Era quasi
buio quando Mikela entro in casa. Non cera nessuno. Andò in bagno a lavarsi le
mani. Le sue lacrime si mischiarono allacqua e al sapone. Rimase così per qualche
minuto, ad insaponarsi le mani e a piangere. Quando finalmente chiuse il rubinetto non
sapeva in quale stanza andare. Si fermò sulla soglia del soggiorno. I pensieri quotidiani
erano lontani anni luce. Non voglio piu pensarci ripeteva dentro di sé. Le sue mani,
però, erano già sul tavolo e prendevano per lennesima volta il giornale di due
giorni prima, aperto sulle pagine della cronaca nera, dove spiccava larticolo della
giovane seviziata e uccisa brutalmente. Guardò la fotografia e sentì ancora una volta
brividi freddi e fastidiosi.
Era la scena del delitto. Un piccolo molo attorniato da barche e pescherecci. Secchi,
corde e reti da pesca ammucchiate ai bordi. E la scura macchia di sangue che
lassassino sconosciuto aveva allargato con le mani, disegnando la sagoma della
propria vittima. A voler sbeffeggiare, forse, il lavoro del perito criminale. A voler
comunicare, forse, che tanto non lavrebbero mai preso.
Le pupille di Mikela erano ferme su quella macchia. I suoi occhi trasmettevano
limmagine al suo cervello. Tu conosci quella scena.
Cosa mi sta succedendo? chiese Mikela al silenzio intorno a lei.
Si buttò sul divano e rimase lì, immobile, a fissare il soffitto bianco.
Unora dopo sua figlia Nicolina rincasò. Vide la madre sul divano
e pensò che dormisse. Andò in camera sua per non disturbarla. Negli ultimi giorni vedeva
la mamma molto giù.
Verso le venti arrivò Nenad, suo marito, con tre capricciose calde. Anche lui pensò che
la moglie dormisse. Ma quando si avvicinò per darle un bacio vide che i suoi occhi
arrossati erano svegli.
Mikela, le disse piano cosa cè?
Cè qualcosa che non va in questa morte...
Non sarai mica andata al funerale?!
Mikela non rispose.
E' terribile per tutti noi, Mik, ma non stare così... Vieni a mangiare ora.
Mikela mangiò la pizza assieme alla sua famiglia. Riuscì anche ad ingoiare piu volte
quel nodo che continuava a resisterle in gola, sorridendo alle battute della figlia
dodicenne.
Dopo cena Nenad le propose di vedere un film insieme. Mikela accettò e per un paio
dore la sua mente fu distratta da una commedia italiana.
Più tardi il pensiero buio ritornò.
Si mise a letto più o meno a mezzanotte. Suo marito si era già
addormentato. Mikela tolse il cuscino e si stese sulla pancia, con il viso voltato a
sinistra.
Chiuse gli occhi.
Li aprì.
Li richiuse.
Pensò di avere sonno e pensò al regalo che voleva fare a Nicolina. Riaprì gli occhi. Le
pareva di sentire lodore del mare. Annusò laria. Niente. Richiuse gli occhi e
cercò di concentrarsi sul compleanno della figlia, che sarebbe stato tra due settimane.
Il compleanno. Riaprì gli occhi e si alzò. Nella camera da letto il termosifone era
spento, ma lei sentiva caldo. Guardò il marito. Le pareva che dormisse del sonno piu
beato del mondo.
Decise di andare in cucina a prepararsi un latte caldo con il miele. Quando arrivò in
cucina, però, prese il latte dal frigo e lo bevve freddo. Le veniva in mente il suo
compleanno, che era in luglio. Pure quel caldo che sentiva la faceva pensare a luglio. Si
avvicinò alla porta della terrazza. Fuori il cielo era stellato. Come destate,
pensò. Ma perché quel pensiero era così prepotente?
Mikela ritornò in camera e si coricò di nuovo. Raccolse i lunghi riccioli rossi sopra il
cuscino e questa volta si stese sulla schiena. Aveva bisogno di dormire. Chiuse gli occhi.
Il sonno arrivò. E arrivò anche un sogno.
Vedeva se stessa da bambina che giocava con la sorella nel cortile di sua nonna. Sua
sorella Katerina aveva combinato un guaio e si stava confessando con lei. Katerina ne
combinava spesso ma questa volta laveva fatta grossa. Aveva rotto il bottiglione
verde di suo nonno e lo aveva fatto apposta. Mikela era spaventata. Sapeva che in castigo
ci sarebbe andata pure lei. Katerina le stringeva le mani e le raccomandava di non dire
niente. Tu non sai niente. Il bottiglione era rotto e basta. Noi non sappiamo
niente. Hai capito? Mikela capiva e annuiva. Non avrebbe tradito sua sorella, non
laveva mai fatto. Katerina era la maggiore e aveva sempre avuto il potere di
persuaderla. Katerina, vivace e dispettosa, indossava la sua maglietta blu. Anche nel
sogno era estate.
Mikela aprì gli occhi. Sentiva ancora le parole di sua sorella nella testa. Non dire
niente. Non dire niente a nessuno. Non aveva mai sognato di essere bambina o di vedere
Katerina da bambina. Ma quel sogno era un fatto accaduto realmente nei primi anni ottanta
dello scorso secolo, quando erano piccole e abitavano nel paesino di Castelvenere.
Katerina ne aveva combinate tante e Mikela laveva sempre coperta. Come una brava
sorella. Come una complice.
Scese dal letto. Il display della radio mostrava le due e un quarto. Andò in bagno.
Mentre sedeva sul water ripensò allestate.
Di nuovo. Perché lestate? Si guardò nello specchio e udì una frase dentro la
testa.
E' accaduto destate.
Cosè accaduto destate? Quale estate?
Andò in terrazza e sentì subito sulla pelle il fresco autunnale. In fondo non era
inusuale. Quasi ogni inizio di novembre era caratterizzato dal bel tempo e dal poco
freddo. Le gelide bore invernali erano ancora lontane. Mikela fece qualche passo e
appoggiò le mani sulla ringhiera fredda. Un flash la colpì. Ritirò le mani. Cosè
stato? Aveva visto qualcosa, unimmagine brevissima. Lentamente, rimise una mano
sulla ringhiera. Il flash tornò e Mikela vide.
Si trovava davanti alla casa dei genitori di Nenad. Indossava pantaloncini corti. Guardava
un tramonto estivo e aspettava che Nenad tornasse dal lavoro. Teneva le mani sul recinto
di ferro e giocava ad alzare ed abbassare una gamba, come una ballerina classica.
Ricordava quel giorno. Doveva dire a Nenad che aveva ottenuto il posto presso
lufficio del notaio e lo stava aspettando per invitarlo a cena. Si trattava di
unestate di sedici anni prima. Non aveva più ripensato a quel giorno.
Avresti dovuto farlo.
Mikela rientrò in casa, con le mani sulle tempie. Non era accaduto niente quel giorno.
Erano usciti insieme e avevano cenato in un locale dell'agriturismo. Tutto lì.
Non proprio Mikela. Ti manca un pezzo.
Un pezzo? E stato sedici anni fa e un giorno di sedici anni fa perde pezzi per strada. E'
normale. Ma se non ricordava significava che non cera niente di importante da
ricordare, no?
Ne aveva abbastanza di quella tortura cerebrale. Tornò in camera e si rimise a letto. Le
lenzuola sapevano di fresco. Non ci mise molto ad addormentarsi. Sonno profondo, ma breve.
I suoi occhi erano di nuovo aperti e guardavano il buio della stanza. Iniziò a stringerli
e a riaprirli finché una strana fotografia prese forma nella sua testa.
Era limmagine di unautomobile. Una Fiat 126 rossa. Accanto alla macchina un
ragazzo castano teneva le mani incrociate e la guardava. Mikela aprì gli occhi e
cominciò a ricordare. Prima che arrivasse Nenad, quel giorno di sedici anni prima,
qualcuno aveva interrotto lattesa del tardo pomeriggio. Qualcuno le aveva fatto
compagnia per un po'. Era un pescatore, amico del suo fidanzato. Si chiamava Luca e aveva
due anni meno di lei.
Mikela deglutì e si mise a sedere ascoltando con la massima attenzione, quasi che il
ricordo dovesse arrivarle attraverso ludito. Stava seduta sul letto e ascoltava
senza muoversi e senza fiatare. I pezzi andavano assieme, il ricordo si stava completando.
Luca parcheggiò e scese dalla macchina con una borsa di arnesi. Salutò Mikela e le disse che era passato per restituire la roba di Nenad. Parlarono del più e del meno accanto a quel recinto. Dopodiché iniziò la descrizione esatta di qualcosa che sarebbe avvenuto sedici anni dopo, a meno di un chilometro di distanza.
Mikela era completamente rigida. I suoi arti erano congelati dallincredulità. Si coprì il volto con le mani. Inutile. Non poteva sfuggire. Il ricordo era completo ora e attaccava la sua mente con furore, sparando immagini, suoni e parole del progetto di omicidio di Aleksandra Novak.
Allora, come va, Mikelina? chiese il ragazzo sorridendo e
si avvicinò al recinto.
Benissimo. Lo sai che ho ottenuto il posto dal notaio? Questa sera Nenad e io
andiamo a festeggiare. La ragazza era radiosa e le brillavano gli occhi.
Beata te e, soprattutto, beato lui! Io ultimamente mi annoio da morire.
Come puoi annoiarti? Siamo in estate e ci sono un sacco di cose belle da fare.
Cose belle? Quali? Io non riesco piu a divertirmi ormai.
Come ORMAI? Hai 24 anni, giovane? Che ragionamenti fai?
Appunto. Ho 24 anni e ho provato tutto, non mi interessa piu niente.
Mikela lo guardava e non sapeva cosa dire. Conosceva bene Luca e conosceva bene le sue
lune. Era un ragazzo buono, ma irrequieto. Lei era abbastanza sensibile da comprendere che
quella sua sfrenatezza e latteggiamento ribelle erano solo bisogno di sentirsi voler
bene. Non disse niente. Decise di ascoltarlo perché intuiva che lui aveva bisogno di
sfogarsi.
Lo sguardo della ragazza fu un conforto e Luca iniziò a parlare:
Sai che ti dico? Non mi fermo, non ancora. Ma lo farò a quarantanni. Quando
avrò quarantanni non ci sarà più motivo per vivere e allora spezzerò la vita e
la fregherò in curva.
Non la mia, certo. La mia non conterà molto. Ne prenderò una giovane e fresca e
assaporerò la morte a pieni polmoni. Ho già deciso dove. Quel stramaledetto molo dove
lavoro ogni giorno. Ecco. Quel giorno ci andrò per uccidere. Lo farò allalba, il
giorno del mio compleanno. Prenderò una ragazza mora. Prima la picchierò. Poi le
toglierò i vestiti, così sentirà tutto il freddo della vita. Voglio violentarla
stringendole la gola. Ho sentito dire che si prova piacere, sai? Poi le taglierò il
ventre con un coltello, in modo da vedere più sangue possibile. Morirà in fretta,
comunque, e io lascerò su quel cemento la sua ombra di sangue. A quel punto avrò finito
e potrò sparire, ma di questo dettaglio non sono ancora sicuro. Potrei anche decidere di
restare. In fondo, nessuno sospetterà di me. Inoltre... di te mi posso fidare,
vero?
Ti prometto che non lo dirò a nessuno. disse la ragazza e spostò la testa di
lato. Gli sorrideva e non credeva ad una sola virgola di quello che aveva appena
raccontato. La promessa, però, era reale perché Mikela era fatta così. Una persona
fedele.
Sei proprio un poeta, Luca. Dovresti scriverle queste storie. proseguì poi
leggermente canzonatoria.
Lho scritta la mia storia, ma non con linchiostro.
Il ragazzo la salutò e con uno sguardo spensierato le augurò una bella serata. Accese la
sua 126 e partì lasciando dietro di sè un po' di fumo e nessuna impressione particolare
sulla giovane ragazza dai capelli rossi.
Nenad arrivò dieci minuti dopo e il suo abbraccio cancellò dalla mente di Mikela quelle
improbabili fantasie omicide e qualsiasi altro pensiero riguardante Luca.
Nel buio le mani di Mikela stringevano le lenzuola. Lespressione
del viso era smarrita. Gli occhi lucidi fissavano qualcosa di invisibile.
La notizia... la foto.... il male che mi porto addosso da tre giorni... il compleanno di
Luca e il primo di novembre... ha compiuto quarantanni... Aleksandra era mora... il
molo era... Dio... Ce lavevo dentro... avevo lomicidio dentro di me!
Nella sua testa i pensieri turbinavano. Mikela ora sapeva. Non poteva tornare indietro.
Non poteva chiudere quel giorno lontano in un cassetto della mente. Non poteva
ridimenticare.
Le prime luci dellalba rischiaravano la camera da letto. Nenad
dormiva. Nel bagno si sentiva dellacqua gocciolare. Mikela era seduta vicino alla
vasca. Il nodo alla gola era ancora lì, pieno di spilli. I suoi begli occhi verdi
desideravano piangere ma non ci riuscivano. Sentiva il cuore soffocarla, stretto nella
gabbia del petto. Sentiva lo stomaco in procinto di ingoiare se stesso.
Tenendo strette a sé le proprie ginocchia, la donna pensava a cio che era accaduto e alla
sua vita. Cera un bivio davanti a lei. Due strade diverse che si separavano per non
incontrarsi più.
Da una parte cera la vita tranquilla e sicura di moglie e madre; dallaltra,
una promessa assurda che le aveva intrappolato la coscienza sedici anni prima.
Ma dove ci sono due possibilita, quasi sempre, ce nè una terza. In unaltra
stanza buia della città qualcuno, forse, pensava a lei. Qualcuno poteva interrompere quel
dubbio e aiutarla a scegliere. Probabilmente lo avrebbe fatto.
...molto presto... sussurrò una voce.
Fuori un sole opaco salutava il mattino di mercoledi, 5 novembre 2017.