La legge del taglione

Racconto per il concorso "300 Parole Per Un Incubo", 2003

Era passata una settimana, ma li vedeva ancora.
Qualunque cosa facesse, a qualunque cosa pensasse, dovunque andasse, li vedeva sempre lì, piantati al centro dello sguardo. Si sovrapponevano a tutto ciò che guardava, piazzandosi là, nel mezzo dell'immagine e se ne stavano così, spostandosi con lui dovunque andasse.
Occhi. Grandi occhi spalancati ogni momento davanti a lui, davanti a tutti i suoi pensieri.
Gli occhi di Prospero che lo accompagnavano, piantati nel cervello, ogni giorno.
Ricordava ancora quando lo aveva ucciso, soffocandolo prima di cavargli gli occhi a mani nude, accecato dall'ira. Ricordava il piacere bestiale che aveva provato, la voluttà del Male che lo attraversava mentre affondava le dita in quelle cavità gelatinose e calde.
Aveva fatto tutto per bene. Inscenata una rapina si era dileguato nella notte. D'altronde non che fosse intimo con Prospero o che potessero nascere troppi sospetti. Era stato qualche ladro tossico colto sul fatto che aveva perso la testa, dissero.
Ma quegli occhi adesso lo seguivano; erano sempre con lui, lo spiavano, scrutavano fin dentro la sua anima. Il mondo non sospettava, gli occhi sapevano.
Gli occhi sapevano quello che aveva fatto, ed erano lì perché non lo dimenticasse mai più.

La terra era ancora fresca, e ci mise poco. Lavorava in modo febbrile, ché se avesse pensato anche solo un attimo a ciò che faceva sarebbe impazzito; quando la falce di luna illuminò i fregi della bara, ristette ansimante per qualche minuto.
Aprì la cassa, e si trovò a fissare il volto di Prospero; le due orbite nere e vuote sembravano enormi, urlavano, reclamavano ciò che spettava loro…
Mezz'ora più tardi aveva finito. Si alzò e si incamminò con passo incerto e barcollante, come un ubriaco. Il volto rigato da scure strisce di sangue, sorrideva.
Gli occhi non lo avrebbero più perseguitato, adesso.

Marco Gorra