Il portone
pesante d'ingresso si aprì, dopo un leggero rumore di chiavi scosse. Una lieve luce
penetrò nell'atrio buio e silenzioso: doveva essere già tramontato il sole. Una donna
passò la soglia, e richiuse il portone alle sue spalle. Il fragore prodotto riecheggiò
per tutto l'edificio. Fu di nuovo buio: quel filo celeste d'illuminazione fuggì,
dissolvendosi, inghiottito dal silenzio che aleggiava minaccioso come uno spirito
maledetto vaga triste e furibondo intorno al sepolcro. Il rumore di passi lenti e stanchi,
dopo una dura giornata, erano come pesanti tonfi e tristi scricchiolii. La donna si
diresse verso l'ascensore e pigiò il pulsante di chiamata. Una scritta luminosa
lampeggiò nel buio, e uno sprazzo di volto fu visibile. Aveva il viso magro, quasi
scarno, e i capelli lunghi e selvaggi lisciavano il trucco disordinato. Gli occhi tristi
brillavano di luce riflessa, scuri, e stavano sul volto quasi come fossero stati attaccati
da un maldestro artista. Rimase immobile con le spalle poggiate al muro ad aspettare, con
lo sguardo chino a terra, fisso sulle sue gambe nude. Un fragore improvviso terrorizzò il
mondo esterno, e il silenzio venne interrotto, ma solo per un istante. La vita, là fuori,
era ansiosa di una nuova alba, lei, invece, era ancora incastrata in quella sera che, come
tutti i giorni, era sempre più lunga. Diede uno sguardo alla parete di fronte. La
vernice, scalfita da scritte e scrostata in vari punti, doveva essere bianca un tempo. In
basso, all'altezza delle ginocchia, presentava profonde spaccature, causate dall'umidità,
che si diramavano, nodose, come braccia d'ossa di alberi smorti. La donna guardò le sue
ginocchia nude, graffiate e coperte di lividi viola.
" Che squallore...", pensò, e un disgusto acerbo le dipinse il volto.
Ripensò a ciò che aveva passato negli ultimi giorni: ne portava ancora i segni addosso,
e i suoi occhi gonfi di troppo pianto ne avevano ancora sentore. L'ascensore atterrò
rumorosamente, e il buio intorno venne penetrato violentemente dalla luce abbagliante
della cabina.
Lei aprì il portello ed entrò. Spinse il pulsante e rimase zitta, mentre
tutto intorno a lei si muoveva. Fu come se il silenzio selvaggio che presiedeva l'atrio
dell'edificio fosse riuscito ad insinuarsi nel suo respiro, e, indefinito parassita, la
seguiva invisibile e muto. La accompagnò al quarto piano, e lì dispiegò le polverose
ali fino a ricoprire, come una nebbia quasi dissolta, il pianerottolo. La donna uscì
dalla cabina e si guardò attorno: le scale, a destra, erano avvolte dall'oscurità. Si
diresse a sinistra, fino alla fine del pianerottolo, e si fermò. Portò le mani nella sua
borsetta, cercando le chiavi di casa. La debole lampadina che pendeva dal soffitto pesante
aveva reso visibili i contorni degli oggetti, ed era tutto più definibile. Lei era di
modesta altezza, ma le gambe fine e bianche. I graffi rossi risaltavano su tanta
delicatezza, e i lividi scuri erano come sangue su fiori bianchi. I capelli fin sotto le
spalle erano scompigliati e grassi.
Un'ombra scura si distaccò dalla buia distesa che avvolgeva le scale, come onde d'oceano
in piena notte s'infrangono su zattere docili che osano spingersi a largo, e le
risucchiano con implacabile violenza fino a trascinarle negli abissi dove né sole né
luna giungono. Si avvicinò lenta e minacciosa verso la donna. Aveva tra le mani un
bastone scheggiato che fece roteare sulla testa. Colpì con violenza alla testa. La donna
cadde con un urlo che straziò il vuoto intorno. Le mani lasciarono cadere a terra la
borsa, e gli oggetti si sparsero a terra. Il rossetto dipinse tinte scarlatte sul
pavimento. Colpi di tosse facevano sobbalzare l'aria silenziosa circostante che si
distendeva e si rapprendeva come tristi traiettorie imprecise di tenebra fuggono la luce e
si nascondono dietro oggetti, in agguato, o, di sera, quando il sole cade dal cielo,
avvolgono il mondo intero. La mano callosa afferrò i capelli di lei, e li tirò a sé.
Lei, trascinata all'indietro con violenza, cercò un appiglio con le mani, ma le sue dita
affondarono nel sangue che, fuoriuscito dalla bocca e dalla nuca, aveva formato chiazze
scure sul pavimento. Le mattonelle sporche vennero rigate dalle mani sporche, che
lasciarono rossi solchi nella polvere. L'uomo strinse il bastone con entrambe le mani. La
donna, tra le grida che laceravano la gola e il sangue che la soffocava, chiuse gli occhi.
L'uomo dal volto scuro la colpì più volte, silenzioso. Le sue mani si macchiarono del
sangue che zampillava dalle ferite inferte. Quando le grida cessarono, l'uomo in nero
lasciò cadere il bastone, e quello fu l'ultimo rumore che si riuscì a percepire. L'ombra
scomparve nel buio da dove era uscito. Il corpo freddo della donna rimase immobile,
straziato sul pavimento nel silenzio che aveva inghiottito l'aria. I suoi occhi erano
lucidi di lacrime che, nonostante la morte, scivolavano rigando il viso.