Ad Anna
E' la trecentesima volta che lo stereo mi rivomita addosso lo stesso, identico mantra.
Ossessivo. Saranno due ore! I timpani si sono assuefatti; non l'ascolto quasi più quella
canzone. Trecento, trecento volte. Lascio semplicemente che la mia puntina scorra sui
solchi bollenti, a frugarvi dentro, cavarci le note. Del suono importa poco. M'interessa
più vederle: crome e biscrome, saltellare giù, schizzare fuori dai tracciati e
trotterellare impazzite, danzando sul pavimento. Siedo in terra; attorno a me la danza dei
demonietti, delle note; la mia canzone. Alle spalle, freddo, il muro, monocromo, bianco.
Null'altro. Indosso le cuffie migliori
nessuna nota deve scappare
nessuna!
Debbo coprire i lamenti
già trecento. Trecento lamenti strazianti, trecento mani,
unghie che graffiano sul muro dei miei timpani. Graffiano, stridono. Non li sopporto più!
Continuo ad ascoltare questa musica, a trecento gradini da Lui, dai lamenti, trecento
passi dal suo abisso, laggiù. L'ho sentito, oggi, per la prima volta. Non sapevo.
E' lì,
sveglio, rintanato in un sudario di plastica. Un teschio. Laggiù, vivo, pulsante, ad
urlarmi contro rabbioso dalle orbite concave, vuote. "Colpa tua. E' tutta colpa
tua
E' solo colpa tua!". Non sapevo neppure che un esserino fosse mai venuto al
mondo. Quando? Dove? Mamma è morta da trent'anni, ormai. Vivo solo. Sono qui, da
trent'anni. Trenta o trecento. Lui, qui, non c'è mai stato. Mai visto, mai sentito prima.
Stanotte, solo stanotte, porge avido il suo conto!
Che venga a ricordarmi dove, oggi, mi si cerca, mi si attende? Che sia solo l'immagine
d'un altro me stesso? La musica è finita, trecento volte. Le note rosse, finalmente,
inondano il pavimento, danzano sulle mie braccia. Trecento anche loro. Mi spengo, mentre
di sotto, quel teschio, continua ad urlare. Mi spengo
esangue, con le sue grida
dentro!