Voleva una
storia speciale. Voleva uscire fuori dal visibile e dal sensibile, dopo aver sprecato
troppi versi e note per fotografare il presente che ogni giorno aveva di fronte. Le gioie
troppo brevi, le tristezze volatili, i momenti di vuoto e neutralità della vita ormai lo
stavano annoiando, e temeva che avrebbero dato lo stesso senso di noia anche a chi avrebbe
ascoltato i suoi pezzi... Del resto, se il suo gruppo era così apprezzato da chi
ascoltava musica con criterio e intelligenza, era perché lui non si limitava a suonare
una chitarra e cantare: lui comunicava veramente ciò che sentiva... Ci riusciva. Ogni
canzone era un quadro espressionista; il testo e la musica era come se si colpissero con
violenza, illuminandosi a vicenda.
Ma stavolta no... Per settimane, dopo vari sforzi inutili, era caduto in una depressione
senza fondo: aveva detto ai ragazzi che per un po', se erano d'accordo, non avrebbero
fatto prove; che voleva stare da solo, per concentrarsi e comporre. In realtà, l'unica
cosa che aveva fatto era immobilizzarsi nel corpo e nella mente... Fino a prendere quella
decisione.
La storia era semplice e inquietante, giusta per ciò che desiderava: dei resti umani
quasi secolari ritrovati in una vecchia casa in demolizione nel suo quartiere, e i
racconti, forse fin troppo arricchiti ma comunque con seri riscontri nelle cronache, del
delitto che quei resti testimoniavano. L'abitazione era già vuota quando una ragazza era
stata murata viva in una stanzetta del piano terra, forse per vendetta, forse per
passione, nessuno lo sapeva... Quella casa aveva i muri sottilissimi e un'acustica sorda e
rimbombante, e dava su una strada già all'epoca piuttosto trafficata: solo gridando, la
ragazza avrebbe avuto buone possibilità di essere udita, e quindi salvata; ma, a quanto
si raccontava, il terrore l'aveva resa completamente muta... E così era morta di inedia,
a pochi metri dalla frenetica vita della città.
Un fatto triste e insieme colmo di feroce ironia, come tutte le piccole tragedie del
mondo... E lui decise di farlo suo.
Sapeva di avere un altro dono oltre alla sua capacità artistica: "sentiva" le
cose... Per lui le sensazioni forti che gli altri provavano o avevano provato molto tempo
prima restavano come impresse nell'aria, e diventavano sue.
Gli sarebbe piaciuto prendersi le emozioni di quel luogo: la rabbia, l'odio o l'amore più
disperati del carnefice; la paura e l'atroce sofferenza, la flebile speranza e poi la
folle disperazione della vittima... Gli sarebbe piaciuto mettere quelle percezioni
esplosive nella sua testa, farle vivere dentro di sé, perché lo ispirassero: ne avrebbe
tratto una canzone agghiacciante, ma bellissima.
Tuttavia fra ciò che gli sarebbe piaciuto e quello che successe restò un deludente
baratro: entrando di soppiatto in quell'ambiente in rovina non sentì assolutamente
nulla... Nessuna adrenalina, neanche la normale sensazione di disagio che una persona
normale avrebbe provato penetrando in un luogo tutto sommato "maledetto"; nessun
grido nella sua testa... Nessun brivido, né di piacere, né di sgradevole nervosismo.
E un esame più approfondito dell'edificio non fece che confermare, se non peggiorare,
questa sua impressione; nella sua mente c'era né più né meno ciò che c'era nelle
stanze in cui stava girando: muffa e abbandono. Solo per un attimo, mentre se ne andava
sconsolato, ebbe la netta sensazione di qualcosa dietro di sé, che lo indusse a voltarsi
rapidamente, ma non vide nulla.
Aveva perso tutto ciò che da un destino generoso gli era stato regalato... Solo questo
poteva pensare quella sera, mentre beveva roba forte sul divano di casa sua, e tracciava
sulla carta girigogoli che non volevano saperne di diventare frasi coerenti.
C'era gente che contava su di lui: sulla sua vena creativa, sulla sua capacità di
incantare, sulla sua dote di capire da uno sguardo i sentimenti più intimi e profondi di
chi gli stava davanti... E lui aveva perso tutto.
Lanciò rabbiosamente il bicchiere pieno contro il muro, e il vetro scoppiò con un rumore
che quasi lo spaventò; poi, come se si fosse rotto qualcosa anche in lui, scoppiò in un
pianto rotto e irritato.
Fu solo un attimo: riacquisto subito la lucidità per notare il disastro che aveva
combinato... Si alzò dal divano e si diresse cucina per trovare uno strofinaccio,
maledicendo la malattia in cui si stava trasformando ogni sua riflessione.
Al suo ritorno i suoi occhi caddero sul suo taccuino, abbandonato in disordine sul
tavolino di vetro: c'era in effetti scritta una frase di senso compiuto, ma non ricordava
di averla scritta... Fra i suoi scarabocchi, con le stesso inchiostro ma con una grafia
completamente diversa, c'era scritto "Dammi voce"...
Si sedette incuriosito, notando quello strano appunto... Provò a tornare indietro con la
memoria, a quando qualcuno dei suoi amici era stato a casa sua l'ultima volta: uno di loro
doveva aver usato il taccuino senza avvertirlo. Una piccola maleducazione, ma
perfettamente spiegabile e normale; il battito del suo cuore, che si era accelerato per un
secondo, si acquietò subito. Si ritrovò tutto a un tratto a pensare che fra l'altro
quella breve frase sarebbe stato un discreto titolo per una canzone...
E non aveva ancora finito quel pensiero quando sobbalzò, lanciando via il taccuino e
lasciandosi scappare un grido... Sulla carta quadrettata era apparsa piano piano dal
nulla, come impressa a fuoco da qualcosa di invisibile, di nuovo quella frase: "Dammi
voce".
Sentì l'impulso di allontanarsi di corsa, ma subito un altro, irrazionale stimolo ebbe il
sopravvento sul primo... Senza neanche rendersi conto di ciò che faceva, si allungò a
prendere la chitarra e cominciò a suonare freneticamente. Le sue dita correvano di nuovo,
e così la testa. Non ebbe neanche il tempo di rendersi conto che aveva composto una delle
sue più belle melodie, che fu sommerso e letteralmente invaso di idee, spunti e frasi,
che andarono a formare rapidamente un testo cupo e dolcissimo.
Scritto tutto, si allontanò in direzione della sua camera, afferrò il suo registratore
portatile e registrò con la stessa fretta indiavolata con cui aveva gettato i primi
abbozzi. Alla fine, ma solo allora, i suoi sensi e i suoi pensieri smisero di dibattersi e
si quietarono: un sorriso gli ingrandì il volto, anche se stava ancora tremando.
Quella sera, nel suo salotto, era successa una cosa impossibile... Ma lui era tornato
quello di prima, e in certo senso c'era una parte di lui che solo a questo era
interessata. "Sono tornato", mormorò felice, mentre il sonno e la stanchezza
avevano la meglio su di lui, che ancora tremante si era abbandonato sul divano.
La prima cosa che fece la mattina dopo fu di fare una copia del nastro con la
registrazione e di inviarne una copia, con l'ordine di consegnarlo in giornata, a Roberto,
l'altro chitarrista del suo gruppo... Era una canzone veramente ottima, ma c'era ancora
tanto da lavorare, e voleva che tutti i componenti del gruppo partecipassero: doveva
essere a tutti i costi il loro capolavoro, e poteva esserlo quando e come volevano.
Passò una giornata tranquilla, con solo vaghe reminiscenze dell'incidente della sera
prima, che ormai attribuiva a un colpo di sonno e a un sogno brevissimo... Un sogno così
impressionante da far scattare in lui una molla di ispirazione che credeva ormai morta, ma
niente di più. Alla sera, puntualmente, giunse la telefonata: la voce di Roberto non
sembrava poi così entusiasta, e lui ebbe il timore di essersi abbandonato troppo presto
ai festeggiamenti.
"No, la canzone va bene..." fece Roberto "Anzi, è ottima, una delle
migliori, credo... Però avrei preferito che la cantassi tu. La voce che hai scelto è
particolare, certo, ma si sente che non è abituata a cantare... Non é adatta né alla
tonalità né al tipo di canzone..." Fece una pausa, e poi riprese "E poi,
scusami... Ma quando decidi di fare una collaborazione credo che dovresti avvertire anche
noi. E' una questione di correttezza, anche se gran parte del materiale lo scrivi
tu".
Fino a quel momento lui era stato troppo inebetito dallo stupore per replicare, ma alla
fine si scosse: Roberto non era il tipo da scherzare in modo così idiota; e poi sulle
canzoni non scherzava mai.
"Senti, io veramente non so cosa dirti..." disse "Ma ti giuro che quel
pezzo l'ho cantato io mentre lo registravo. Devo aver fatto casino con il registratore e
la voce ne è uscita distorta... Non so. Ora la riascolto e ti faccio sapere".
"Va bene... Fammi sapere".
Mentre riattaccava lui si rese conto che effettivamente non aveva mai riascoltato il
nastro: anche la copia l'aveva fatta a volume azzerato. Pensò di rimediare mentre si
rilassava ancora cinque minuti sul divano...
Ma non appena la registrazione partì balzò a sedere... Il cuore rifece sentire il
battito nevrotico della sera prima, come se ripetesse anche lui quell'allucinante
"Dammi voce" a una velocità sempre più spasmodica. Cercò un appiglio che non
c'era, ma cadde miseramente a sedere per terra, sudato e stretto da una convulsione di
tremiti.
La chitarra registrata era la sua, ne riconosceva lo stile... Ma sopra di essa la voce
dolce e debole di una giovane donna stava cantando, in maniera roca e cantilenante, la
melodia.