"Una cordiale stretta di mano. Così i gentiluomini
dovrebbero appianare le loro divergenze."
Aurelio Isoardo, Sul Galateo per Uomini Dabbene, 1869
Recentemente,
il sindaco del mio paese ha deciso di ultimare la riesumazione delle salme dal vecchio
cimitero sopra la collina: con il tempo, infatti, esso si è trovato troppo vicino al
centro abitato, ed i proprietari delle terre adiacenti al suo perimetro, hanno sporto
denuncia perché sospettano di un inquinamento delle falde acquifere.
E' un vero peccato, però, che quel cimitero venga rimosso.
E' un peccato perché ha un'età immemorabile, e perché, dopotutto, è un pezzo di storia
del paese che va via: Conti e Marchesi degli inizi dell'ottocento, con le loro cappelle in
chiaro stile gotico, con tutti i ghirigori ancora ben visibili, nonostante l'accanirsi del
tempo. La chiesa, proprio al centro della piazza, con quegli stucchi sapientemente
elaborati e gli affreschi incomprensibili, macchie di colore ormai evanescenti.
I cipressi, altissimi, le cui punte ondeggiano al vento in un tenue fruscio.
Tutto questo sparirà per sempre, e la giunta comunale, quasi voglia cancellare ogni
ricordo della vecchia area cimiteriale, ha già varato un progetto che comporterà la
riqualificazione del suolo in questione come parco pubblico: un'idea che, a dirvi il vero,
fa storcere il naso a non poche persone genuinamente scaramantiche, anzi, molti lo vedono
come un vero e proprio affronto alla memoria dei cari estinti
ma non voglio entrare
in questa polemica che divide l'opinione pubblica del mio paese, sarebbe noioso. Voglio,
invece, raccontarvi dell'iniziativa che abbiamo promosso, io ed altri miei amici della
Pro-Loco: visto che la giunta non mostra cura per l'antichità del luogo, prima che esso
venga rimosso dalla collina, faremo il possibile per mantenerne una memoria.
A questo scopo, sarà facile realizzare una bella ripresa della chiesetta e dei suoi
stucchi, così come fotografare gli stemmi araldici delle vecchie cappelle e tutta l'arte
cimiteriale che potrà risultare d'interesse, compresa la vecchia tomba del Marchese Di
Cento, caratterizzata da una mano in marmo, protesa innanzi, che fuoriesce dalla lapide,
quasi si producesse in uno sforzo sovrumano per trascinare con sé il resto del corpo del
defunto.
Ebbene, su questa lapide, con caratteri ormai rovinati, si può ancora leggere un solenne
ed emblematico epitaffio: "Finché la mano mia lambirà l'aria fonte di vita, io
rimarrò vigile, sui luoghi che mi videro nascere e crescere"; roba d'altri tempi,
dove la retorica la faceva da padrona e le belle parole impressionavano la brava gente.
Del resto, il Marchese Di Cento, fu uomo di lettere dotto ed istruito, che lasciò molti
saggi storici sull'origine del nostro paese, inoltre, fu anche uomo d'azione,
all'occorrenza.
Durante l'invasione delle truppe napoleoniche, infatti, non esitò ad imbracciare il
moschetto e ad adunare quanti più uomini possibili, primo partigiano ante litteram, per
opporre una fiera resistenza al nemico invasore: le sue gesta sono storia, e nella fornita
biblioteca comunale potrete passare alcune ore istruttive nel leggere come, con soli
cinquanta uomini, riuscì a tenere testa ad un distaccamento di duecento fanti del corpo
d'armata del generale Massena, impedendogli, di fatto, di entrare in paese, con tutti gli
orrori che ne sarebbero derivati.
Per quest'eroica impresa, fu eletto sindaco, e lo stesso Bonaparte, apprezzandone il
coraggio, fu magnanimo con lui, tenendolo in gran considerazione.
Grande uomo il Marchese Di Cento! Cosa direbbe, ora, del poco rispetto palesato dai suoi
concittadini?
-Si starà rivoltando nella tomba! - Disse, ad un tratto, Alfonso, interrompendo ed
intuendo il corso dei miei pensieri, mentre cercava spazio per centrare la lapide con
l'obiettivo della sua Minolta.
Lo fissai, con un cenno d'approvazione.
-Puoi scommetterci quello che vuoi
- Aggiunsi, mentre mi spostavo di lato per
lasciargli più spazio.
Due scatti in successione fissarono per sempre l'imponente aspetto della lapide.
-Si dovrà abituare ad un loculo molto più modesto
- Alfonso ammiccò, e ripose in
grembo la macchina fotografica.
-E già
- Mugugnai perplesso, mentre m'incamminavo per le scale sberciate che
conducevano verso la chiesa.
In quell'istante, con la coda dell'occhio, catturai il movimento del mio amico, che si
portò innanzi alla lapide del Marchese e strinse la mano con la destra, come si farebbe
per salutare un amico.
-Arrivederla, signor Marchese, non se la prenda troppo per lo sfratto, sono cose che
capitano! - Disse Alfonso, sorridendo.
Mi girai verso di lui e non potei trattenere anch'io un sorriso, la posa era buffa, lui
che salutava degnamente l'illustre Marchese! Un addio simpatico, dopo tutto.
-Aspetta che t'immortalo! Sei troppo forte
-
Accesi la mia Handycam e iniziai a filmare.
-Il nostro Alfonso saluta il Marchese, porgendo le scuse al posto del sindaco, al più
illustre cittadino del nostro paese. -
Alfonso strinse ancora più forte la mano di marmo.
-Non stringere molto che si spezza
- Lo ammonii, ridendo.
-Poco importa, ormai, qui i muratori faranno un macello
- Rispose di rimando Alfonso.
Ma il suo sorriso si prosciugò all'improvviso dalle labbra: la mano di marmo, con uno
scatto repentino, aveva serrato le sue dita in una stretta micidiale!
Potei chiaramente udire le sue ossa frantumarsi.
Un urlo di dolore e d'orrore si levò allora dalla collina, richiamando sul luogo gli
altri amici che erano a spasso per il cimitero.
Da parte mia, non mi riuscì di staccare l'occhio dal monitor della videocamera, e
continuai a filmare imperterrito, nonostante la straziante richiesta d'aiuto del mio
amico.
In quattro, cercarono di sottrarlo dalla presa della mano, mentre una pozza di sangue nero
si allargava sempre più velocemente sul pavimento di travertino.
Ad ogni strattone, il corpo d'Alfonso sussultava violentemente, in preda al dolore.
-Signore Iddio, Guido, che cazzo stai facendo? Dacci una mano! Signore Iddio
- Urlò
Simone, puntando i suoi occhi disperati verso l'obiettivo della videocamera.
Niente, era come se non li sentissi, continuai a filmare quella scena inverosimile.
Poi, con uno sforzo sovrumano, i miei amici diedero una spinta fortissima all'indietro, il
marmo della lapide esplose in mille pezzi, ed una mummia informe, vestita con brandelli
d'abiti ottocenteschi, uscì dall'oscurità secolare del sepolcro, piombando addosso ad
Alfonso, ormai privo di sensi.