28 pollici

Le ampie vetrate inondavano di luce il salone, sì che la stanza era tutta un riflesso dorato.
Un’unica ombra si dondolava al centro del bianco marmoreo pavimento. Il frenetico ansimare di quel bambino perennemente raffreddato era accompagnato dal frusciante scartabellare di fogli e giornali.
La bionda testolina era riversa ciondoloni all’interno di un cassettone e ogni tanto da questo, come un geyser, un foglio di carta volava nell’aria, per poi seguire la sua disordinata planata verso terra. Tutt’intorno cartacce spiegazzate e appallottolate, sterili gomitoli di bianco e nero e qualche vivace arlecchino disegno.
Poi quella sua puerile amabile dislessia: “Mamma, dov’è Franchesso coiboi?”
- “Cerca bene, dev’essere là dentro.”
Intanto la giovane signora entra nella stanza e si avvicina al figlio ormai esausto dalla ricerca. Francesco cow-boy era una foto del baby-sitter del bambino, risalente al primo carnevale che i due avevano passato insieme. Ritraeva il ragazzo vestito da capo a piedi di frange e cuoio, borchie luccicanti e pelle di renna. Un grosso cinturone di sbieco attorno alla vita e l’imitazione di una scintillante colt nella mano destra.
L’intenzione del ragazzo, era stata quella di rendere omaggio al piccolo, sono passati tre anni da allora, ché al ritorno dall’asilo, disteso sul tappeto di casa insieme a Simone, allestiva quasi sempre un fortino e la battaglia che al suo interno poteva svolgersi tra indiani e soldati del settimo cavalleggeri. Quell’anno Simone si era ovviamente mascherato da pellerossa, con il suo copricapo di fagiano, il coltello appeso alla cintura e l’ascia di guerra di gomma piuma sempre in mano, o meglio sulla testa di qualche altro bambino.
Francesco, ormai, non c’era più.
- “Cerca bene Simone, la casa nasconde ma non ruba!”
I vacui occhi castani del bambino balzavano desolati sul contenuto del cassettone. Aveva investigato con diligente circospezione tutto il materiale cartaceo e non, ma niente, la foto non si era trovata.
Quella notte si ritrovò di traverso nel letto, avrebbe voluto chiamare il padre, per farsi portare un bicchiere d’acqua tanta era la sete, ma dei secchi scricchiolii di alberi in frantumi lo avevano fatto desistere e rintanare sotto le coperte, a chiedersi quali orrende creature abitassero mai le tenebre della sua casa.
- “Dove hai messo lo scontrino della spesa di ieri?” andava apostrofando l’indomani la mamma di Simone nei confronti del marito.
- “É lì sulla mensola della cucina!”, quasi un eco, proveniente dalla camera da letto, dall’altra parte della casa.
La mensola della cucina, fosse facile: era una casa moderna, di quelle funzionali con tutto alla portata di mano e praticamente, le mensole avevano sostituito i ripiani o quasi. Poco sopra il lavello c’era quella dei detersivi, sulla sinistra, sulla destra invece, sfalsata rispetto alla prima spugne, guanti e presine. Sul lato opposto, quindi, partendo in bell’ordine dall’alto, quasi tanti gradini di una scala in sezione: i piatti e le porcellane di varie località turistiche; brocchette e mestoli di rame; spezie varie; altre spezie ma dai sapori orientali; biscotti e crackers.
Per l’affannosa ricerca, la donna si era anche resa conto della necessità di dare una spolverata ad un simile ricovero di sporcizia, ché se già le cucine sono grasse quelle moderne hanno la fastidiosa complicazione di moltiplicare la fatica spacciandola per funzionalità.

Quanta importanza può avere uno scontrino? Quasi nessuna, una volta usciti dal negozio e aver superato il terribile quanto leggendario controllo finanziario del medesimo da parte degli addetti all’incarico; quasi nessuna importanza per la stragrande maggioranza delle persone. Ma quando tua moglie annota ogni singolo movimento di ciò che è considerato moneta, la questione diventa se non vitale, più che rilevante per la salute dei tuoi nervi. E come se non bastasse, lo scontrino deve indicare in dettaglio le singole voci ed articoli, non ci può essere solo il totale.
- “Non lo trovooo!!!” e di rimando: “Abbi pazienza, prima o poi salta fuori. La casa nasconde ma non ruba!”
Anche quella notte la serenità del sonno di Simone fu interrotta e spazzata bruscamente via da quei secchi rumori di rami spezzati. Si seguivano a distanza ravvicinata, o comunque il piccolo, rimaneva con gli occhi sbarrati e tratteneva il fiato aspettando il successivo, e quando questo tardava, riprendeva sì a respirare ma facendo molta attenzione a non far rumore. Il resto della notte trascorse così, ma almeno aveva individuato la provenienza di quello schioccare di frusta: la sala da pranzo, cosa che lo aveva ancor di più sprofondato in uno stato di reverenziale timore, visto che era la stanza più vicina alla sua cameretta.
Soltanto le prime luci del giorno con il relativo risvegliarsi della casa, nonché dei suoi genitori rassicurarono un po’ Simone, che decise finalmente di scendere dal letto.
Lasciati alle spalle gli incubi della notte a Simone non rimaneva che affrontare la quotidiana realtà di un padre in frettoloso e irritante procinto di uscire per andare a lavorare, che si accorse di lui solo per travolgerlo con la sua possente quanto cavernosa voce: “Dove hai messo la penna di papà? Quante volte ti ho detto di non usare le mie cose e se proprio non ne puoi fare a meno, di rimetterle al loro posto?”
Accennando un timido sorriso, incorniciato da due terrificanti occhiaie, Simone pensò bene di ironizzare su quell’umana disgrazia: “La casa nasconde ma non ruba!” veloce quanto dolorosa la reazione del padre, che lo lasciò piangere in mezzo alla stanza e se ne andò sbattendo furiosamente la porta dopo avergli stampato un poderoso ceffone sul viso.
L’inquietante rumore di quella notte fu più forte del solito, ma questa volta Simone era deciso a risolverne il mistero e in più aveva dalla sua la scimmia di peluche che lo avrebbe difeso da qualsiasi cosa.
Così a piccoli passi nudi sul freddo pavimento si diresse furtivamente verso la sala da pranzo dove ancora non sapeva cosa lo attendeva. Allungò la timida mano verso la porta socchiusa della stanza e quasi questa scottasse la toccò appena per farla scorrere nella penombra.
Nell’angolo opposto della stanza il Mivar 28 pollici, tv color che il padre aveva occasionalmente comprato giusto la stessa settimana, giaceva sull’apposito carrello in una tetra scomposta posizione, con il pannello posteriore scoperchiato e riverso a terra. Una verde luminescenza fuoriusciva dall’apertura inondando con la sua stravagante consistenza l’angolo più vicino e da questo si rifletteva in tutta la stanza.
Simone mosse altri passi in quella direzione, sempre più timoroso ma convinto allo stesso tempo che Booghy, la sua scimmietta, l’avrebbe senz’altro protetto.
Arrivò, infine, dinanzi a quelle disarticolate fauci che vomitavano noncuranti la loro calda essenza. Il bambino pensava che dentro quello scatolone di plastica, dietro il vetro e quindi proprio dove ora stava guardando lui, si nascondessero chissà quale mistura di bottoni e pulsanti colorati e grovigli di fili elettrici, luci e altre meraviglie tecnologiche, ma mai avrebbe pensato di assistere a quello spettacolo. Avvolti nel cuore di quell’esplosione di luce c’erano l’apribottiglie della Peroni, un vecchio quaderno consunto, una pallina di gomma, qualche biscotto, una candela, alcuni braccialetti ed incredibile ma vero, accatastata da una parte, una pila di scontrini della spesa, unti e accartocciati e… quella lì nell’angolo non era forse la penna di papà? Ma sì che lo era. Eppure c’era qualcosa di strano, oltre naturalmente al fatto che quegli oggetti si trovassero all’interno del televisore: Simone aveva stentato a riconoscere la penna perché era come se fosse avvolta da una coltre di polvere, il suo colore, all’interno della luce dava l’impressione che fosse molto vecchia, mentre quella del padre era lucida e pulita, come del resto tutte le cose che l’uomo usava per il lavoro. Sembrava come trovarsi di fronte alla vetrina di un negozio di antichità e cianfrusaglie dimenticato dal tempo e dall’uomo.
Il piccolino si stagliava incredulo dinanzi a quel mistero, penzoloni dalla sua mano, quella di Booghy, come un papà con il proprio figlio. Poi all’improvviso, mentre credeva di aver scorto la fotografia di Francesco, la luce divenne più densa, colma di un brusio sinistro e il fragore di un fulmine che si abbatte con irruenza su di un albero per schiantarlo calò nel silenzio della casa.
L’indomani mattina, marito e moglie si alzarono come al solito per affrontare una nuova giornata. Entrando nella cameretta di Simone trovarono le coperte accartocciate in un esanime lombrico, ma il bambino non c’era e neanche in bagno, o in cucina e nel resto della casa.
L’ultima stanza nella quale andarono a guardare fu la sala da pranzo, ritenendo insolita la presenza del piccolo proprio in quel luogo ed infatti c’era solamente Booghy, seduta dinanzi al televisore, in attesa dell’inizio dei programmi del mattino.
La donna raccolse la scimmietta, insieme la portarono sul letto di Simone e guardandosi l’un l’altro: “La casa nasconde ma non ruba!” scoppiando in un’aliena risata. Teneramente abbracciati si diressero verso la cucina.

 

(Nota dell'autore)
Finito di scrivere il 29 febbraio 2000.
A quella famiglia speciale che mi fa sentire un membro della stessa dimostrandomi affetto e fiducia in ogni occasione: a Stefano, Loredana, Ilaria e Simone.

Francesco Petrucci