Si
acquattò sotto il tavolone del laboratorio, con gli occhiali dalla montatura sottile
posati di sghimbescio sopra al naso, una delle lenti incrinata da una ragnatela di
minuscole fratture. Sentì la cosa muoversi contro la porta dello sgabuzzino materiali, la
sentì raspare, ansimare e infine gettarsi contro l'uscio chiuso nel tentativo di
liberarsi da quella gabbia.
Il diario con gli appunti presi negli ultimi mesi, contenente l'intera sequenza degli
esperimenti che lo avevano condotto alla riesumazione di quella spaventevole forma di
vita, giaceva come un cimelio di guerra sotto lo sgabello di ferro in fondo alla sala, con
la copertina immersa in un liquido verdastro rovesciatosi da un becker. La serratura della
porta esplose come colpita da un proiettile, mentre la mano adunca e ricoperta di squame
emergeva dallo stipite. Si fece ancora più piccolo nel suo precario nascondiglio, mentre
la cosa sondava la stanza alla ricerca di una qualche forma di vita. L'occhio giallo che
solitario si apriva nella fronte dell'essere, si soffermò sulla scatola in fondo al
laboratorio. La raggiunse, con una delle zampe afferrò una manciata di uova e gusci ormai
svuotati del loro contenuto. Li annusò, poi li gettò per terra, rabbiosamente, fiutando
tutto intorno alla ricerca del suo nemico.
Qualcosa attirò la sua attenzione. Un contenitore bianco ronzava in cima ad un bancone.
Si avvicinò circospetto, sempre annusando l'aria, poi immerse la mano all'interno del
contenitore da dove emerse con altre uova, questa volta integre, tra le dita. Dentro
all'incubatrice un sinistro scricchiolio annunciò lo schiudersi di altri esseri. Altre
creature che avrebbero avuto la forza e le sembianze dell'essere emerso dallo stanzino, la
sua stessa spietatezza, la sua stessa fame di carne umana.
L'uomo si fece sfuggire un singhiozzo, un verso di estrema paura e disperazione. La bestia
lo avvertì e non ci mise molto a localizzarlo. Mentre i passi pesanti e strascicati della
cosa si avvicinavano, l'uomo strinse nella tasca la fiala contenente il liquido verde. Lo
stesso traboccato dal becker, lo stesso che stava inzuppando le pagine del diario. Lo
stesso che in quei mesi aveva alimentato la crescita dell'essere che lo stava braccando,
ne aveva coltivato i tessuti, ne aveva promosso lo sviluppo all'interno del guscio spesso
del suo uovo. Emersero da dietro uno scrittoio le dita informi e i piedi verdastri della
cosa. Lo aveva trovato. In quel momento le parole di un vecchio aborigeno risuonarono
nella sua mente come un oscuro presagio:
"Nessuno è mai tornato dal luogo in cui quelle uova sono state raccolte. Nelle
grotte si nasconde qualcosa che non può essere portato allo scoperto. La cosa non deve
sapere che al di fuori delle grotte esiste un mondo fatto di uomini. Ciò accrescerebbe la
sua sete, e renderebbe la sua ricerca di cibo implacabile. Credimi, nel tuo paese sarai
anche un uomo importante, ma non sai nulla dei misteri che permeano la nostra terra
rossa!".