Maurizio si
svegliò. Aveva sete. Bevve una sorsata dalla bottiglia sul comodino, ma era calda da fare
schifo. Avrebbe bevuto volentieri dell'acqua dal frigo, ma lì dentro c'erano quelle
bestiacce schifose, quelle anguille viscide che sua moglie aveva comprato al mercato del
pesce. Lei adorava quella porcheria.
L'indomani, rientrando dal turno di pulizie notturne al supermercato, le avrebbe
decapitate, ripulite delle interiora e cucinato la sua deliziosa frittura.
Quelle serpi nere provenivano da uno dei fiumi più inquinati che esistevano al mondo, ma
questo nè lui nè sua moglie lo sapevano.
Si riaddormentò, sprofondando in un sonno inquieto popolato di incubi dalle forme sinuose
e striscianti.
Si risvegliò e aveva la nausea.
Si mise a sedere in mezzo al letto. Una testolina nera e lucida, con occhietti
indescrivibilmente malevoli lo fissava, mentre la spirale di un corpo serpiforme,
altrettanto nero e viscido, si srotolava sulla sua gamba e si allungava repentinamente
sulla coscia. Maurizio, gli occhi sbarrati dal terrore e dal ribrezzo, scalciò
liberandosi da quella cosa immonda, e istintivamente si ritrasse a sedere sul cuscino.
Il letto, il pavimento, erano tutto uno strisciare di anguille, le piccole fauci
spalancate, le rosse gengive scoperte a mostrare miriadi di piccoli denti aguzzi, pronte a
mordere la loro vittima. Un orrore ancestrale spinse Maurizio a lanciarsi giù dal letto,
calpestare quelle serpi molliccie e scivolose e scappare via.
Liberò un potente conato di vomito, mentre continuava a scivolare e rialzarsi, e quelle
cose immonde lo mordevano a ripetizione.
Giunto nella cucina si bloccò, ipnotizzato dalla luce che proveniva dal frigo aperto.
Ebbe la grazia di morire d'infarto prima che la massa oscura e scagliosa di quell'essere
demoniaco terminasse di scivolarne fuori, prima che quella testa lucida di anguilla
mutante, a metà strada tra una vipera e una donnola, lo azzannasse ai testicoli.