Durante i
suoi primi dieci anni di vita, Francesco era stato al centro delle attenzioni di tutti gli
adulti che gli gravitavano attorno. Abituato alla sua condizione privilegiata di figlio
unico, non si era mai aspettato che la sua vita potesse cambiare, finché sua madre una
sera gli annunciò che stava per avere un fratellino.
Per tutta la gravidanza i suoi genitori tentarono di convincerlo che avrebbe finalmente
avuto un nuovo compagno di giochi, pur sapendo che per i bambini undici anni di differenza
pesano quasi quanto mezzo secolo per gli adulti. Francesco e il fratello sarebbero infatti
cresciuti in due realtà differenti, sempre in bilico tra l'indifferenza reciproca e la
costante gelosia, fino a quando non fossero diventati abbastanza grandi da trovare degli
interessi in comune.
Il parto si rivelò più difficile del previsto, tanto che la madre di Francesco rischiò
di morire e dovette rimanere in clinica per due settimane. Tornata a casa, ci mise molto a
riprendersi, anche perché il piccolo Marco - come si lamentava spesso suo padre con i
colleghi - aveva scambiato il giorno per la notte e per mesi non fece mai addormentare i
genitori prima dell'alba.
Dopo la nascita del fratellino, Francesco non solo smise di essere coccolato e vezzeggiato
da tutti, ma iniziò ad essere considerato esageratamente viziato e troppo scalmanato,
inoltre i genitori lo rimproveravano costantemente di non sapere giocare da solo e di non
essere capace di farlo con i bambini della sua età. Per non essere continuamente
sgridato, Francesco imparò allora a muoversi il più silenziosamente possibile, ad
entrare e uscire dalle stanze senza essere visto e a nascondere bene i guai che combinava.
Finita la scuola, in vacanza dai nonni in campagna, si abituò ad avere come compagni
preferiti di gioco se stesso e i giocattoli che poteva portare facilmente con sè quando
usciva di casa da solo e si perdeva per le stradine del paese, o attraversava i campi per
raggiungere il fosso sotto al ponte. Visto che aveva assunto apparentemente un fare più
assennato, i genitori lo lasciavano andare, purché tornasse in tempo per la cena. Gli
regalavano così ogni giorno un pomeriggio intero in cui era libero di fare ciò che più
gli piaceva.
Quell'estate Francesco scoprì le bolle di sapone, un gioco certamente antiquato rispetto
ai robot super equipaggiati dei suoi compagni di scuola, ma che acqua e detersivo per i
piatti rendevano inesauribile e che entrava facilmente nello zaino che aveva sempre sulle
spalle.
Una sera, tornando a casa, si accorse che il tabaccaio doveva aver fatto grandi pulizie,
perché davanti alla sua saracinesca abbassata il terreno era tutto bagnato. Francesco
soffiò una grande bolla che si posò su una pozzanghera insaponata e assunse la forma di
una cupola che prese a ondeggiare nell'acqua. Poiché le nuove bolle che faceva si univano
alla prima senza scoppiare, il bambino decise di scoprire quanto grande poteva diventare
la mezza sfera prima di esplodere.
In pochi secondi si fece più alta di lui, allora con molta cautela la toccò con un dito,
sorprendendosi che neanche così scoppiasse. Delicatamente vi introdusse tutto l'indice,
ritraendolo immediatamente perché gli era parso che l'aria dentro la bolla fosse gelata.
Dopo qualche istante trovò il coraggio di infilarci la mano intera, non provando più il
freddo che si aspettava, ma un piacevole tepore, mentre all'esterno cominciava a
rinfrescare poiché il sole era scomparso dietro le case.
Francesco provò allora ad entrare nella cupola con il braccio e il piede destro, poi con
metà del corpo ed infine con la testa. Attraverso la pellicola trasparente che separava i
suoi occhi dal mondo esterno, poteva vedere il paese deformato, con le case che si
allungavano e i tetti che tendevano a confluire verso un unico punto, posto sopra la sua
testa. Era tutto molto buffo, ma guardando in alto gli parve di vedere due lune, una
purpurea e una d'oro. Spaventato, si ritrasse, portando fuori tutto il corpo. Ovviamente
in cielo c'era un'unica luna, per cui Francesco pensò che doveva essersi lasciato
ingannare da un effetto ottico, simile a quello che gli aveva fatto vedere alterata la
forma delle case.
A pensarci bene, il paese visto da lì dentro era proprio diverso: le mura di ogni
costruzione erano colorate di tutte le sfumature del viola e dell'azzurro, porte e
finestre sembravano costruite per giganti magrissimi e le piante sui balconi avevano fiori
che tremolavano e sembravano trasudare un liquido rossastro, simile al sangue. Francesco
si stupì anche di non vedere bene il volto delle persone che gli passavano accanto, ma
che era in grado di riconoscere benissimo quando tornava fuori dalla bolla, scoprendo
spesso che si trattava di suoi parenti che gli ricordavano che era già l'ora di cena.
Il bambino non capiva perché gli adulti che incontrava non mostrassero il suo stesso
stupore per la gigantesca mezza sfera che galleggiava ancora intatta nella pozzanghera,
finché non concluse che per i grandi non si trattava altro che di un nuovo gioco
infantile, di nessuna importanza.
Nel frattempo sua madre era uscita di casa per cercarlo, lamentandosi nuovamente tra sè
di avere un figlio disubbidiente che non si ricordava mai di guardare l'orologio quando
era occupato a combinarne una delle sue. Francesco la sentì che camminava a passo spedito
nel vicolo accanto al tabaccaio, chiamandolo a gran voce, seccata perché non era ancora
tornato a casa. Non le rispose subito, poiché prima voleva vedere che aspetto avesse sua
madre deformata dalla cupola trasparente.
Con un unico balzo portò tutto il corpo dentro la mezza bolla di sapone e aspettò che la
madre svoltasse sulla strada principale.
L'ora di cena era passata da un pezzo e sulla tavola apparecchiata la
minestra si stava già raffreddando. La donna cercava il figlio che un cugino e uno zio le
avevano riferito di aver visto giocare vicino al tabaccaio. Girò l'angolo e per l'ultima
volta gridò il nome del bambino. Gli rispose un suono debolissimo, come se una bolla
piena d'aria fosse esplosa per le vibrazioni create dal suono della sua voce.
La donna arrivò davanti al tabaccaio dove non trovò il figlio, ma solo una pozzanghera
in cui si agitava dell'acqua sporca, fenomeno che trovò molto strano perché non tirava
un alito di vento.
La mezza sfera era appena scoppiata e sull'acciottolato bagnato era rimasto solo un
barattolo di bolle di sapone ormai vuoto, che la donna riconobbe come uno dei giocattoli
del figlio.