Nella terra
dello Wyoming, ormai mille miglia lontana dalla civiltà che siamo abituati solitamente ad
avere intorno, priva di agganci e rapporti con dinamiche sociali di sorta, trascorreva
rosea la vita di una piccola famiglia immersa del tutto nella natura: la famiglia Jackson.
I Jackson erano lì quasi come fosse stata una mano divina a condurli nella dimensione
terrestre. Era come se non avessero un passato né tantomeno fossero occupati a costruirsi
un futuro. Era come se il tempo per loro quattro si fosse fermato e gli avesse concesso di
poter vivere non una vera e propria vita dall'altalenante susseguirsi d'eventi, ma di
poter godere la magia dell'istante (eterno) più appagante che mai potesse capitare ad
essere umano. Non ne avevano però la benché minima consapevolezza e ciò rendeva la loro
"vita" ancor più speciale. Forse il solo lato negativo stava in questo: proprio
perché non sapevano di essere una famiglia divinamente fortunata, lavoravano comunque
sodo ogni giorno, inconsapevoli che se avessero mollato la loro vita era comunque votata
alla beatitudine eterna.
Avevano ciascuno un compito nella loro benedetta e immacolata dimora. Stan Jackson, il
capofamiglia, s'occupava un po' di tutto. Portava giornalmente al pascolo le sue pecore
lungo le praterie e le montagne che ogni mattino gli regalavano visioni mozzafiato, per la
gioia dei suoi occhi e le feste di Trudy, il suo imponente cane da pastore bianco.
Quello attorno alla casa dei Jackson era un paesaggio degno di una favola che neanche il
geniale Walt Disney avrebbe mai potuto concepire. Tony ed Ema erano i bambini più felici
della Terra. A loro due spettava il compito di tenere sempre in ordine e pulite le proprie
camerette, e mai che vi fosse ombra di sporcizia in qualche angolo o sopra un mobile delle
loro camere.
Jenny Barney era una donna spensierata, e con altrettanta spensieratezza e gaiezza
provvedeva a lavare la biancheria e preparare regolarmente pranzo e cena. A tavola mai uno
screzio, un litigio, un'alzata di voce. Il cielo era sempre limpido e sereno sopra le
montagne, ed il Sole era sempre stagliato nel cielo anche quando realmente avrebbe dovuto
lasciare il posto alla Luna. Era così da sempre per la famiglia Jackson. Ma la perfezione
idilliaca nella quale vivevano suonava alquanto strana all'occhio di qualcun altro.
All'occhio di qualcuno più in alto. All'occhio di Dio. Dio chiamò a raccolta tutti gli
angeli delle sfere celesti, e nel Supremo Cerchio si tenne un consiglio. La confraternita
angelica e l'Essere Incommensurabile si posero un ostico quesito, così sintetizzabile.
Come mai all'occhio della popolazione celeste era sfuggita quella famiglia che con una
perfezione diabolica conduceva un'esistenza senza neanche un lampo od un tuono a scuoterli
durante il sonno? I Jackson era come vivessero in una dimensione terrestre sconosciuta e
al contempo godevano di una libertà fuori dall'umana concezione. Qualcosa perciò non
andava. Per questa famiglia dello Wyoming era come se nel giardino dell'Eden non fosse
stato mai commesso il peccato originale.
La congrega degli angeli e dei cherubini danzanti si chiesero infine quale fosse il loro
segreto. Dio inviò sulla Terra il suo angelo più fidato per indagare su quello stato di
cose alquanto anomalo. L'angelo prescelto abbandonò la congrega e calò dai cieli. In
corrispondenza della casa. Il cherubino non s'accorse minimamente della trascendenza dallo
stato celeste a quello terrestre, tanto era perfetta quella seconda dimensione. Veleggiò
verso la casa davanti cui giocavano Tony ed Emma, perennemente col sorriso sulle labbra.
Stan Jackson era da qualche parte lì su a godersi panorami di paralizzante bellezza,
affiancato dalle sue pecore e preceduto dal vigile Trudy che zampettava qua e là
annusando velocemente l'erba e poi riportando lo sguardo sulle bestie. A tracolla Stan
portava il fucile e la cartucciera gli faceva da cintura. Jenny Barney, intanto, era in
cucina a lavare piatti e posate. L'essere angelico dalle ali d'oro fluttuò all'interno
della casa con la sua tromba d'avorio annunciatrice. Tony ed Emma non s'accorsero di
nulla. In cucina, però, Jenny avvertì correnti d'aria e refoli di vento.
<<Bambini tornate a casa!>> quasi urlò. <<E chiudete la porta.>>
finì.
Il cherubino ispezionò la casa sbatacchiando insonoramente le ali, e quello che vide fu
solo ordine maniacale e senso di pulizia portato all'eccesso. Stava per abbandonare la
casa quando notò una piccola scala a chiocciola dalla quale riverberava una luce
intermittente ma pulsante. Il cherubino aleggiò lungo i pochi scalini in legno e fu oltre
la botola
nell'attico. Inchiodato al centro perfetto del soffitto incontaminato
c'era un enorme gancio d'argento, che faceva dondolare nel vuoto un'enorme voliera dal
cristallo scintillante. Il cherubino dovette abituarsi gradualmente ad una luce così
paradisiacamente accecante che non gli era mai capitato d'incontrare durante tutto il
corso della sua vita tra le alte sfere celesti.
Nella voliera, quasi confusa in quel bagliore accecante dibatteva caoticamente le ali
un'enorme colomba bianca. Dopo essersi abituato alla luce, l'angelo chiese: <<Cosa
ci fai lì dentro?>>
La colomba parlò. <<Ti racconterò tutto. Nostro Signore da ultimo creò l'uomo e
la donna. Adamo ed Eva. Poi nacquero Caino ed Abele con ciò che ne seguì. Nello stesso
istante un'altra famiglia venne alla luce
una famiglia più fortunata che comunque
non riuscì a non peccare
comunque in modo diverso. Agli albori dell'umanità venni
colta da terra lungo uno dei fianchi di queste candide praterie da un uomo di buon cuore.
Ero ferita e lui mi condusse nella sua dimora coprendomi di cure ed attenzioni, finché
non riuscii a sbattere nuovamente le ali. Si accorse però che ero una creatura magica,
speciale. Io raccoglievo in me tutta la purezza e quella totale libertà di vita che
purtroppo gli esseri umani non avrebbero mai acquistato a causa del peccato originale. Gli
esseri umani erano destinati così a soffrire ogni giorno se volevano guadagnarsi
qualcosa. Quell'uomo però s'accorse della mia natura sovrannaturalmente innocente, e
riuscì ad afferrarmi prima che potessi guadagnare il cielo fuori dalla sua casa. Mi
chiuse in questa soffitta costringendomi in una volgare voliera. Mi ribellai con l'unica
arma che avevo a disposizione. La luce del Paradiso. Paradossalmente, però, quella
voliera assorbì la forza benefica e purificatrice che sprigionai per potere accecare il
mio aguzzino e divenne di cristallo finissimo
ed io privata della libertà e della
purezza che di diritto mi spettavano. Cosicché la forza benefica da me liberata
concedette il Paradiso alla famiglia Jackson. La loro sarebbe stata una vita senza
sacrifici o fatica e avevano acquistato immeritevolmente una libertà senza uguali, e la
forza liberatrice continuò ad ardere e irradiare l'intera terra dello Wyoming. Ancora
oggi Stan Jackson non s'avvede del peccato commesso, e la sua famiglia non fa caso ormai
più al grande dono che da me hanno con violenza strappato, perché la loro
"vita" è codificata nella gioia totale e priva di qualsiasi dolore.>>.
<<Tutto ciò non è giusto!>> tuonò l'angelo. <<Hai diritto sacrosanto
alla libertà che ti spetta!>>
Impugnata la tromba angelica il cherubino la diresse verso la voliera e soffiatoci dentro
infranse il cristallo in frammenti-scintille liberando la colomba. Prima che essa cadesse
a terra il cherubino la colse al volo e la adagiò sul pavimento. La colomba prese a
sbattere le ali finché non fosse sicura di poter volare. Quindi compì rapide evoluzioni
aeree finendo dabbasso davanti agli occhi increduli di Jenny.
Il cherubino celeste-oro fece suonare di nuovo la tromba mandando in frantumi il rosone di
vetro sopra l'uscio, che esplose in schegge di vetro tagliente. Jenny si coprì la testa
con le braccia e minuscoli frammenti di vetro polverizzato e schegge di vetro più grosse
gli s'impigliarono tra i capelli.
La colomba colse l'occasione per volare fuori attenta a non ferirsi con le schegge di
vetro che dondolavano ancora per metà incastrati nel ferro circolare del rosone. Tony ed
Emma s'accucciarono come se sopra di loro fosse di passaggio un jet di ultima generazione,
schermandosi gli occhi per la paura dei vetri e per alzare lo sguardo. In simultanea,
lentamente, seguirono il volo della colomba che guadagnava a fatica la libertà.
<<E questa da dove viene?>> quasi in coro i due.
Stan Jackson aveva già riportato le pecore alla stalla e stava imboccando il vialetto di
casa a testa china. Alzò lo sguardo e vide la moglie alla porta con una mano sul cuore e
l'altra ad indicare il cielo. Il fulgido bagliore della colomba era accecante.
<<Maledetta! Come hai fatto?>> urlò Stan. Si lasciò scivolare sul braccio la
fune del fucile che portava a tracolla. Le sue mani corsero febbrili alla cartucciera ma
le munizioni gli slittarono via, scomparendo nell'erba. La colomba ormai alta
all'orizzonte. <<No, dannazione, no!>>
Stan cadde in ginocchio, la testa tra le mani, impotente. Nei giorni che seguirono la
famiglia Jackson conobbe il duro lavoro. E quella prima buia e scura notte fu come non
avesse mai fine. Dall'alto dei cieli, celato chissà dove, l'occhio di Dio, soddisfatto,
accolse con gratitudine divina, tra le sfere celesti, l'intrepido cherubino.
Dario Licata è nato nel 1979 a Latina, dove risiede tutt'oggi, cominciando a scrivere poesie nei primi anni novanta. Ha ricevuto il 10 novembre 1996 a Latina un attestato e una coppa per il premio speciale "Giovani poeti" per la nona edizione del Premio Nazionale Di Poesia indetto dal Club Letterario Italiano. L'anno seguente vi partecipa di nuovo, ricevendo nel dicembre 1997 un riconoscimento per la sezione "Poesia Singola". Il 14 Febbraio del 2000 a La Spezia, riceve attestato e coppa partecipando al 3° Premio Nazionale Di Poesia (Medaglia del Presidente della Repubblica) "Una poesia d'amore", risultando finalista con la poesia "Quando sei l'arcobaleno". Il premio è indetto da il Circolo Culturale "Il Portico". La suddetta poesia è presente nell'antologia "Una poesia d'amore" a cura di Luna Editore. Con la raccolta sperimentale di racconti "Sussulti" passa al campo della narrativa.