Accadde
quella volta, ma da allora accade il 21 agosto di ogni anno. E per lui ogni volta è come
la priva volta.
Era per caso sulla cima di quel colle, libero dai boschi e da quanto gli impedisse di
spaziare, senza ostacoli.
Lì con le braccia alzate, il giorno che proprio il cielo decise di rubargli le sue due
anime più care. In una notte di tempesta il borgo a valle funestato dal vento piovoso e
chiunque avesse avuto ancora del cervello in testa se ne sarebbe rimasto chiuso in casa.
E loro proprio in casa erano rimasti per difendersi.
"Perché?" urlò a un fulmine che attraversò il cielo.
Dalle unghie delle mani fin giù, alle unghie dei piedi
le sue ginocchia doloranti
non lo tennero più. Era caduto disteso, ma vivo. Il fulmine lo aveva trapassato, aldiqua.
Perché? pensò, mentre a valle, giù un altro fulmine e un altro ancora aveva presi
entrambi, attraverso la finestra aperta dalla bimba in un attimo di strana follia
infantile.
Perché? Loro erano morte. Lui era vivo, disteso, fulminato su quella cima.
E ogni anno sempre uguale: ricordava il fulmine, figlia e moglie in un
sol colpo, e lui a prendersi il suo sulla cima del colle.
Quel fulmine lo aveva reso differente, già la prima volta, gli occhi pestati dalla
scarica, i capelli ritti anche se bagnati, sotto il crollo delle nere nuvole.
I suoi muscoli avevano tremato, ricevuto un impeto, un impulso a gonfiarsi
sentiva
il loro peso che aumentava e lui che diveniva più forte.
Anno dopo anno, fulmine dopo fulmine, aumentava, sempre più forte e sempre più disperato nel tentativo di capire la tragedia. Quel ricordo orribile restava.
Fino a quando non venne la visione.
All'inizio fu come se fosse versato, sul panorama reso grigio e fosco
dalla pioggia torrenziale, un secchio di cobalto cielo e una miriade di schegge verdi e
tratti marroni, impetuosi, impazziti in un'esplosione
una valle, la sua valle e un
esercito, nemico.
Vide le case bruciare e gli alberi imputridire nel fango di un diluvio, e i maghi, quelli
orientali, ridere e godere della loro conquista.
L'anno dopo, un altro urlo di dolore al cielo Perché?, altre mani imploranti e i muscoli forti, sempre più forti, colossali dopo l'ennesimo bagliore.
Innèsan ebbe la seconda visione.
Un'esplosione rossa e un fungo giallo e in quel fungo i volti sfigurati e urlanti della
civiltà cui apparteneva. E in quella civiltà, tra bambini, inermi e donne, ancora i
maghi orientali invadere il suo Regno.
Lui piangeva, Innèsan, perché il suo corpo era un portento ma si sentiva un nulla dentro, fragile, a chiedersi ogni secondo perché il cielo avesse voluto quello, perché fossero morte e lui vivo.
E quando l'anno dopo - un anno Nuovo - non ci fu alcun fulmine, accadde
qualcos'altro.
Lui, sulla cima di quel monte ad implorar pietà, vide l'invasione nel villaggio a valle.
Case bruciare ed alberi abbattuti da una grande inondazione furono il segnale.
In un attimo soltanto comprese ciò per cui l'aveva preparato il cielo nella sofferenza.
E Innèsan, divenuto l'uomo più forte del Regno, brandì la spada e scese dalla cima contro i maghi che giungevano da oriente.