Ecate

Il professor John Stern stava per gustare il dolce sapore della vittoria. Anni e anni di ricerche e di studi
(anni e anni di sudore)
e finalmente ce l’aveva fatta!
Dopo mesi di scavi in quella che fu l’antica Tessaglia, nella Grecia settentrionale, alla fine era riuscito a realizzare il sogno di tutta una vita: riportare alla luce una stanza segreta, situata in un antico tempio dedicato ad Ecate, la mitologica dea; la tricipite vergine del regno sotterraneo; la mangiatrice di carogne e d’escrementi.
La gioia nei suoi occhi era immensa, tanto che suo figlio Andrew - appena quindicenne -, che lo aveva accompagnato nella spedizione unendosi ad un’altra decina di persone, si sentì quasi imbarazzato nell’avvicinarsi al padre per complimentarsi con lui a riguardo della fondatezza delle sue ricerche. Non si avvicinò. Lasciò, in silenzio, il professor Stern godersi la sua scoperta. «Lo sapevo! Lo sapevo che la stanza esisteva... lo sapevo!» sibilava avidamente l’archeologo, mentre un membro della sua scorta, uno dei suoi studenti, facendosi meno scrupoli di Andrew, domandava, scusandosi per l’ignoranza, maggiori ragguagli su Ecate. John Stern guardò il suo interlocutore con occhi spiritati di indescrivibile emozione, poi cominciò a parlare, usando lo stesso tono che utilizzava quando teneva le sue lezioni all’Università o le sue conferenze. «Ecate - disse - secondo alcuni mitografi fu figlia di Asteria e del titano Perseo; secondo altri, figlia di Zeus e di Demetra. Era adorata come dea delle strade e le erano consacrate porte e crocicchi, dove erano eretti piccoli altari con la sua effigie. E’ affine ad Artemide, impersonata dalla Luna e, come tale, anche divinità delle ombre, degli spettri notturni e perciò amica delle maghe quali Medea, che era considerata la sua sacerdotessa. Ecate era anche riconosciuta come una delle divinità che accompagnavano le anime dei defunti agli inferi. Anche a Roma, e non soltanto in Grecia, verso il terzo e quarto secolo, il suo culto era molto diffuso; ella fu rappresentata da molti scultori - e qui Stern indicò la figura impressa sui tre sigilli che garantivano l’autenticità della stanza appena scoperta - come figura tricipite, poiché si vedevano in lei espresse le tre fasi lunari, oppure le sue tre attività divine: celeste, terrestre e ctonia».
A quel punto Andrew, sentendo che il ghiaccio era stato spezzato, chiese con malcelata ed ingenua curiosità: «Papà, credi che questa stanza sia stata murata e nascosta dagli stessi costruttori del tempio?»
«Dai documenti in mio possesso sono propenso a credere che sia avvenuto qualche secolo dopo. Ecate era molto temuta a suo tempo, tanto che la notte, nell’antica Grecia, si assumevano guardiani di cadaveri allo scopo di impedire alle streghe tessaliche, adoratrici della dea, di divorare i corpi di coloro che erano morti recentemente. Chissà quante e quali nefandezze si sono consumate in suo nome, al di là di questo muro: cose tanto inenarrabili che, probabilmente, quando il culto di questa dea-regina cominciò a declinare, si tentarono di eliminare le tracce di quei mostruosi sacrifici murando la stanza e cercando di cancellarne il ricordo, ma le superstizioni sono dure a morire, tanto che il mito è giunto fino a noi».

Dopo aver pronunciato queste parole il professor Stern decise che non c’era più tempo da perdere e si avvicinò al portale murato, dove facevano bella mostra i tre sigilli.Tutti gli altri, invece, indietreggiarono un po’ intimoriti, compreso Andrew.
Il professore raccolse da terra un piccone e con colpi violenti, incurante di preservarne l’integrità, distrusse la porta di pietra, mandando in frantumi i sigilli. Ciò che gli apparve davanti furono un breve corridoio buio ed una scalinata che sprofondava nella fredda roccia.
«Datemi una torcia, per favore», domandò John Stern in tono autoritario ma quasi assente. Qualcuno gliene allungò una. L’archeologo l’accese e discese avidamente i gradini, contandoli ad uno ad uno con voce potente. «Uno! Due! Tre! Quattro! Cinque...»
I membri della spedizione lo sentirono contare, con un tono sempre più flebile e lontano, poi non si udì più nulla. Di fronte a John Stern, al termine del settantasettesimo gradino, si presentò una specie di pianerottolo, con una seconda porta, ornata da immagini celestiali e sublimi, ostruita da un’icona. L’uomo puntò la torcia verso la pietra e vi lesse ad alta voce ciò che vide scritto in greco antico, traducendolo, quasi simultaneamente nella sua mente:
«INFERNALE, TERRENA E CELESTE... DEA DEI CROCEVIA, LUCE GUIDA, REGINA DELLA NOTTE, NEMICA DEL SOLE, AMICA E COMPAGNA DELLE TENEBRE; TU CHE GIOISCI ALLA VISTA DEL SANGUE CHE SCORRE; TU CHE VAGHI TRA LE TOMBE NELLE ORE DI BUIO, ASSETATA DEL SANGUE E DEL TERRORE DEI MORTALI; GORGONE, MORMO, LUNA DALLE MILLE FORME MUTEVOLI...»
La preghiera si troncò, e all’improvviso si udì uno scricchiolio, dapprima leggero, e poi sempre più forte... l’icona si frantumò come cristallo e mostrò dietro di essa un buio antro.
Colto da un’emozione crescente, John Stern chiamò a gran voce i suoi compagni di spedizione, ma nessuno riusciva più a sentirlo laggiù, nelle viscere della terra, e troppo fioca era la luce della sua torcia per potersi addentrare da solo nella grotta.
Stern decise quindi, seppure a malincuore, di tornare indietro per chiamare i suoi colleghi e ripercorse ansiosamente a ritroso i settantasette gradini.
Pochi minuti dopo tredici persone, con altrettante torce, illuminavano la stanza segreta. Lo spettacolo davanti a loro era a dir poco impressionante: le pareti erano completamente ornate di scritte, graffiti ed affreschi perfettamente conservati; incastonati in essi vi erano una miriade di rubini color rosso sangue che risplendevano tetramente alla luce delle tredici torce. In mezzo alla sala vi era un altare, sul quale poggiava un vaso raffigurante Medea: la sacerdotessa di Ecate; l’incantatrice di Giasone, ed il Vello d’oro.
John Stern non riuscì a trattenere le lacrime.
Trascorsero così alcuni lunghissimi silenziosi istanti in quella cripta profonda che custodiva i poteri delle ombre e di una sapienza ormai dimenticata...
«Le streghe tessaliche - mormorò John Stern, continuando a piangere commosso - sapevano “tirare giù la Luna...” avevano cioè il dominio delle forze lunari... ogni aspetto maligno delle forze lunari...»
(tirare giù la Luna!)
Come ipnotizzato, l’archeologo si avvicinò all’altare e gli s’inginocchiò innanzi...
(tirare giù la Luna!)
con mani tremanti prese il vaso di creta...
(tirare giù la Luna!)
e lo aprì.
Un fumo nero e denso uscì da esso e volò furtivamente oltre la prima porta, salendo i settantasette gradini, ed oltrepassando la seconda porta, fino a disperdersi nell’aria aperta.
Un abbaiare assordante ed un latrato lancinante di cani
(i cani dell’Inferno! Cerbero! I cani dell’Inferno!)
paralizzò di pauroso terrore i tredici uomini, ed i frammenti d’icona, come i tasselli di un mosaico completato da mani invisibili, si ricomposero chiudendo l’unica via d’uscita, e mostrando affreschi dalle forme di mostruosi demoni mai visti da occhi umani.
Soltanto John Stern parve non accorgersene, inginocchiato e piangente davanti all’altare. Biascicava frasi sconnesse,
(tirare giù la Luna!)
mentre l’aria veniva a mancare e l’alto soffitto, lentamente, scendeva rendendo sempre più bassa la stanza.
Stern sollevò lo sguardo con pupille dilatate ma prive di luce, mentre i raggi delle torce illuminavano l’antica volta della cripta.
Essa non era liscia e ben levigata come le quattro pareti laterali, ma raffigurava; anzi: ERA un volto enorme di pietra, sul quale erano scolpite fauci ghignanti, simili ad una bocca con denti enormi ed appuntiti che si apriva e si chiudeva; si apriva e si chiudeva
(tirare giù la Luna!)
e si abbassava sempre di più... di più... di più, aprendosi e chiudendosi… aprendosi e chiudendosi...
«Il viso di Ecate! E’ il viso di Ecate!», gridò con tutta la sua voce Stern, mentre la bocca lo stava divorando (e con lui altre dodici persone), tra l’orrendo guaire d’invisibili cani, che copriva ogni urlo e lo scricchiolio di ossa spezzate, e tra gli schizzi di sangue dal color di rubino.

Davide Vaccino