Era passata
una settimana, ma li vedeva ancora.
Qualunque cosa facesse, a qualunque cosa pensasse, dovunque andasse, li vedeva sempre lì,
piantati al centro dello sguardo. Si sovrapponevano a tutto ciò che guardava, piazzandosi
là, nel mezzo dell'immagine e se ne stavano così, spostandosi con lui dovunque andasse.
Occhi. Grandi occhi spalancati ogni momento davanti a lui, davanti a tutti i suoi
pensieri.
Gli occhi di Prospero che lo accompagnavano, piantati nel cervello, ogni giorno.
Ricordava ancora quando lo aveva ucciso, soffocandolo prima di cavargli gli occhi a mani
nude, accecato dall'ira. Ricordava il piacere bestiale che aveva provato, la voluttà del
Male che lo attraversava mentre affondava le dita in quelle cavità gelatinose e calde.
Aveva fatto tutto per bene. Inscenata una rapina si era dileguato nella notte. D'altronde
non che fosse intimo con Prospero o che potessero nascere troppi sospetti. Era stato
qualche ladro tossico colto sul fatto che aveva perso la testa, dissero.
Ma quegli occhi adesso lo seguivano; erano sempre con lui, lo spiavano, scrutavano fin
dentro la sua anima. Il mondo non sospettava, gli occhi sapevano.
Gli occhi sapevano quello che aveva fatto, ed erano lì perché non lo dimenticasse mai
più.
La terra era ancora fresca, e ci mise poco. Lavorava in modo febbrile,
ché se avesse pensato anche solo un attimo a ciò che faceva sarebbe impazzito; quando la
falce di luna illuminò i fregi della bara, ristette ansimante per qualche minuto.
Aprì la cassa, e si trovò a fissare il volto di Prospero; le due orbite nere e vuote
sembravano enormi, urlavano, reclamavano ciò che spettava loro
Mezz'ora più tardi aveva finito. Si alzò e si incamminò con passo incerto e
barcollante, come un ubriaco. Il volto rigato da scure strisce di sangue, sorrideva.
Gli occhi non lo avrebbero più perseguitato, adesso.