Che cosa
poteva desiderare di più Carlotta, quella sera, mentre si stava recando a far visita al
suo ragazzo dopo quasi due mesi di lontananza? Forse un tempo più clemente: altro non di
più. La ragazza, pur bruciando dallimpazienza di rivedere Edoardo, guidava la sua
auto con prudenza e procedeva lentamente nel freddo di novembre, quando nei prati e nei
campi, nelle vie e nelle piazze, nei sentieri, nelle strade, e in ogni angolo appartenente
al Vercellese, la nebbia si può tagliare col coltello talmente è bassa e fitta, mentre
il paesaggio è così lugubre che, qualcuno che non fosse originario di questa terra e vi
si trovasse a visitarla per la prima volta, forse, avrebbe timore di sentire in lontananza
addirittura l'ululato dei lupi. Per Carlotta, però, era diverso: lei era ben sicura di
conoscere quei luoghi e di ricordare a memoria ogni palmo di quella strada che aveva
percorso, negli ultimi quattro anni, per almeno tre o forse quattro volte al mese, fino ad
otto settimane prima, quando era stata costretta, per motivi di lavoro, ad intrattenersi
dai suoi genitori a Firenze, la sua città natale, poiché da quando il nonno paterno era
morto, non se ne poteva più di sgobbare nella piccola azienda di famiglia.
Carlotta ed Edoardo si erano conosciuti al mare, come succede a tanti altri ragazzi, ma
fin dall'inizio entrambi avevano capito che non si sarebbe trattata di una semplice
avventura: Edoardo era così dolce, premuroso, intelligente, non banale
diverso da
qualunque altro ragazzo lei avesse mai incontrato, ed era inutile nascondere che ormai i
due s'amassero di un amore vero; ma ahimè, quantera faticoso raggiungere quel
benedetto ragazzo! Lui, agricoltore, rimasto orfano in giovane età ed indaffarato ogni
mese dell'anno, come avrebbe potuto trovare il tempo per andare da lei? Ecco il motivo per
cui Carlotta non gli aveva mai chiesto di farle visita in Toscana, preferendo compiere
ella stessa il sacrificio di venire ad abbracciarlo in questo Piemonte grigio: tanto, i
sacrifici fatti per amore, non si possono neppure definire tali
L'auto si muoveva lenta nel fosco paesaggio autunnale in modo surreale e quasi magico, al
punto che, agli occhi di Carlotta, quel viaggio pareva un sogno che stravolgeva tutti i
luoghi comuni delle più belle fiabe d'amore, giacché era la dama, questa volta, a
correre incontro al suo principe azzurro, sfidando un drago invisibile che sbuffava denso
fumo nella campagna deserta di un regno formato da sterminati appezzamenti di terra nuda e
ghiacciata: erano questi i pensieri di Carlotta mentre scrutava la strada tentando, di
tanto in tanto, di scorgere un lume, anche distante, di un villaggio per rendersi conto di
quale fosse la sua reale posizione lungo la via che la conduceva verso l'agognata meta: ma
c'era grigia nebbia innanzi a lei, e nebbia alle sue spalle; soltanto nebbia alla sua
destra e nient'altro che nebbia alla sua sinistra
tutta la sua vita era avvolta da
quel niente, ed in quel niente ella cercava l'uomo che per lei valeva un'esistenza intera.
Il pensiero di Carlotta, talvolta, volgeva anche verso sua madre: chissà com'era in pena,
quella povera donna... ma dannazione! Perché non si vedeva neppure un paese in cui
fermarsi un istante per poterle telefonare e rassicurarla? Certo, era ben diverso, appena
mezz'ora prima, sull'autostrada, con le luci arancioni dei lampioni e le insegne
coloratissime degli autogrill o dei distributori di benzina, poter fare una pausa di un
secondo, un secondo appena
ma chi si aspettava, all'uscita dal casello, d'incontrare
quell'impenetrabile banco di nebbia? Era stata proprio una stupida, Carlotta, a non
pensare a tutto ciò pur sapendo quali erano i rischi che avrebbe potuto incontrare, ed
ora era un poco preoccupata e si tormentava l'animo. Oh, se quella grigia signora avesse
sollevato leggermente il velo della tetra veste che offuscava la vista della ragazza quel
tanto che bastava, solamente, per farle intravedere il più minuscolo dei lumini di un
caseggiato o di un cascinale!
E intanto l'auto continuava, adagio, il suo cammino col suo carico di speranze, d'amore e
di pensieri.
Chissà che ora era? Carlotta mosse appena gli occhi sul cruscotto, verso l'orologio: le
sette e mezzo! Accidenti, era già in ritardo! Ma ecco, all'improvviso, risplendere un
lieve chiarore: «Forse ci siamo», disse in cuor suo la giovane donna, emettendo un
sospiro di sollievo: «Forza, forza, premi questo maledetto acceleratore», le venne da
dirsi, ad alta voce questa volta, desistendo però subito da questo proposito e pentendosi
delle sue imprudenti parole. Ad una distanza che le sembrava infinita, brillava una luce
soffusa e giallastra: «È fatta», pensò contentissima e sorridente la ragazza, prima di
vedere di fronte a sé due, poi quattro, poi sei fari che l'abbagliavano incrociandosi fra
di loro, fino a diventare un unico, immenso, globo dal bagliore accecante che la
confondeva e le metteva paura... «Oh Dio mio, cosa sta succedendo?» gridò forte.
Si udì un botto. Carlotta si sentì sollevare rapita da una forza strana e violentissima,
provando sensazioni mai sentite prima, mentre il grosso autocarro che aveva urtato la
fiancata della sua utilitaria facendola sbandare ed uscire di strada procedeva, incurante
di ciò che era accaduto, la sua corsa veloce verso chissà quale destinazione lontana.
Il volo di Carlotta terminò bruscamente ai bordi della carreggiata, sull'erba secca umida
e fredda, che le diede un effimero sprazzo di lucidità per pensare al suo Edoardo e a sua
madre, ma anche a se stessa: «No... non posso morire... sono ancora così giovane; non
posso morire», mormorò; poi, per lei, la nebbia svanì tutta d'un colpo e scese la
notte.
Passò del tempo: sicuramente molto, poiché nel riaprire gli occhi Carlotta vide
risplendere il sole nel cielo sereno. L'auto era semi distrutta contro un guardrail, e la
povera ragazza sentiva un grande dolore alle gambe, al torace e alla testa: ciò che udiva
era soltanto un insistente ronzio che le impediva di concentrarsi, ma nonostante ciò si
fece forza: allungò un braccio, strinse forte un robusto bastone che si trovava
appoggiato a terra accanto a lei, e con esso aiutò se stessa a rialzarsi. Cadde due o tre
volte prima di riuscire a rimettersi in piedi, ma poi, anche se a stento, riuscì muoversi
in cerca daiuto. Sorreggendosi al bastone cominciò a camminare, attraversando i
campi ghiacciati: dopo ciò che le era accaduto temeva troppo la strada per sfidarla di
nuovo, ma soprattutto, ora, era finalmente certa dell'esatta posizione in cui si trovava:
mancavano solamente un paio di chilometri, o forse meno, dalla casa di Edoardo, e con un
po' di sforzo e di fatica l'avrebbe raggiunta, dopodiché avrebbe potuto addirittura
telefonare ai suoi genitori e sentire le loro amorevoli voci.«Coraggio!» disse, seria,
Carlotta tra sé e sé nell'intraprendere questa nuova avventura, e stringendo i denti
cominciò la sua Via Crucis. In quegli spazi enormi e desolati la sua mente era finalmente
di nuovo libera di vagare nell'intimo più profondo del suo cuore e di scavare dentro di
esso per riportarne alla luce i tesori: il suo Edoardo... sua madre... suo padre... ah,
quanto intensamente, Carlotta, sentiva in quegli istanti di amarli più di tutto; più
della sua stessa vita; più di quanto non avrebbe mai creduto di poter amare qualcuno.
Quelle persone erano per lei come Iddio è per l'intera umanità: una meta da raggiungere
attraverso l'angusto cammino del vivere; erano un miracoloso unguento che le alleviava i
dolori lancinanti; erano un faro che la guidava, come attratta da un potere magnetico
verso la salvezza, verso il Paradiso: per poter godere, alla fine di quel travaglio, della
meritata ricompensa. E Carlotta camminava; Carlotta cadeva a terra sfinita e si rialzava;
Carlotta soffriva, ma sopportava quel tormento atroce, sicura che almeno uno dei suoi
punti di riferimento, almeno uno dei pezzi che componevano il mosaico della sua vita, il
suo Edoardo, era sempre più vicino. Oh! Avesse saputo, Edoardo, in quale situazione lei
si trovava, sarebbe corso immediatamente in suo soccorso: avrebbe abbandonato la sua casa,
il suo lavoro, qualunque cosa per andare a sorreggerla e portarle sollievo
e i suoi
genitori, se avessero conosciuto la disavventura accaduta alla figlia, si sarebbero
spezzati in quattro per cercarla nelle ostili e per loro sconosciute terre vercellesi,
senza pensarci due volte: chiudendo l'attività; rinunciando al denaro - e Dio solo sa di
quanto ne avessero bisogno per risollevare le sorti dell'azienda pur di non vederla
in quelle condizioni; soltanto per darle una mano e riaccendere il sorriso sul suo volto.
Al pensare a queste cose, Carlotta, si sentiva viva come non lo era stata mai, perché
capiva che era la sua vita, il traguardo verso il quale stava andando in contro. Passo
dopo passo la stanchezza si faceva sempre più pesante; metro dopo metro il suo amore
verso Edoardo cresceva; istante dopo istante il cuore della giovane batteva sempre più
forte di sfinimento e di passione... e passo dopo passo, metro dopo metro, istante dopo
istante, i minuti divennero ore, i metri divennero chilometri, e le ore ed i chilometri,
insieme, divennero una cosa sola: una casa. La casa di Edoardo. Carlotta, nel vederla,
abbandonò il bastone e cadde rovisamente a terra: sanguinavano i suoi piedi e le sue
ginocchia; dolente era la sua testa; insopportabile il dolore al petto, ma lei era
arrivata: lei ce l'aveva fatta ed era a pochi metri dal suo amore adorato.
La ragazza appoggiò le mani a terra dando una forte spinta per rialzarsi, e nel fare
questo movimento sollevò lo sguardo e vide davanti a sé un ragazzo. Pur con la vista
appannata dal pianto la giovane lo riconobbe: era proprio Edoardo, il suo Edoardo; e non
era solo: accanto a lui, sorridenti, c'erano suo padre e sua madre; tutti... erano tutti
lì, di fronte a lei, che le tendevano le braccia, ansiosi di stringerla forte. Lei li
fissò negli occhi, e senza distogliere la vista da essi, come stesse volando, si
precipitò leggera verso quei visi amati ed ambiti: non sentiva più né dolore né
stanchezza, in quel momento: solo un'immensa gioia, mentre vedeva quegli occhi risplendere
fino a confondersi tra loro, come fari abbaglianti che le andavano incontro nella nebbia,
e udiva un colpo sordo che la opprimeva nel corpo facendole perdere i sensi.
Il corpo privo di vita di Carlotta era sul ciglio della strada, disteso sull'erba secca
umida e ghiacciata, accanto alla sua auto semi distrutta contro un guardrail. Il suo viso
pallido risplendeva, con le prime luci dell'alba, di un insolito sorriso.