Un sole
pallido ormai stava tramontano, trascinando con sè tutto ciò che alla sua luce era parso
limpido e reale, lasciando il palcoscenico al fosco regno del crepuscolo. Nel cielo dense
nubi ammantavano lorizzonte come un tetro tendaggio mortuario, spinte da aliti
freddi. Nebbie sottili cominciarono a danzare tra i tronchi degli alberi, lambendo fin le
più intricate fenditure delle loro cortecce e sussurrando nei più intimi recessi delle
loro contorte radici. Il grigiore di un autunno piovoso rivestiva ogni sagoma stringendo
lanima nelle grinfie dellombrosa e inevitabile sera.
Il bosco sembrava fremere allarrivo delle tenebre, vibrando le sue appendici scarne
come in adorazione delle forze misteriose che dominano la natura stregata.
La Ford Focus grigia era quasi pronta, presto avrebbe ripreso la strada tortuosa
riportando i suoi passeggeri alla caotica città. Lisa e Tino però non ne avevano ancora
abbastanza della libertà e spensieratezza che quelle giornate in mezzo i boschi gli
donavano. Sapevano che una volta saliti sullauto di papà, avrebbero fatto ritorno
nelle loro prigioni di cemento e allindomani avrebbero ripreso ad andare in quel
luogo inutile e odiato che gli adulti chiamavano scuola.
La domenica purtroppo sarebbe arrivata solo dopo sei lunghi giorni che a loro sembravano
sempre un eternità di sofferenze e dolore.
I due fratelli saltellavano rincorrendosi a pochi passi dai genitori, intenti a riordinare
i rifiuti del giorno e a posizionare il prezioso carico di funghi porcini che avevano
fatto.
Lisa aveva sette anni, era un bambina estroversa e gioiosa e non perse tempo ad esortare
il fratello (cinque anni), più timido e mammone, a sfruttare ancora qualche momento di
libertà per i loro giochi. Sorridendo, velocemente gli rubò dalle mani il suo orsetto
Buby (quello che parla dicendo cose tipo vuoi giocare con me?-) e corse via
infiltrandosi nello stretto sentiero, tra cortecce antiche e rugose.
Il fratello urlandole di ridarglielo si buttò a capofitto allinseguimento,
allontanandosi dagli occhi vigili (?) dei genitori.
La piccola correva sentendo dietro di lei il sopraggiungere del fratello, i suoi biondi
capelli ricci saettavano al crepuscolo contrastando con limbrunire, uscendo dal
cappuccio rosso del suo impermeabile nuovo.
Alberi grigi infittivano sempre più le loro fronde rinsecchite formando una galleria
naturale dai connotati fiabeschi.
Ad un tratto di colpo la piccola si fermò.
Loscurità del tramonto aveva allungato i rami delle piante, che ora sembravano
artigli ritorti protesi per ghermirla, così come le loro cavità, sembravano trasformate
in bocche zannute e parevano colme di occhi scintillanti. Tutto ciò che fino a pochi
secondi fa sembrava divertimento e felicità ora stava prendendo un'altra piega.
La bambina fu pervasa da una forte scarica di paura ed ogni rumore alle sue orecchie aveva
preso la parvenza di un tremendo ruggito. Il fratello la raggiunse sorridendo, poi si
zittì, colpito anchesso da una forte inquietudine che divenne terrore quando
scoprì di non ricordare il punto da cui era giunto.
<Lisa ci siamo persi... e adesso che cosa facciamo? Mamma ci sgriderà...> chiese
spaventato alla sorella.
Lei fece spallucce e indicò una stradina tra le felci morte, mentre la voce robotica di
Buby esortava di nuovo a giocare con lui. Un lieve vento spingeva la latente e bassa
foschia tra i tronchi, rendendola una magica apparizione che sfiorava gli stivali di gomma
colorata dei due piccoli come il fumoso respiro di un drago dormiente.
Rumori lontani parevano il lamento di tombe antiche, rivestite da rampicanti grigi che si
stringevano come a voler tenere prigionieri tra le loro spine coloro che in esse
riposavano.
Una goccia cadde sui nasi dei due fratelli e piano altre la seguirono, alimentando una
leggera ma fastidiosa pioggia. Il terriccio sotto i loro piedi parve divenire più molle,
scivoloso e ad ogni passo vermi scuri uscivano, facendosi largo tra le foglie morte per
ritorcersi e poi svanire di nuovo nella terra umida. Lisa prese per la mano il fratellino
trascinandolo in un sentiero che doveva portare sicuramente dai genitori. Stringeva ancora
nella manina lorsetto come fosse gli desse un po di coraggio in più.
<Stai tranquillo presto saremo da mamma e papà, è per di qua che siamo venuti.> la
sua sicurezza tradiva una certo nervosismo, data dal fatto che sinceramente non aveva idea
della strada da fare
Non conoscevano quei luoghi, non erano mai venuti in quel bosco a cercare i funghi,
lagitazione si trasformò presto in panico quando si resero conto di annaspare in un
tetro labirinto. Contorni misteriosi si dilatavano sempre più rendendo ogni forma irreale
e mostruosa ai loro piccoli occhi sgranati, persi in un'oscurità soffocante. Le ombre
nella coda dellocchio si moltiplicarono, facendoli spesso girare di scatto, senza
cogliere però la minima presenza. Covi di serpi brulicanti si risvegliarono lentamente,
cominciando a contorcersi dentro le ossa di scheletri ritorti, addormentati tra radici
vecchie di centinaia di anni.
Agguantati dalla paura e dallo sconforto, i bambini cominciarono ad urlare, chiamare i
genitori... nulla, sembrava che tutto fosse avvolto da un misterioso involucro che
attutisse ogni rumore.
Tino scivolò nel fango e cadde in un rivolo di acqua sporcandosi tutto, fece per frignare
ma la sorella lo redarguì categoricamente riuscendo a fargli trattenne a stento le
lacrime. Il sentiero si faceva stretto, affiancato da rovi dalle spine lunghe che
strappavano brandelli colorati dalle giacche dei piccoli, quasi a volerle dilaniare o a
farli desistere dal continuare il loro cammino. I due erano svegli, sapevano bene che non
ci fosse nulla di pericoloso nei boschi, papà glielaveva detto mille volte; lupi e
orsi vivevano tanto lontano da dove erano loro (e ormai erano così pochi...).
Lunica cosa che il loro babbo li ricordava spesso era quella di uscire dalle
boscaglie prima possibile quando stesse per calare il tramonto... già, ma perché era
così importante?
Lisa era stremata e anche Tino sembrava non farcela più, avevano freddo e non sapevano da
quanto tempo stessero camminando. Alla fine Lisa si fermò un momento appoggiandosi ad un
grosso salice ricurvo, nel tentativo di ripararsi un poco dalla pioggia respirando
affannosamente. I loro cuoricini rimbombavano nel silenzio, sospingendo respiri spasmodici
che si condensavano nel buio in un freddo fumo bianco.
In un attimo si scatenò lorrore più insensato e tremendo.
Nellombra Lisa, incrociò il volto del fratello che stava di fronte a lei, lo vide
in un secondo diventare pallido, gli occhi sgrananti e la bocca aperta in un urlo muto.
Il suo ditino si era alzato, indicando tremolante qualcosa alle sue spalle.
Dallalbero dietro di lei vennero dei lievi movimenti, qualcosa stava prendendo una
forma mostruosa dalla corteccia chinandosi sulla piccola. Era come se una forma umanoide,
magra, deforme, dal colore grigiastro, stesse uscendo lentamente dal tronco
dellalbero emettendo un basso rantolo.
La piccola si girò ed emise un lungo urlo che squarciò le rughe della notte come una
sirena. Occhi neri, profondi, simili a tagli la fissavano inespressivi da un volto che
sembrava una parodia orrenda di un viso umano ma senza bocca. Lessere la fissò un
attimo piegando di lato la testa, poi tutti i suoi rami parvero agitarsi come scossi da un
vento freddo.
Poi, la cosa scattò inesorabilmente sulla piccola.
Molte braccia allungate dagli artigli legnosi si scagliarono veloci su di lei, le
penetrarono il ventre e nella cassa toracica sollevandola in aria. Un fiotto di sangue
uscì dalla piccola bocca di lei, mentre il visino diveniva leffige del terrore
supremo. Con un sofferto stridore dalla parte centrale del tronco, si aprì un enorme
voragine irta di zanne lagnose, che sembrava unenorme bocca grondante un nero
liquame. Le appendici uncinate simili a zampe mostruose di ragno, spinsero la piccola
nella mandibola che subito si serrò con un tonfo, lasciando fuori la mano che teneva
ancora stretto lorsetto del fratello -vuoi giocare con me?-, che fu prontamente
risucchiata e ingurgitata dopo pochi istanti.
Per un attimo a Tino parve di sentire la piccola urlare, un urlo che diveniva sempre più
lontano, fino a svanire nel nero.
Era come se la sorella fosse stata gettata in un abisso profondo e senza ritorno. Tino
piangeva fissando la scena, sapeva che non poteva essere vero, eppure era paralizzato dal
terrore dinnanzi quello che gli avevano detto non potesse esistere. La cosa intanto stava
ritornando nellalbero, o meglio essendo lei stessa lalbero, stava riprendendo
le normali e illusorie fattezze con bassi scricchiolii di assestamento.
Il piccolo si girò e si mise a correre allimpazzata, come nemmeno alle corse
allasilo faceva. Pioggia, lacrime e fango si mischiavano sulle sue gote distorte dal
panico. Propaggini aguzze e spuntoni legnosi, sfregiavano il suo volto liscio macchiandolo
di sangue giovane mentre fuggiva disperatamente.
Dietro di lui cosa poteva esserci, che cosa annaspava nel buio dietro la luce della
realtà? Gli tornarono in mente tutti i racconti di mostri e di bambini mangiati vivi,
tutte sciocchezze gli avevano detto, solo fantasie gli avevano detto, solo storie per
fargli paura e farlo stare buono... ma ora lui sapeva che non era così!
Intanto correva allimpazzata cercando disperatamente di scorgere una luce o un
segnale di salvezza.
Allimprovviso nello scrosciare della pioggia, sentì la voce di sua madre che li
stava chiamando, era salvo e si mise anche lui a urlare in preda alleuforia. Tra
ramificazioni rade poteva scorgere le luci dellauto pronta a partire e anche se non
li vedeva, sapeva che lì cerano anche i suoi genitori ad attenderlo. Ancora poco e
li avrebbe riabbracciati, bastava un piccolo sforzo ancora. Racimolò tutte le sue energie
e si scagliò allimpazzata verso la salvezza incurante dei rami che lo ferivano, del
fango freddo sulle manine e sul viso. Sentiva già labbraccio di sua madre e i
rimproveri per essersi allontanato, ma non gli importava, lunica cosa che voleva era
uscire da quel luogo orrendo.
Solo un piccolo ruscello si parava tra lui e la strada, di corsa lo stava attraversando
quando qualcosa si impigliò nella sua scarpa e lo fece cadere a carponi nel mezzo del
basso corso dacqua. Sentì molto freddo al contatto con lacqua e cercò subito
di rialzarsi... fu allora che vide... tra il fango sotto di lui, cera quella
mostruosa cosa. Nel buio, in una trentina di centimetri dacqua stava disteso un
corpo nudo del colore del muschio, magro, scarno, osceno. Quel volto mostruoso aprì di
scatto occhi bianchi e vuoti e una mano artigliata ghermì la faccia del piccolo
portandola sottacqua quel tanto che bastava a non farlo respirare.
Una voce stridula si insinuò nei suoi pensieri: <Tu sei nostro... nostro... come tua
sorella...>
I piccoli polmoni si riempivano dacqua, il corpicino si dimenava allimpazzata
ma nulla sembrava in grado di strapparlo alloscuro destino.
Pochi minuti e il piccolo giaceva senza vita, nel basso e fangoso corso dacqua - si
può affogare anche in 30 cm dacqua -
Tentacoli scuri e viscidi lo avvolsero, portandolo sotto il letto melmoso del torrente per
farlo svanire per sempre.
La notte era calata, i rumori della natura ripresero soffusi e tutto tornò di nuovo
(falsamente) quieto.
Nei giorni seguenti a nulla valsero gli appelli dei genitori a giornali e programmi TV, a
nulla valsero le ricerche di carabinieri e polizia.
Lisa e Tino erano stati fagocitati dal bosco, dalle sue forze antiche e addormentate o
forse solo dalle loro paure celate divenute reali.
In verità la selva freme di energie primitive, esseri dormienti increspano raramente la
realtà, agitando le loro escrescenze dentellate, ma quando lo fanno sono portatori di una
terribile morte. Al tramonto si aprono varchi che la mente non può conoscere, ogni cosa
diventa reale e cacciatori ancestrali bramano per anime giovani e carni succulente.
Quante volte i due fratellini avevano avuto orrendi mostri sotto al letto che li
sfioravano i volti con le loro lingue velenose, o un diavolo che li pressava il corpo
dando quella sensazione angosciante nella notte, o un agglomerato scuro nellangolo
della loro cameretta che si contorceva silenzioso. Quante volte prima di accendere la
luce, soli nelloscurità, erano attorniati da miriadi di bocche dentate che
ghignavano a pochi centimetri dai loro visi ignari.
Coloro che dormono tra le pieghe della notte sapevano che sarebbero venuti un giorno, loro
sapevano che sarebbero stati carni per le loro fauci, loro lo sentono sempre.
Aspettano preparando i loro artigli, in silenzio, immobili, difesi dalle ombre della notte
e dallincredulità delluomo.