piedi nudi verso il letto, ed imprecando per quanto fosse gelido il pavimento.
Giunto sul letto strinse a sé il corpo di Helen ed iniziò a baciarla. Helen si arrese al
suo abbraccio e con le mani cercò la cintura dei pantaloni. Trovatala, la sfilò con un
ardore che la sorprese. Una volta liberata la maestosa erezione dagli slip la accolse tra
le sue labbra e cominciò a suggere senza posa. Quindi fece scivolare il membro fuori
dalla sua bocca e prese a spogliarsi. Con un sorriso di compiacimento il dottor Baker la
vide sfilarsi di dosso il maglione e la lunga gonna : aveva un corpo esile e pallido, sul
quale risaltavano il nero del pube ed una grossa cicatrice all'altezza del ginocchio.
- Come te la sei procurata quella? - chiese il dottore indicando la cicatrice.
- Ah, niente di ché. Qualche anno fa sono caduta dal motorino e adesso mi porto dietro
questo ricordo.
- Anch'io un tempo caddi. Fu un precipitare così violento che l'intera terra ne fu
scossa. Nelle sue viscere si aprì un'immensa voragine. Tu riderai dell'accaduto, ma è
andata proprio così.
Ad Helen l'assurdo aneddoto ricordò quanto scritto da Dante nella Divina Commedia, ed il
suo stupore si tramutò in panico quando la voce del dottore, che intanto era divenuta
sempre più stridula e fastidiosa, prese a narrare di un luogo sublime e remoto dal quale
fu allontanato per la sua vanità.
- Avanti, smettila! Mi stai facendo paura Clive, basta adesso!
Helen si strofinò con violenza gli occhi, ché quello che vedeva non poteva essere reale:
il dottore aveva zampe da caprone!
- Helen - sospirò il demone - benvenuta nella mia dimora. Ti troverai benissimo. Qui
imparerai la poesia del perpetuo tormento. Guarda - le disse indicando le pareti- non sono
stupendi?
Come aveva fatto a non rendersene conto prima? Le pareti altro non erano che corpi cuciti
gli uni agli altri con folle e chirurgica precisione.
- Sono i dannati Helen. Sono tuoi simili, vuoi unirti a loro?
Il demone la raggiunse con un balzo e le afferrò con violenza le braccia. Helen era come
ipnotizzata, e non oppose resistenza quando lui la penetrò con il suo enorme membro.
Sentiva lo sperma insinuarsi tra le pieghe più riposte del ventre e scivolarle tra le
cosce. Dopo averla posseduta il demone la lasciò sola nella stanza. Gli occhi dei dannati
la scrutavano con avidità, e non avrebbe potuto essere altrimenti visto che a tutti erano
state strappate le palpebre. Intanto il suo nome era come sussurrato da una voce lontana.
No, non era proprio il suo nome, ma era comunque sicura che qualcuno la stesse chiamando.
Signorina, signorina?
Helen si destò di colpo, e ringraziò il signore alla vista dell'abitacolo della
vettura dello sconosciuto.
- Forse la neve ha un effetto soporifero su di lei. Mi spiace ma ho dovuta svegliarla:
penso sia giunta a casa.
- Mi scusi, mi sono addormentata. Grazie mille.
Lo sconosciuto la vide scendere dalla vettura ed allontanarsi verso un'indistinta
direzione, quindi premette lo zoccolo sull'acceleratore.