... leggo il nome scritto sul cartellino appuntato al bavero della sua
giacca rossa.
"Che cosa stai cercando di dirmi, Maurizio?", gli chiedo.
"Niente di particolare, soltanto che tu e altri quattro dovete andare..."
"Dobbiamo andare dove?"
"Là, per quella porta", dice Maurizio indicandomi una porta rossa di fronte a
me.
"Non mi va, qui c'è qualcosa che non va. Dimmi la verità: che cosa c'è dietro a
quella porta?"
"Nulla di cui tu e gli altri vi dobbiate preoccupare. La verità, soltanto la
verità", ribatte lui tutto tranquillo.
Ma io non sono tranquillo, non sono per niente tranquillo. So per certo che dietro a
quella porta c'è ad attenderci solo la morte. E questa certezza mi deriva da... da che
cosa? Non lo ricordo, questo è il dramma. Forse in sogno, forse durante un sogno ho avuto
una rivelazione.
"No, mi dispiace, io non vado", dico deciso a Maurizio. "E anche voialtri
fareste bene a non andarci", dico poi rivolto alle altre quattro persone, e questi mi
guardano con l'aria persa di chi si è appena svegliato. Ma d'altronde, anch'io non mi
sono appena svegliato? Non lo ricordo. Ricordo solo di essere qui, di essere stato sempre
qui, in questa specie di enorme stazione centrale, indeciso se andare o non andare per
quella porta rossa.
"Così non andiamo affatto bene, Diego. Non è così che devi gestire la tua
vita", mi spiega Maurizio sconsolato, come se a lui importasse veramente qualcosa
della mia condotta. "Tu devi andare là dentro; è per il bene di tutti, non lo
ricordi?"
"No che non lo ricordo", ribatto io. "E non riesco a capire come la mia
morte e quella di altri possa essere un bene per tutti."
"Deve esserti capitato qualcosa di brutto ultimamente se non riesci a ricordare una
cosa del genere, una cosa di vitale importanza per la nostra comunità."
"Mi vuoi dire che dietro quella porta si nasconde veramente la mia morte?"
chiedo io estremamente meravigliato.
"Ma che dici, sei proprio impazzito, Diego!" Maurizio è forse ancora più
meravigliato di me. "Che brutta e vecchia parola che hai usato. Non si tratta di
morte, ma di ri-ci-cla-ggio", scandisce bene la parola lui, come se si stesse
rivolgendo ad un bambino. E poi continua, come se stesse tenendo una lezione privata a
questo bambino stupido quale sono io. "Tutti noi conosciamo bene il giorno che
nasciamo e conosciamo altrettanto bene il giorno in cui verremo riciclati. Non capisco
proprio come tu possa averlo dimenticato."
Ma dove sono finito? È un incubo? Dio, spero tanto che sia solo un incubo. "Col
cavolo che tu mi puoi obbligare ad essere... ad essere riciclato, come cazzo dite
voi."
"Diego, nessuno ti sta obbligando." E poi, più piano, rivolto ad una persona di
fianco a lui: "Dev'essere proprio impazzito." E poi, di nuovo a me: "Senti
Diego, sei tu che hai deciso il giorno del tuo riciclaggio, e hai firmato un modulo nel
pieno delle tue facoltà mentali."
"Io che cosa?" Non credo a quello che ho appena sentito. È impossibile, io non
posso aver fatto una cosa del genere, e quando l'avrei fatto, poi? "Io non ricordo di
aver firmato proprio nulla."
"Diego, Diego, hai proprio qualcosa che non va. Ma d'altronde il riciclaggio serve
proprio anche a questo, oltre a rifornire la comunità di cibo."
Mi sento mancare, che cosa sta succedendo intorno a me? Tutto il mondo è impazzito?
"Tutti noi", continua la sua lezione privata Maurizio, "alla nascita
firmiamo questo modulo in cui decidiamo il giorno esatto in cui verremo riciclati. E a me
sembra che tu non ti sia affatto sbagliato su questa data, vedendo il tuo stato..."
Alla nascita firmiamo un modulo? Dio del cielo!
"Eh già, vedendo la tua faccia non ti sei proprio sbagliato. Scusa, mi dispiace,
Diego. Adesso ho capito. Vedi, alla tua età possono succedere cose del genere. E il tuo
è un caso molto raro di amnesia. Ma io non posso farci nulla, io sono un Angelo di Dio e
devo fare il mio lavoro. Su forza, andiamo verso la porta."
Angelo di Dio, amnesia, età... "Ma quanti cazzo di anni credi che io abbia,
eh?" gli chiedo io arrabbiato, indietreggiando di un passo, prima che lui mi afferri
per un braccio.
"Diego, hai centosessantasette anni. Nemmeno troppi, mi dispiace dirtelo."
Io mi guardo istupidito le mani e mi tocco la faccia: nulla è cambiato da... da quando?
Da quando ho/avevo ventitré anni?
Maurizio intuisce il mio disorientamento e mi dice: "Qui, Diego, qui." E si
indica con un dito la testa. "Il tuo cervello ha centosessantasette anni. Quando sei
nato evidentemente hai scelto esattamente questa data, sapendo che oggi non ti saresti
ricordato più niente... sapendo che oggi il tuo cervello non sarebbe più servito a
niente."
Che cosa vede la mia mente in questo momento? Sprazzi di ricordi? La mia mano infantile
che firma un modulo? Corridoi lucidi, stelle, colori, accelerazioni, decelerazioni, visi,
sagome, navette spaziali, razzi, missili, guerre, strani esseri... una vita intera a me
sconosciuta?
Intanto Maurizio mi accompagna verso la porta rossa, la apre e io scorgo un'infinità di
invitanti colori in movimento. Sento accrescere dentro di me il bisogno viscerale di
varcare quella soglia. Lo faccio. E sono avvolto dai col...