Le lacrime non facevano in tempo a scendere fino alla bocca che già evaporavano tanto era forte il calore sprigionato dalle lampade. Ma lei si sforzava, cercava di continuare tra un singhiozzo e l'altro. Le parole venivano meno e interminabili silenzi inondavano la sala. Il dolore dipinto sulla faccia. Il dolore, spesso nascosto tra le mani, di aver perso una parte di sè, la più grande.
Chiara aveva quindici anni. Li aveva compiuti solo 2 mesi prima.
Quel giorno sarebbe dovuta andare a scuola. I corsi di recupero duravano appena una
settimana e la frequenza era obbligatoria. Dal sei al quattordici di settembre. Ma la
tentazione di prolungare l'estate aveva vinto e i suoi genitori non ne avevano fatto un
problema visto l'impegno che comunque aveva dimostrato durante lo scorso anno. Due materie
da recuperare ma le insufficienze si limitavano ad un 5 in matematica e un'altro in
chimica che sulla carta della pagella era stato camuffato da 6 grazie al buon cuore della
professoressa. "La ragazza ha una gran testa", aveva ripetuto alla madre di
Chiara durante i colloqui, "non è molto portata per la materia ma l'impegno è
esemplare".
La pecora più candida della famiglia, al contrario del fratello. Diciannove anni lui, di
cui sei di superiori, dalle quali si era allontanato il luglio dello stesso anno dopo un
esame che egli stesso usava definire "imbarazzante". Su una sua biografia
avrebbe voluto il sottotitolo "Una vita dedita all'ozio e al death metal".
L'esatto contrario di Chiara, il cui nome ne illustrava già ampiamente l'anima.
Un giorno di vacanza in più non avrebbe ucciso nessuno.
Era una splendida giornata e l'aria fresca del mattino non pungeva più di tanto, vista la
stagione.
Lei adorava restare seduta in mezzo agli alberi, sulla riva del piccolo fiume che solcava
le campagne, venendo giù attraverso le colline dietro casa. Adorava restare lì, lontana
da tutto, con più tempo per pensare, e magari 5 minuti da dedicare ad una sigaretta, la
quale avrebbe sicuramente sconvolto la tranquillità in famiglia. La scusa di sempre era
Fieldy, un labrador un po' sovrappeso dal pelo giallo, che veniva portato a sgranchirsi
una volta al giorno. L'importante era tornare a casa per l'ora di pranzo. A mamma e papà
non piaceva mangiare soli e suo fratello era solito uscire dal mondo dei sogni intorno
alle due del pomeriggio.
Ma quel giorno, verso le 14, quando Marco scese in cucina per fare "colazione"
si rese conto di non essere l'unico ritardatario. Chiara non si era ancora vista.
"Papà è andato a cercarla", disse sua madre.
Alle 15.30 circa Paolo piombò in casa e, senza dire una parola, si diresse verso il
telefono. 112. Dieci minuti attaccato alla cornetta durante i quali le facce di madre e
figlio divenivano man mano più bianche. Qualcosa era stato ritrovato nel bosco
retrostante, ma quel qualcosa non era Chiara. Mezz'ora dopo ciò che rimaneva del cane,
rinvenuto a poco più di un chilometro da casa, era chiuso in una busta nera di nylon
appoggiata fuori dalla porta posteriore.
Quello che 36 ore dopo gli uomini della centrale si trovarono di fronte
fu un corpo nascosto in un'incavatura della roccia, accanto ad un corso d'acqua. In quel
punto si formava una pozza di circa 6 metri di diametro e, più o meno, 2 di profondità.
D'estate era frequentata dai ragazzi che volevano refrigerio senza dover per forza pagare
il biglietto della piscina pubblica locale.
Il cadavere era steso scompostamente di schiena sulla pietra bagnata, in penombra. Marco,
che aveva ignorato l'ordine dei genitori di rimanere a casa, si era avventurato con le
forze dell'ordine tra i boschi e insieme a queste aveva assistito a quella visione. Lo
sguardo fisso sulla sorella seminuda avvolta in una coperta grigiastra più probabilmente
per lo sporco che per la tintura di fabbrica.
Chiara era bellissima anche in quello stato. I capelli biondi, inispiditi dall'acqua e
dalla polvere, che le coprivano in parte il volto bianco. La pelle chiarissima striata da
innumerevoli graffi e arrossita quà e là da ematomi di varie forme e dimensioni. Il
corpo straziato giaceva in quel buco scuro in mezzo alla pace del bosco, e Marco si
sorprese ad accennare un sorriso, poi soffocato dalle lacrime.
I giorni dopo il ritrovamento la tensione schiacciava gli abitanti di
quella casa. E le telefonate, le condoglianze, le visite di parenti e amici non
miglioravano la situazione. Un continuo sforzarsi di sopportare gli sguardi. E le
telecamere. I microfoni sbattuti in faccia. "Come si sente?", "cosa la
spinge ad andare avanti?". "Stronzate!", pensava Marco, "tutte
stronzate". Lo infastidiva vedere i propri genitori che soccombevano alle assurde
domande di quel branco di iene. Facevano fiction sulle disgrazie altrui. E ciò che lo
infastidiva di più era vedere mamma e papà che non sbattevano la porta, non reagivano a
quell'invasione. A nessuno di quegli avvoltoi sarebbe piaciuto avere una mandria di
colleghi accampati fuori casa per accaparrarsi la migliore dichiarazione. Ed era questo
che gli augurava, un destino simile a quello toccato alla sua famiglia. Così avrebbero
capito. Si domandava perchè a nessuna di quelle stupide ragazzine viziate, figlie di
autonominatisi "giornalisti al servizio della gente" era toccata la sorte della
sua sorellina. Perchè non a quelle inutili quanto vuote catechizzate del cazzo? Perchè
non a loro?
In qui giorni presenza fissa, e (unica) ben accetta, in casa era Luca Raimi, fidato amico
di famiglia. Lui e sua moglie frequentavano i Fulci praticamente da sempre. Condividevano
le ferie, la passione per la tv spazzatura e una routine grigia ed estremamente anonima.
Un lavoro insoddisfacente e senza vie d'uscita che permetteva un tenore di vita medio in
cambio dell'anima che avrebbe voluto volare verso mete più ambiziose. Il sogno di una
vita da vip.
Nonostante già padre, madre e fratello avessero riconosciuto il corpo
la sera del ritrovamento, una telefonata richiese la presenza dei genitori ancora una
volta, senza specificarne il motivo.
All'arrivo all'obitorio furono informati di un nuovo "dettaglio" identificato
nel cadavere.
Percorso un lungo corridoio completamente ricoperto da piastrelle bianche e cadenti,
arrivarono ad una stanza, rivestita nello stesso modo, ma con il soffitto decisamente più
alto, anche se indistinguibile nel buio che quei fradici neon ciondolanti si lasciavano
dietro. Arrivati in mezzo allo stanzone si ritrovarono circondati da una decina di tavoli
metallici. Poi la fredda occhiata di un uomo in camice e dopo 30 secondi ecco arrivare
l'undicesimo tavolo. Tutt'altro che sgombro, al contrario degli altri.
Ancora una volta Chiara. Con gli occhi chiusi che continuavano a fissare sua madre. Un
lenzuolo la copriva dalla vita in giù. L'uomo col camice bianco lo abbassò fino sotto il
ventre. Marito e moglie si strinsero la mano per farsi forza l'un l'altro. Circa cinque
centimetri sotto l'ombelico della ragazza si distingueva nettamente un groviglio di
ferite. Minuscoli squarci sulla pelle che andavano a formare una stella a cinque punte
inscritta in un cerchio di sei/sette centimetri di diametro.
La primavera successiva portava la conclusione di tutta la vicenda con
la condanna a 30 anni di reclusione per Marco. Secondo i media la passione per
l'esoterismo e le decine di libri in materia ritrovati nella sua stanza insieme alle
dichiarazioni di non precisati tester e alle "magliette riportanti lo stesso
pentacolo inciso sul cadavere" lo avevano inchiodato. Inoltre quella mattina, come
molte altre della sua vita, il ragazzo era privo di alibi viste le oziose abitudini.
Un insospettabile futuro studente di teologia in carcere per violenza carnale e successivo
assassinio della sorella. Un'altra storia senza lieto fine. Un'altra storia con un finale
shockante e assolutamente inaspettato. Un'altra famiglia sconvolta da una doppia tragedia.
Un'altra famiglia che piange la morte di due figli, incredula che il sangue del proprio
sangue sia stato capace di tali efferatezze. Una mente deviata sfuggita ad un'educazione
esemplare, come avrebbe potuto testimoniare Chiara, ragazza senza colpe ne difetti.
"Lei che nemmeno fumava", come amava ripetere sua madre Monica nel pianto,
davanti alle telecamere.
Luca e sua moglie restarono sempre molto vicini ai Fulci. Ospiti fissi
a cena e unici numeri chiamati al telefono. Sempre accanto, a dire "coraggio".
Anche davanti alle telecamere, quando le lacrime non fanno in tempo a scendere fino alla
bocca che già evaporano tanto è forte il calore sprigionato dalle lampade. Sempre
insieme, anche nei talk show. Dove mentre Luca stringeva con una mano la spalla di Monica,
per farle forza, lei piangendo ripensava alle sere mesi prima dell'accaduto. Sere passate
a parlare con suo marito e Luca, a precisare, a programmare, ad analizzare ogni più
piccolo particolare. Marco voleva troppo bene alla sorella e non avrebbe mai accettato
quell'idea. Luca era indispensabile, doveva essere lui ad andare nel bosco, loro non ce
l'avrebbero mai fatta, dicevano. Era la prima sera. Quando tutto iniziò per scherzo
mentre guardavano alla tv lo stesso talk show di cui ora erano i protagonisti.
Monica piangeva. Lacrime di commozione per aver finalmente coronato il proprio sogno e
essere anche riuscita ad aiutare un amico a realizzare il suo. Si sentiva al settimo
cielo. Ma sapeva che era solo l'inizio e che avrebbe dovuto tenere duro per non rovinare
tutto. E sapeva che anche gli altri avrebbero dovuto tenere duro. Non avrebbe permesso che
il successo che si era guadagnata con tanta fatica, la popolarità, la sua tanto sospirata
vita da vip appena agli albori, fosse distrutta dalla debolezza di due uomini.
Ma perché pensare al peggio. Andava tutto a meraviglia. Aveva finalmente tutto ciò che
desiderava. Tutto ciò che gli era stato portato via in cambio di una vita normale, in una
famiglia normale.