Al cantiere

Racconto per il concorso "300 Parole Per Un Incubo", 2003

Edi chiuse la porta del capanno. Nella penombra un uomo stava in piedi accanto ad una piccola finestra.
«Avvicinati.» disse l'uomo.
Edi gli si avvicino.
«Guarda Edi, e li che l'ho visto.» l'uomo indicò un punto all'esterno, dov'erano allineati alcuni cassoni arrugginiti.
Edi guardò. Le sue mani sudavano.
«Signor Frank…»
«E li che l'ho visto.» ripetè l'uomo.
«Signor Frank… fuori mi aspettano…»
«Devi ascoltarmi Edi.»
Non voglio ascoltarlo. Ti prego Dio, non voglio ascoltare questa storia.
Nel locale faceva freddo, ma la fronte di Edi era madida. Sentiva il sudore nelle sopracciglia. Non voglio ascoltare ripeteva dentro di sè, pregando Dio di non fargli sentire ciò che i suoi colleghi avevano dovuto ascoltare prima di lui.
La grazia non venne. L'uomo iniziò a parlare.
«I cani non abbaiavano, Edi, non abbaiavano. Guardavano verso il container e non abbaiavano.»

L'uomo fissava un punto oltre il vetro sporco della finestra.
«Ero solo, Edi, ero solo e avevo paura e l'unico motivo della mia paura era il silenzio. Avrebbero dovuto abbaiare. I cani abbaiano a tutto ciò che si muove. Li c'era qualcosa che si muoveva e i cani non abbaiavano. Capisci Edi?»
Le mani sudate di Edi ora tremavano.
«Poi sentii il rumore e… lo vidi uscire...» l'uomo spostò lo sguardo negli occhi del giovane.
«Era nero, sospeso in aria. Era senza forma, ma io lo vedevo. E sopra aveva… credo che fosse uno specchio, rotondo. Mi guardava da quello specchio. Mi guardava ed era orribile, paralizzante. Poi si mosse, e di nuovo sentii quel suono. E quando si sposta che fa quel rumore. Volevo dirtelo.»
L'uomo guardò fuori, mise una mano sul vetro e disse un'ultima cosa.
«Credo che tornerà.»

 

Edi si svegliò ansimando. Nelle brande vicine i suoi colleghi tenevano gli orecchi coperti. Il rumore straziante era iniziato.

Roberta Dubac