Il clic
della serratura scattò docile al primo frullare del grimaldello. Le zampe rattrappite dei
due pitbull dondolavano agonizzanti nel giardino indicando la luna che, enorme esplodeva
placida nel cielo. Il mugolìo sempre più flebile degli animali era soffocato dal nastro
adesivo, e trascinato in suoni bassi e lunghi nel formicolìo scuro del fogliame scosso
dal vento. Le tagliole mostravano la loro dentatura lucente sugli arti spezzati che
lentamente spurgavano fiotti di sangue, le ossicine inguainate dalla gialla membrana della
muscolatura spuntavano come la molla rotta di un vecchio gioco.
La villetta sorgeva mostrando il profilo di un angelo accovacciato proprio sulla sommità
della collina. Dopo una serie di tornanti ciechi, di scheletri di fabbriche e bar
agonizzanti luce del Totip la statale moriva in quell'ultima curva. Spento il motore, i
fari dell'auto si aprivano un varco su un vasto lago di cemento, più in là, ai margini
s'intrecciavano gli arbusti di alberi scossi dal vento, qualche panchina vuota sul
belvedere del lago, una fontanella urinava stanca.
Le ali argentee del palazzo erano due sinuose scalee che si aprivano a fisarmonica sul
giardino, mentre lassù, finestre azzurre e balconcini barocchi a mezzaluna erano
l'avamposto del Paradiso.
Un'alta palizzata bianca chiudeva piccoli pini e i sogni dei ricchi. Il primo dei due,
quello più tarchiato e maligno, sputò per terra e disse: - Ma è sicuro?-
- E' sicuro - rispose l'altro sottraendosi allo sguardo di pece del compagno. La cicatrice
sulla guancia pareva un'ombra senza fondo.
Il portone scivolò silenzioso aprendosi sul budoir. Foglie di piante tropicali gettavano
ombre larghe e aguzze sui muri, statue bianche dalle orbite vuote fissavano enigmatiche.
La luce azzurrina di un acquario palpitava quieta all'ingresso del salone. Piccole bolle
friggevano sul fondo e percorrevano un breve tragitto ascensionale prima di esplodere in
superficie. Un traffico ordinato di pesci enormi saettava colorato. Qualcuno boccheggiava
per alcuni istanti a pelo d'acqua poi riscompariva in un guizzo lucente.
- Deve sembrare tutto vero - disse il più basso e ombroso dei due guardando interrogativo
la scala a chiocciola. Il respiro fondo della mobilia echeggiava sul pavimento di marmo
lucido. L'argenteria brillava febbrile da mille nicchie incastonate sui muri, dai bassi
tavolini, dai comodini panciuti. Dietro le ampie vetrate un silenzio vegetale restituiva
un calma irreale.
- Sbrighiamoci potrebbero accorgersi - disse quello della cicatrice scuotendo il più
magro dall'estasi della visione. I movimenti furono rapidi e silenziosi: dopo un'analisi
d'insieme i due si lanciavano ora sguardi, cenni e ammiccamenti che volevano dire un
assenso o un diniego. Da una parte all'altra della sala piccoli coni luminosi delle torce
piroettavano dalle pallide mura a primissimi piani della refurtiva, dettagli bruciati
dall'ondata della luce elettrica che doveva sancire in pochi secondi il valore
approssimativo della merce.
I volti si allungavano roventi nella mezzaluna luminosa delle torce poi rimaneva la bocca
e infine le mani che rapaci sfilavano dalle nicchie e infilavano nei sacchi. Spuntarono
altri sacchi di liuta che in breve inghiottirono un cospicuo bottino che deformava
l'intelaiatura.
- Ricordati di rovesciare i cassetti e le sedie -
- Non me ne sono dimenticato - sussurrava l'altro e già tratteneva il riso nervoso mentre
sventrava con il taglierino cuscini e poltrone. Una piccola nube di piume d'oca
galleggiava irreale a mezz'aria. I movimenti rapidi e felpati dei due creavano piccoli
turbinii bianchi nella sala.
Lo sfregiato rinserrò il taglierino, un lento sgocciolìo disegnò un arco irregolare e sfrangiato sulla moquette, il lavoro era terminato. Nella penombra i pomi d'avorio del letto matrimoniale emergevano nivei, come vessilli nudi di un relitto alla deriva, nel mare della notte. Dalla specchiera il profilo dei due corpi immobili, rigidi, i volti, maschere di cera afflosciate tra fonde linee nerastre.
Li osservi andare via, si allontanano zigzagando nel giardino rapidi con i sacchi pieni. Appoggi il dorso della mano contro il cristallo della finestra. L'alito del tuo respiro si contorce lieve nel buio. Uno dei due si volta, abbandona il sacco per terra, un'esitazione nei suoi occhi. Inquadra la finestra, ti scruta interrogativo. Quel volto, no, Dio mio, non si può far finta di niente. Te lo sognerai, lo sai già, per tutte le notti che restano.
Dall'alto gli fai un breve cenno con la mano, lo saluti. L'altro ora lo scuote per la giacchetta violentemente, lo sprona a raccogliere il sacco, gli fa cenno di fare in fretta, ti guarda per un ultima volta, con terrore.
Dietro una porta, il rumore soffocato di una melodia, monotona, quasi
malinconica diresti. La apri, con le ciabattine di spugna scivoli esitante verso il
corpicino seduto davanti al riflesso bluastro del monitor. "Hanno fatto, Luca?"
"Sì, hanno fatto." La musichetta ora è più ossessiva. I due fratellini sono
seduti fianco a fianco, come due angioletti, con i piedini non toccano il pavimento,
appollaiati sulle sedie. Afferrano i due joystyck, mentre sequenze liquide e colorate
scorrono sul monitor. I pigiamini celesti si confondono, quasi ingoiati dalle deboli
esplosioni di luci del giochino. Le loro ombre s'intrecciano sul muro, sottili sottili,
lunghe lunghe come fiamme agonizzanti. L'eco flebile delle loro risatine scivola dietro la
porta, soffia tra le scalinate, nelle stanze, già invase da un odore, intenso,
insinuante, di morte.