Dario
lasciò che il bicchiere semivuoto di birra gli scivolasse addosso, dopo aver resistito
eroicamente un numero imprecisabile di minuti, in bilico sul precario appoggio del
bracciolo del divano. Lui ci stava sopra, a quel divano, ormai avvolto da un sonno
pastoso.
Il sapore dolciastro di quella rossa alsaziana, al doppio malto di whisky, la pioggia
battente, al di là di quella finestra di condominio fatto di troppe finestre, l'ora tarda
ed il lontano chiacchierio di una televisione-sonnifero che vendeva trapani e compressori
ad un'umanità compressa, lo avevano sospeso nel quotidiano, consueto stato di
semi-incoscienza, dove rifugiarsi in un oblio nel quale, almeno così sperava, il ricordo
di lei gli avrebbe dato tregua, concedendogli una pietosa pausa.
Ma era un'illusione. Quando il bicchiere semivuoto di birra gli cadde fra le gambe
facendogli emettere un piccolo singulto di risveglio, Dario tornò alla realtà di quella
notte solitaria quel tanto che gli bastava per trascinarsi fino al letto. La sua mente era
un impietoso turbinio di ricordi ed una specie di morsa gli gravava sul petto e nella
gola, impedendogli di ricordare in modo più che vago cosa volesse dire sorridere.
Si lasciò cadere sul letto con il ricordo di Elisa, del suo volto, del suo inconfondibile
modo di ridere, di guardarlo, di piangere, di amarlo. Poi quelle terribili immagini...
Dio, perché non poteva strapparle da sé, con la propria mano, immersa nel cervello,
dalla sua mente!? Non era passato nemmeno un mese da quando Elisa aveva sacrificato i suoi
35 anni sull'altare di un destino impietoso che aveva assunto la forma di un mostro
metallico chiamato automobile, trafitta a morte da un palo di ferro scivolato assurdamente
da un camion che precedeva l'auto di lei. Minuti di dolore che obnubilano, che
frastornano, che inebetiscono... Le scene, da quel giorno, si ripeteranno continuamente,
come in un inverosimile film inceppato, nella sala di proiezione della mente di Dario.
L'auto che lo trasportava, quel giorno maledetto, seguiva a ruota quella di Elisa.
Entrambi stavano recandosi ad un concerto del loro cantante preferito, allo stadio di San
Siro, ma lui dopo, avrebbe dovuto partire immediatamente per un viaggio di lavoro e non
avrebbe avuto il tempo di riportare Elisa a casa. Per questo, decisero di usare entrambe
le macchine. Per questo, Dario si maledisse un numero incalcolabile di volte distrutto da
un insopportabile senso di colpa.
Erano felici: quel concerto avrebbe segnato, per loro, l'inizio di una nuova esistenza.
Uscita da un matrimonio fallimentare che era riuscita finalmente a lasciarsi alle spalle,
Elisa aveva trovato il coraggio di investire la fiducia della sua grande e sfortunata
anima, sognatrice e pericolosamente ingenua, nell'anima di un altro uomo, più anziano di
lei di quasi dieci anni ma a lei tanto simile. Dicevano sempre, nei momenti migliori del
loro decennale rapporto, che per vedere l'anima di una persona bisognava amarsi come si
amavano loro, condividendo, addirittura, i sogni. Quanti progetti insieme, quanti
programmi avranno fatto? L'età anagrafica diveniva per essi un particolare del tutto
privo di importanza e si ritrovavano a pianificare sogni, mescolandoli con una realtà
spesso cinica, come se fossero stati ragazzi del liceo. Anche Dario aveva voltato le
pagine tristi di una relazione estenuante fatta di compromessi, ripicche e nevrosi.
Finalmente, il rapporto con Elisa si sarebbe concretizzato in quella "nuova
vita" verso la quale i loro destini avevano tanto congetturato, in quegli anni di
snervante clandestinità. Anni in cui, tuttavia, non erano stati con le mani in mano. Lui
aveva potuto avviare con discreto successo un'attività di agente finanziario, cosa che
non gli piaceva se non nella misura in cui gli dava la possibilità di garantire ad Elisa
un futuro abbastanza tranquillo; lei, invece, era felice del suo lavoro, un lavoro verso
il quale entrambi sapevano di stare convergendo in una sorta di condivisione ideale di
vita, uno stile, uno spirito. Il negozietto che Elisa aveva avviato vendeva erbe, pietre,
idee regalo da tutte le parti del mondo, strani oggetti antichi e moderni, libri di sogni
per gente che sogna... L'aveva chiamato "L'angolo di Elisa", e ci si dedicava
con tutta se stessa, sempre alla ricerca di nuovi oggetti, di materiale interessante, di
ninnoli e stranezze che si "sintonizzavano con il suo cuore", come amava
ripetere. Era ancora un negozietto in una via secondaria di un quartiere un po' decaduto
della vecchia Milano, ma con Dario, le cose avrebbero assunto un aspetto diverso.
Nessun businnes in stile americano, nessuna spersonalizzazione, ma solo uno stile
"diviso in due", finalmente vissuto alla luce del giorno, a cui dedicare viaggi,
ricerche, insomma, la vita... Ma la vita si fermò, quel giorno di ottobre sulla
tangenziale est di Milano. Pioveva proprio come tante altre notti, come quella notte, in
cui Dario si arrese di nuovo al tormentante film che proiettavano nella sua mente. Il
cartellone non cambiava mai... E rivide, per l'ennesima volta, la disperata frenata di
Elisa, forse quando il palo l'aveva già inchiodata al sedile dell'auto; risentì lo
stridore della sua frenata, sull'asfalto bagnato, per non andare a sbattere contro l'auto
di Elisa, l'accorrere al suo sportello e il trovarsi di fronte alla scena maledetta che,
di questo passo, l'avrebbe portato alla follia... Lei respirava ancora. Il suo volto aveva
una strana espressione, a metà fra il dolore e lo stupore. Affondò lo sguardo negli
occhi di lui che guardavano impazziti quella scena e provò a tendergli una mano. Le sue
labbra tentarono di lasciar passare qualche parola che un rigurgito di sangue soffocò per
sempre. Dario cadde semplicemente a terra come un fantoccio, seduto sull'asfalto metre i
rumori esterni si affievolivano nel nulla...
Spruzzi di pioggia sferzavano la finestra e Dario si rigirava nel letto
in preda al solito sonno angosciato.
Ad un'ora indefinita, forse non troppo lontana dall'alba, un suono prolungato e
penetrante, ben definito nella sua asettica tecnologicità, filtrò nella coscienza di
Dario e lo riportò allo stato di veglia. Il telefonino, dimenticato da qualche parte
nella stanza, aveva ricevuto un messaggio sms. Di norma, Dario ignorava semplicemente
simili avvisi, soprattutto da quando Elisa non c'era più ma, quella notte, qualcosa lo
indusse ad andare a cercare il telefonino per leggere il messaggio. Nessun motivo che,
razionalmente, rendesse tale scelta condivisibile. Fu una scelta semplicemente istintiva.
Rintracciò l'apparecchio fra un mucchio di oggetti di cancelleria e di toilette personale
sparpagliati a casaccio su un basso tavolino. Si portò vicino all'abat-jour del comodino
e si sedette sul letto. L' sms diceva:
"La vuoi sempre vedere, la mia anima?"
Crudele!... Quello scherzo era semplicemente crudele..
Dario gettò lontano il telefonino e si lasciò andare sul letto senza nemmeno la voglia
di pensare a chi potesse avergli voluto fare un simile, cinico scherzo. Il mondo era
pazzo. La vita è una merda. La filosofia di Dario, ormai, poggiava su capisaldi semplici
ma incrollabili che gli avevano creato una sorta di corazza inscalfibile.
La notte seguente, il cielo di Milano lasciava trasparire una pallida luce lunare. Un vento terso e freddo annunciava il prossimo inverno. Dario si buttò, come sempre, sul letto, reduce dall'ennesimo inconcludente ciondolare fra divano, computer, televisione e frigorifero. Poi, dopo un indefinibile periodo di pseudo-sonno, di nuovo lo stesso suono metallico, penetrante del telefonino. Era giunto un altro messaggio sms. Dario, un po' istericamente, accese la luce, si tirò fuori dal letto e rintracciò subito l'apparecchio. Lesse il messaggio:
"Non perdere la tua anima. Ti amo. Va al nostro negozio. Ely".
Un misto di sentimenti contrastanti pervase l'animo di Dario. La rabbia
divenne più stemperata e lasciò il posto anche ad una strana sensazione, qualcosa che
potremmo definire, forse, "speranza"
Di cosa? Non lo sapeva nemmeno lui. Fatto sta che quella mattina si precipitò all'
"L'angolo di Elisa", rimasto chiuso dal giorno dell' incidente. Non si accorse
che portò decisamente con sé il telefonino, come se *avesse dovuto* farlo. Le chiavi
erano rimaste nel mazzo di Dario che, fino ad allora, si era rifiutato di ritornare in
quel negozio. La saracinesca salì rumorosamente e la porta a vetri, poco dopo, si aprì
facendo suonare un pendaglio cinese che richiamò impietosamente alla memoria di Dario
giorni ormai perduti per sempre. La luce del giorno illuminò oggetti e scaffali che
parevano appartenere ad un'altra vita, ad un altro mondo. Dario si aggirò come un
fantasma fra essi senza nemmeno sapere cosa stava cercando. Vide il tavolino-scrivania a
cui stava seduta spesso Elisa e notò, con un dolore lacerante, un blocchetto di appunti
su cui c'erano ancora gli scarabocchi che era solita fare quando telefonava. No, tutto
questo non aveva senso. Tormentarsi così per uno stupido scherzo era semplicemente
pazzesco. Dario si decise ad uscire da quel negozio: la ferita era ancora troppo aperta.
Stava per appoggiare la mano sulla porta del negozio quando, ancora una volta, il
telefonino, che aveva in tasca, gli segnalò l'arrivo di un messaggio.
Con un gesto di stizza, Dario afferrò l'apparecchio e lesse:
"La mia anima. Ci sei vicinissimo amore. Ricordi il 28 marzo? La mia anima è racchiusa in quel giorno. Ely."
Il 28 marzo?... Dario credette di impazzire. Che significava? Non era
mai stato un campione di capacità mnemoniche ed in quello stato, poi, disperava di essere
in grado di ripescare qualcosa da un tempo che, ormai, lo aveva abbandonato.
Vagò per altri interminabili minuti fra incensi indiani, pendagli malesi, cristalli e
pietre multicolori senza riuscire a capire il senso di quella data. Poi, all'improvviso,
un'intuizione. Qualcuno potrebbe definirla un "suggerimento"... Sì, Elisa
teneva un diarietto, da qualche parte. L'aveva sorpresa più di una volta scrivere su un
quaderno in pura fibra vegetale, decorato a mano, che lui gli aveva regalato qualche mese
prima, nel tempo perduto. Che stupido!... si disse. Elisa, gli aveva sempre detto che quel
quaderno conteneva i segreti della sua anima e che lui avrebbe potuto leggere solo quando
lei lo avesse voluto. Ma certo! Elisa lo teneva chiuso a chiave in un cassettino del suo
tavolo-scrivania, quello a cui si era avvicinato qualche minuto prima. Tornò a
sedervicisi di fronte con ansia. Sì, c'era un cassettino, vicino al computer, chiuso a
chiave, una chiave che Dario non aveva idea di dove si trovasse. Provò tirare il cassetto
ma non si aprì opponendo una certa resistenza. Dario era deciso a forzarlo e stava già
cercando con lo sguardo un oggetto di cui servirsi come leva, quando giunse inaspettato un
altro segnale di messaggio sms.
Dario estrasse freneticamente il telefonino tanto che quasi gli sfuggì di mano. Il
messaggio, preciso ed essenziale come in un irreale caccia al tesoro, diceva:
"La chiave della mia anima è dietro allo schienale. Ti amo. Ely."
Dario si alzò di scatto e guardò dietro lo schienale della sedia su
cui un istante prima era seduto e su cui si era seduta innumerevoli volte Elisa.
Esplorò con la vista e con il tatto tutti i contorni della sedia, che era fatta di stoffa
e legno, in uno stile classico, non certo da ufficio.
Finalmente, in un punto del contorno in rilievo di legno dello schienale, notò un piccolo
oggetto piatto, argenteo. Era una chiavetta... Bastò fare un po' leva fra schienale e
contorno perché la chiavetta cadesse fra le mani di Dario.
Con un'ansia facilmente immaginabile, aprì il cassetto. Le mani gli tremavano. Trovò il
quaderno di Elisa e lo sfogliò
Trascorsero minuti interminabili in cui Dario lesse di Elisa ciò che sapeva già: era
un'anima meravigliosa, una donna che non ci sarebbe stata bene, a lungo su questa terra...
I suoi appunti erano datati. Dariò cercò il 28 marzo. Si asciugò gli occhi dalle
lacrime, e cercò di far entrare nel suo spirito ogni singola parola che stava leggendo:
"Che bel giorno di primavera! Il mio amore oggi mi ha regalato
un semplice e modesto mazzo di rose ma a me sembra di essere tornata ragazzina... Lo ha
fatto con tale semplicità che mi ha commossa. Adesso è in qualche ufficio a parlare di
soldi degli altri ma io lo tengo sempre qui, al mio fianco, dove solo io posso vederlo.
Anzi, visto che oggi è una giornata in cui gli affari vanno un po' a rilento, voglio
proprio scrivergli questo come se lui fosse davvero qui e mi leggesse: chissà, forse un
giorno leggerà davvero queste parole e sarà il giorno in cui avremo capito che nulla,
nemmeno la morte potrebbe mai dividerci. Allora, vediamo un po'... Sì, ecco.
Amore mio, orso testone della mia vita, oggi sei entrato di fretta nel negozio come tante
altre volte, ma nei tuoi occhi c'era la luce più bella che avessi mai visto. Mi hai dato
quelle rose che ora tengo qui davanti a me. Poi mi hai baciata e sei corso via. So che
vorresti stare qui. Ma tu ci sei, ci sarai sempre. Non so se avrò mai il coraggio di
farti leggere queste mie sdolcinature da ragazzina, ma siccome è un po' di tempo che a
volte, di notte, quando non sei con me, sogno una cosa strana, voglio scriverti queste
parole come se tu potessi davvero sentirmi. Nei miei sogni ti vedo solo, nella tua stanza,
senza di me. E vedo che ti manco, come se fossi morta. Nei sogni non sei felice e non
trovi pace. Perché? Temi forse di perdermi?
Stupido che non sei altro! Vedi? Anche se vuoi nascondermi qualcosa dei tuoi pensieri, io
li sogno. Non devono esserci segreti fra noi. Ma che stupida! Io ti faccio la predica e
sono qui che scrivo un diario segreto...
Beh, voglio solo dirti che devi smetterla di apparire nei miei sogni come se mi avessi
persa. Niente, ricordalo, niente e nessuno ci dividerà mai. E se un giorno io morissi
prima di te, quello sarà il giorno in cui ci uniremo per sempre in un modo diverso ma
ancora più forte perché sappi che io non ti lascerò un solo istante senza la mia
vicinanza.
Vedo persone che osservano la vetrina. Credo che entreranno, perciò ti saluto, amore.
D'accordo, allora? Guai a te se ti sogno ancora soffrire perché credi di essere rimasto
solo!... Tua inguaribile sognatrice Ely."
Il pendaglio cinese suonò come sempre quando Dario si richiuse la
porta del negozio alle spalle. La morsa al petto lo aveva abbandonato. C'era un'aria
frizzante, insolitamente pulita in città. La inspirò profondamente come per iniziare una
nuova vita. Dario guardò il telefonino. Il display diceva:
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