"Pensiamo nell'eternità, ma ci spostiamo lentamente nel
tempo", pensò la ragazza. Erano parole di Wilde; le aveva lette nel De Profundis
quando era ancora una studentessa universitaria iscritta alla facoltà di lettere.
"Una regola che per me non vale più", disse distrattamente scrutando con occhi
incerti la stanza in cui si trovava.
"A cosa ti riferisci?", le chiese l'uomo che le sedeva accanto. Lui non poteva
leggerle nel pensiero: perchè?
"Niente", disse in un bisbiglio e distolse lo sguardo dal suo volto.
"Capita di rado", le bisbigliò all'orecchio Lorenzo, "Nella nostra
comunità solo sette su trecento sono in grado di leggere la mente umana: io sono uno di
questi sette". Lorenzo sorrise alla sua nuova amica, la quale ricambiò con un
sorriso appena accennato.
Era triste. Quella villa abbandonata, sperduta nelle campagne alle porte di Milano, e la
nuova vita che si presentavano davanti agli occhi per l'eternità le infondevano solo una
gran tristezza.
"L'unico sentimento che mi è rimasto nel cuore; l'unico legame che ho con
l'umanità", pensò Linda posandosi la mano destra poco sopra il seno sinistro: il
cuore non batteva più. Silenzioso come una tomba.
Eppure respirava regolarmente.
"Come era possibile?" si chiese tra sè.
"Un'abitudine", le spiegò Lorenzo accarezzandole i capelli corvini, "Sei
ancora convinta di respirare, ma è solo una questione psicologica". Picchierellò
delicatamente con l'indice della mano destra la sua tempia, così pallida da sembrare
marmo levigato, per sottolineare ironicamente un fatto comunissimo.
Gli uomini e le donne che erano nella stanza con lei si alzarono improvvisamente a sedere
e quelli che erano in piedi accanto alla porta si fecero silenziosamente da parte per
lasciare entrare qualcuno. Dalla porta entrò un uomo alto e robusto, i capelli bianchi,
argento sotto il riflesso della luce lunare, erano inanellati e tirati indietro sulla
nuca. Portava un mantello scuro che lo avvolgeva dal collo in giù sino a sfiorare il
pavimento a scacchiera.
"E' giunta l'ora delle presentazioni, mia cara", le sussurrò Lorenzo mentre,
tenendola dolcemente per mano, la conduceva dal nuovo arrivato. Qualcuno accese le luci
nella stanza, che fino a quel momento era rimasta avvolta nelle tenebre, fatta eccezione
per la pallida luce che offrivano i raggi della luna.
"Oh, mio Dio...", furono le uniche parole che Linda riuscì a pronunciare quando
il suo sguardo, dopo aver sondato velocemente i volti esangui degli altri ospiti,
soffermandosi appena sui loro canini eccessivamente lunghi e gli occhi languidi, cadde
inevitabilmente sullo sconosciuto con il mantello scuro: era suo padre, morto tredici anni
prima.
Il padre di Linda era morto di leucemia perniciosa quando lei aveva da
poco compiuto dieci anni. Era stato un brutto colpo, soprattutto per quello che era
successo la notte successiva al suo funerale. Allora Linda aveva creduto che si fosse
trattato di un incubo molto vivido, ma adesso, mentre suo padre la guardava fisso negli
occhi, sapeva con certezza che era accaduto davvero.
Quella notte era tornato da lei, forse spinto dal suo nuovo istinto omicida, dalla sete di
sangue e non certamente dall'amore paterno. Aveva sentito bussare piano piano alla
finestra della sua camera da letto che si trovava al pian terreno: la sveglia di Linda
segnava le tre e un quarto del mattino. Lei si era voltata lentamente verso la finestra e
la luna, che quella sera sembrava un grosso faro bianco nel cielo, l'aveva investita con
la sua luce falsa e priva di calore.
"Il sole dei morti", così la definiva suo fratello Marco, appassionato di
horror.
Da sotto le coperte scrutava il giardino fatto di ombre, la fontanella che sgorgava acqua
scintillante e silenziosa perchè il vetro le impediva di sentire qualsiasi rumore ci
fosse là fuori. Linda non vide nessuno e sicuramente non c'era nessuno, altrimenti il
vecchio Jack, il suo pastore tedesco di settanta chili si sarebbe messo a abbaiare come un
pazzo.
Però, Linda era certa di aver sentito picchiettare debolmente sul vetro; Linda aveva
paura, ma era anche incuriosita. E questo sentimento traditore ebbe la meglio su di lei,
facendole abbandonare il suo letto e spingendola verso la finestra. Camminava piano sul
pavimento gelido, non voleva svegliare la madre. Stupidamente pensò che il padre fosse
tornato da lei per sempre, che tutto si sarebbe risolto per il meglio, che in realtà non
fosse morto...
In quell'istante, mentre appoggiava le piccole mani sul davanzale e allungava lo sguardo
per osservare meglio il giardino, suo padre le si parò davanti, dall'altra parte del
vetro, e la salutò con un cenno della mano destra e le sorrise, mostrandole due zanne al
posto dei canini. La sua faccia era priva di espressione e le dita delle mani, adunche,
sembravano artigli.
Linda urlò indietreggiando di fronte a quel mostro; urlò sino a quando svenne. Riprese i
sensi poco dopo grazie alla madre e al fratello che le erano corsi in aiuto non appena
avevano udito le sue grida. La madre le ripeteva che si era trattato di un incubo, che se
ci fosse stato qualcuno là fuori il vecchio Jack avrebbe dato l'allarme e che i mostri
non esistono: tre cose completamente errate. A provarlo c'erano tre prove inconfutabili:
primo, suo padre le stava di fronte proprio in quel momento. Secondo, il loro cane, la
mattina dopo quel cosiddetto incubo, non era mai più stato trovato.
Una mattina durante una battuta di caccia, un cacciatore, un certo Andrea Marchelli,
avrebbe certamente trovato la carcassa del vecchio Jack se uno strano essere alato non gli
fosse piombato addosso dall'alto e non lo avesse ammazzato, gettandone i resti sopra di
quelli del cane.
Terzo, i mostri esistono eccome e Linda ne era una prova vivente, più o meno da quando
era diventata un vampiro.
Sembrava proprio che l'uomo con il mantello non si ricordasse di lei.
"Con il passare del tempo molti dimenticano la loro vita mortale", le spiegò
Lorenzo mentre l'accompagnava nei sotterranei della metro.
L'orologio che aveva al polso segnava le quattro del mattino.
"Quanti anni hai Lorenzo?", gli chiese improvvisamente Linda.
Lui la guardò stupito: "Mi sembrava di avertelo già detto, Linda. Trentadue".
"No", disse lei, "non intendevo la tua età umana, ma quella... insomma
quanti anni hai in TUTTO?"
"Oh!", Lorenzo sorrise. "Centotre".
"Significa che sei più esperto di mio padre; perché allora è lui il capo di questa
comunità?"
"Perché è stato lui a fondarla. Io vivo qui da pochi anni. Prima cacciavo in
campagna, ero un tipo solitario. Poi ho scoperto che nelle grandi città corro meno
rischi. Scompaiono decine di persone ogni notte e la maggior parte della gente ne rimane
indifferente, soprattutto se si tratta di individui come loro". Lorenzo indicò un
ragazzo che camminava nella loro direzione, barcollando, lo sguardo era perso nel vuoto:
un drogato.
"Sarà il tuo primo pasto", disse asciutto Lorenzo.
"Co-cosa?", chiese inorridita Linda.
"Stai tranquilla, la sete avrà il sopravvento sulla tua razionalità e tutto ti
sembrerà naturale".
Linda guardava quello che, ormai lo aveva capito da un pezzo, sarebbe diventato il suo
amante nei giorni avvenire e avrebbe voluto dirgli che non ce l'avrebbe mai fatta; essere
un'assassina non le sarebbe mai riuscito. Ma quando vide il collo abbronzato del ragazzo
barcollante scintillare sotto la luce artificiale delle lampade impiccate al soffitto
della metropolitana, nella sua mente scattò qualcosa. Linda non si mosse nel senso
letterale del termine; fu la sua mente ad avvicinarsi al drogato tanto che notò la vena
pulsante accanto alla giugulare e qualcosa le solleticò il palato. Aveva sete, una
maledetta sete che doveva soddisfare immediatamente.
E così fece.
Erano due anni che viveva nell'ombra della morte e chiunque al suo
posto si sarebbe abituato dopo tanto tempo.
Linda non riusciva ad accettare quella vita oscura.
Non poteva fare a meno di pensare a tutte quelle persone che brulicavano per le strade di
Milano durante il giorno, che potevano godere della luce del sole senza incorrere in alcun
pericolo. Quanto le invidiava.
Voleva molto bene a Lorenzo e forse il suo problema dipendeva proprio da questo: c'era
ancora una piccola parte di lei che era umana e che le permetteva di provare dei
sentimenti, tra i quali il più grande era il dolore provocato dalla consapevolezza di
essere un mostro che seminava orrore e morte.
L'ultima sua vittima era stata una donna poliziotto e non era stato un caso; aveva dovuto
ucciderla per sfamarsi e per impossessarsi delle sue manette. Linda aveva capito che non
poteva andare avanti così e aveva deciso di farla finita; si sarebbe legata alla
ringhiera della terrazza al secondo piano della villa e avrebbe atteso l'alba. Almeno
l'avrebbe vista per l'ultima volta.
Lei e gli altri vampiri si erano da poco ritirati nelle loro bare disseminate nella
cantina della villa abbandonata, perché la notte era quasi giunta al termine.
Linda sgusciò silenziosamente fuori dal suo letto di raso e uscì dalla cantina in cui
aveva vissuto gli ultimi due anni della sue tetra esistenza. Si diresse al piano superiore
lasciandosi alle spalle relitti di vecchi mobili, tende sgualcite e lampade spente
ricoperte da secoli di polvere. Linda arrivò sulla terrazza nell'ala est della villa
quando all'orizzonte si era appena disegnata la striscia d'avorio che separava la terra
dal cielo.
"Eccola!", disse entusiasta Linda mentre si affrettava a serrare i due anelli
delle manette intorno ai suoi polsi, dopo aver fatto passare la catenella di metallo che
la univa tra due sbarre della ringhiera.
Mentre l'alba di quel mattino nasceva, Linda provò un po' di rammarico al pensiero di
lasciare Lorenzo; si era affezionata a quell'uomo vampiro; era stato lui a condannarla a
vivere nella luce del sole dei morti, ma non l'aveva fatto per cattiveria. Quando Lorenzo
l'aveva vista agonizzante nelle lamiere della sua auto dopo il violento incidente in cui
Linda era stata coinvolta una notte di febbraio del 1999, lui le si era avvicinato perché
voleva sinceramente porre fine al suo dolore, uccidendola, e soddisfare contemporaneamente
la sua sete di sangue. Linda era ferita gravemente, respirava a malapena e Lorenzo,
sentendo il cuore debole della ragazza con i suoi sensi da vampiro, aveva capito che i
soccorsi non sarebbero mai arrivati in tempo per impedirne la morte.
Era stata lei a supplicarlo di non lasciarla morire, vero? Era stata proprio Linda a
chiedergli di fare tutto il possibile pur di salvarla e Lorenzo aveva raccolto la sua
disperata preghiera.
"Dunque la sola responsabile della mia disgrazia sono io", pensò Linda mentre i
primi raggi del sole le bruciavano le braccia.
"Ho voluto ritardare la mia morte", continuò a voce alta piangendo per il
dolore e inalando il cattivo odore della sua carne bruciata, "E questo è stato uno
sbaglio".
"Se devo morire che sia almeno con il sole dei vivi", fu l'ultimo pensiero che
le attraversò la mente.
Il sole consumò in fretta il suo corpo, il dolore che la ragazza provò fu atroce e
fulmineo, tanto che non ebbe neppure il tempo di gridare.
L'alba del tre maggio 2002 fu l'ultima che Linda vide.
Nella notte seguente una creatura notturna trovò un paio di manette legate alla ringhiera
della terrazza nella villa in cui si rifugiava ogni notte con la sua compagna; ai suoi
piedi un cumulo di cenere accarezzato da un venticello primaverile era tutto ciò che
rimaneva della sua amante.