Odiava il
buio da quando aveva sette anni, e ne aveva tutti i motivi, perché lui nel buio sentiva
GRATTARE.
C'era una stanza al piano di sotto, la cui porta era stata murata tanto tempo prima e che
lui non aveva mai visto, tranne che per l'esterno, che lo inquietava.
Non gli era mai piaciuta quella stanza, perché era da lì che proveniva il GRATTARE:
partiva lento, come un raschio, e si dipanava per le scale fino a raggiungere la sua
porta, il suo letto, le sue orecchie, il suo cervello. Quel rumore c'era sempre,
cominciava nel buio e nel buio finiva; ogni tanto si fermava per poi riprendere sui
gradini, e, qualche volta, continuava fino di fronte al suo uscio.
La COSA CHE GRATTAVA saliva con forti tonfi per le scale e un respiro rauco, ansimante,
per nulla umano, sempre grattando, lungo il muro intonacato.
Quando arrivava alla sua camera, il respiro diventava un verso sofferente, insistente,
incessante.
"SssssaaaaAAAaaaahhhh..." sibilava, chiedendo di entrare, facendo scricchiolare
le unghie lunghe contro il legno, ma lui non glielo aveva mai permesso, perché LEI la
luce la odiava, e allora lui l'accendeva, e tutto si fermava, svaniva.
Anche quella notte la cosa che grattava era tornata, e ancora aveva domandato di entrare:
grat-grat-grat...
Aveva ascoltato per qualche momento, poi si era voltato, cercando la luce, e l'aveva
accesa.
Non si era però reso conto che la lampadina si era fulminata quella mattina, e allora era
rimasto nel buio, freddato fra le coperte, incapace di muoversi, con la cosa che grattava
fuori dalla stanza che presto sarebbe entrata, il rumore delle sue unghie nelle orecchie e
l'urlo del suo sguardo perso nel vuoto della notte.