-Tec, toc- il vecchio orologio a pendolo scandiva inesorabilmente il
passare del tempo. -Tec, toc- continuava la sua marcia rituale seguendo il ritmo
ossessivo. Accanto, un grande camino di pietra diffondeva nella stanza il calore del
fuoco. Le sue allegre fiamme proiettavano strane forme sugli arazzi e sui tappeti persiani
in penombra. Sibille danzanti ed enormi creature mitologiche erano i protagonisti di
quelleffetto bizzarro.
-Tec, toc, tec, toc-.
Una misantropica tranquillità pervadeva il salotto, interrotta solamente dagli
innumerevoli scoppiettii provenienti dal focolare. Le rigide lancette dellorologio
proseguivano invece imperturbate il loro stupido viaggio circolare.
Un greve rintocco segnò la mezzora. Le dieci e trenta pomeridiane.
Al centro della stanza, seduto su una poltrona in pelle di daino, un uomo sulla
cinquantina danni accese la sua pipa. Il fumo, baldanzoso, si librò in aria con un
elegante vortice azzurrognolo.
Fece una lunga boccata, chiuse gli occhi per un attimo, poi espirò. Prese un foglietto
dalla tasca della sua vestaglia di seta bordeaux e si mise ad ispezionarlo.
Vi era scritto qualcosa: -A mezzanotte verrò-.
Poggiò la testa fra le mani, come per pensare meglio ed esclamò: -Che il diavolo ti
fulmini, se questo è uno scherzo!-, poi aggiunse: -Chiunque tu sia-.
Si alzò, e trascinando le pantofole sul grande tappeto, raggiunse il banco bar. Si servì
del whiskey e attese. Tec, toc, tec, toc-, undici possenti rintocchi annunciarono
lorario. Un profondo silenzio intorpidì il signor Plewascky nel momento in cui
cessarono quei suoni frastornatori. Bevve dapprima sorseggiando, poi vuotò il bicchiere
dun tratto. Una smorfia attraversò il suo viso. Riprese il biglietto fra le mani.
A mezzanotte
-. Per quanto si sforzasse, non riusciva ad immaginare chi mai
avesse potuto lasciargli un simile avviso sotto la porta. Esaminò la calligrafia. Niente
da fare, gli era sconosciuta. Non conosceva nessuno che sapesse scrivere in gotico con
altrettanta dedizione e meticolosità. Non una sbavatura, nessuna linea fuori misura;
neanche un minimo tremolio aveva percorso la paziente mano dello scrittore. Un lungo
sospiro lasciò traspirare il suo stato di nervosismo.
Pensava a parenti lontani, ad amici di vecchia data o a qualcuna delle sue innumerevoli
amanti che un tempo avevano incendiato il suo letto. Un fremito attraversò il suo corpo
al solo ricordo. Ma lipotesi che più andava radicandosi nel suo cervello, era
purtroppo allo stesso tempo, la più temibile. I suoi pensieri si contorcevano adattandosi
allo stato paranoico di cui era preda.
-Non ho paura di nessuno io!- urlò allimprovviso come un pazzo furioso.
Si avvicinò alla grande vetrina e la aprì con una piccola chiave che teneva appesa al
collo. Lessenza della felicità parve illuminargli il volto. Uninterminabile
serie di armi da fuoco, spade, balestre, pugnali e coltellacci erano collocati nel modo
più disparato in quella vetrina da guerra. Vi erano alcuni scoppietti, molti archibugi,
un fucile Michelet e ancora due o tre carabine, automatiche e non, e tutti dalle
decorazioni più affascinanti ed estrose. Di certo non mancavano poi le pistole, a tamburo
o con caricatore, le Browning e le Beretta. Come avere un esercito in casa dunque. Un
armeria come quelle che tanto avrebbero voluto gli uomini della resistenza nelle
insurrezioni civili o i goffi paltonieri parigini di Hugo nellassalto alla
cattedrale Notredame. Li ammirò per lennesima volta, poi prese fra le mani il suo
preferito. Era un archibugio tedesco particolarmente raffinato, arricchito da strani
emblemi in avorio da una parte e in ardesia dallaltra. Prese anche la polvere da
sparo e la bacchetta per caricare, quindi richiuse velocemente la vetrina ed andò a
sedersi di nuovo sulla sua poltrona. Poggiò il tutto sul tappeto ed attese.
-Gong!-, il pendolo richiamò la sua attenzione evidenziando lorario. Le undici e
mezzo.
Quel brutale rintocco risuonò nella mente del signor Plewascky con la stessa potenza con
cui il martello cozza contro lincudine. Goccioline di sudore cominciarono a riempire
i pori della sua fronte. Bestemmiò contro il fuoco, poi si asciugò con la manica della
vestaglia.
Guardava come ipnotizzato landirivieni del pendolo. Ogni oscillazzione gravava e
distorceva sempre più i suoi pensieri, alimentando lo stato di terrore nel quale era
precipitato.
Ora immaginava di stare lungo disteso sul tavolo di tortura dellInquisizione,
immobilizzato da corde e legacci. Vedeva il suo pendolo trasformarsi in un gigantesco ed
affilato strumento di supplizio che si avvicinava lentamente al suo povero corpo. Poi
tornò in sé e benedisse la vita per non averlo prescelto durante il Medioevo.
-Tec, toc, tec, toc-. A mezzanotte verrò-, diceva lannuncio.
-Ma chi? Chi è che verrà?-, disse tra sé e sé.
Andò alla finestra, e pulì il vetro dal vapore che vi si era formato. Guardò fuori ma
vide solamente i grandi abeti del bosco che circondava la sua abitazione. La luna
illuminava debolmente quel freddo paesaggio invernale. Si avvicinò alla porta, chiuse la
serratura con tripla mandata e agganciò la catenella di sicurezza.
Sospirò di nuovo e si decise a caricare la sua arma. Limpazienza guidava adesso le
sue azioni. Sapeva che non gli era rimasto molto tempo. Versò una quantità sufficiente
di polvere da sparo nella lunga canna dellarchibugio e la pressò con la bacchetta,
forse in maniera eccessiva. Imbracciò il pericoloso arnese e tirò verso di sé il lungo
cane di ottone dalla forma di foglia. Era pronto. Non era mai stato un codardo, e
questoccasione dimostrava bene la sua predisposizione allavventura e alle
situazioni drammatiche. Daltronde un uomo con una simile collezione darmi non
può certo essere un pacifista. Ma tutto ciò non era nè una battuta di caccia nè una
qualsiasi bagarre fra amici: una specie di sesto senso lo aveva avvertito del pericolo che
in qualche modo incombeva sulla sua persona.
Comunque fosse, pensava Jan Plewascky, la sua condizione mentale avrebbe risentito
dellansante attesa. Fece appena in tempo a pensarlo che udì delle urla femminili
nel bosco. Tese ludito: ora le sentiva avvicinarsi. Questa volta erano però
accompagnate da un orrendo miscuglio di ringhi feroci, ululati e altri suoni che
ricordavano vagamente i grugniti. Si affrettò nellaprire la porta blindata e si
fermò sulluscio.
Vide una sagoma nera corrergli incontro affannosamente e subito dietro un gruppo di forse
cinque o sei lupi che la fame faceva correre più del normale.
Il signor Plewascky prese la mira e fece fuoco.
Il fragore dello scoppio disperse le bestie come il vento autunnale spazza via da terra le
foglie secche. Il tragico fucile gli era scoppiato fra le mani.
A terra, in una pozza di sangue, luomo moribondo aveva ora il viso irriconoscibile.
Respirava affannosamente mentre fiotti della sua linfa vitale fuoriuscivano da quella che
una volta era stata la sua bocca.
La sagoma nera gli si avvicinò e si tolse il cappuccio. Era una giovane donna bellissima.
-Chi sei?-, le chiese lo sfortunato raccogliendo le sue ultime forze. I suoi occhi
piangevano lacrime di sangue.
-Sono la fatalità che ogni uomo incontra almeno una volta nella vita, la rinascita di
ogni essere vivente. Sono colei che voi erroneamente chiamate Morte-. Un dolce sorriso
attraversò il suo volto.
Il pendolo cantò i suoi dodici inni con straordinaria potenza, poi allimprovviso le
sue lancette si fermarono, esauste forse di quel lungo, stupido viaggio circolare.