Siamo
nell'anno del Signore 1918, e bisogna ancora credere nei mostri!
Io mi sono trovato invischiato in un'orrenda situazione, ne sono rimasta vittima, e ora i
miei nervi mi stanno abbandonando la mente e le membra.
Ho quarant'anni, almeno credo, non rammento più. Prima ero in guerra, credo che l'abbiano
nominata La Grande Guerra, interessa quasi solo l'Europa, ma ho sentito che altra gente ha
voglia di venire a farsi massacrare con noi. Noi non ricordo più cosa sia
"noi", forse gli amici, i parenti, ho solo un vago ricordo di queste parole,
quando le tiro fuori da quell'oscuro buco che è la mia memoria, vengono subito collegate
a facce sorridenti di uomini e donne, di sole, di strade, di non riesco più a ricordare.
Mi ricordo bene solo due cose: il mio ferimento, e il posto lurido e maleodorante in cui
sono stato rinchiuso, forse per l'eternità.
La data la ricordo solo perché collegata al mio ferimento, ma ora ho perso da molto tempo
la nozione del tempo, qui non esiste la luce del giorno o della luna.
Il mio nome mi è sconosciuto, ma penso, di provenire da un paese di nome Francia.
Combattevo non so dove nel nome della Francia, contro un nemico che si chiama Gergagnia, o
Germania; ci avevano insegnato ad odiarla, dovevamo uccidere tutti loro, e anche i loro
alleati. Noi avevamo molti alleati, ma non eravamo forti abbastanza, e ci stavano
massacrando con robe tossiche, che ti uccidono con convulsioni e soffocamento, e le
maschere erano poche.
Io ero in buona salute, e così fui mandato al temuto fronte. In buona salute, ma per quel
che ricordo, non sapevo nemmeno tenere uno di quegli arnesi che lanciano palline dure.
Ero in una lunga buca scavata con le pale, penso siano le trinchee, e si vedeva ovunque
fumo e pezzi di corpi, anche bruciati, l'odore era nauseante, e avevo fame e sete. Poi
arrivò della gente, miei amici credo, che ci incitò a correre addosso al nemico con i
grossi cosi corazzati che sparavano palle enormi che ci stavano a fianco.
Anche dalle zone davanti a me arrivavano uomini e cosi corazzati che sparavano. Il rumore
era assordante, e quando mi girai a chiedere qualcosa all'uomo che mi aveva urlato di
andare avanti, trovai solo il suo braccio per terra con una grossa buca lì vicino. Allora
cominciai a correre, e tra i proiettili che mi sibilavano sulla testa, uno mi prese una
gamba, e barcollando sino a una trichea, mi buttai dentro di essa e svenni.
Poi, semi cosciente, distinsi una parola: "questo va bene". Ma ora sembra più
un sogno.
Quando mi svegliai veramente, pensai di essere morto, e di trovarmi al cospetto di Dio
giacché era completamente buio. Ma il dolore alla gamba era reale, perciò mi dissi che
ero vivo. Osservai il posto: non c'era luce, ed allora cominciai a tastare in giro.
Mi accorsi subito di avere un polso stretto in un anello di ferro collegato al muro
tramite una lunga e pesante catena che faceva rumore ad ogni movimento del mio braccio.
Strisciando, sentii che il rumore della catena provocava un forte eco, perciò mi resi
conto di essere in uno spazio grande, spoglio e chiuso. Il pavimento era umido e viscido,
per di più freddo. Esso era composto da grossi massi squadrati e incastrati uno vicino
all'altro piuttosto rozzamente, dato che c'erano dei piccoli sassolini tra le fessure. Ne
presi una manciata e tornai al posto del mio risveglio strisciando carponi. Da lì mi
sedetti con la schiena poggiata al muro, e cominciai a lanciare i sassolini.
Dall'intervallo di tempo che impiegavano a sbattere contro la parete e dalla potenza del
mio braccio, dedussi che la lunghezza della stanza era di circa una ventina di metri,
anche se ora non ricordo più quant'è un metro.
Finite queste constatazioni, cominciai a camminare lateralmente, con le mani appoggiate al
muro. Mi accorsi che la stanza era circolare, e i muri, come il pavimento, erano umidi e
rozzamente costruiti. Tornando indietro sempre con le mani appoggiate al muro, trovai il
coso di ferro attaccato al muro, in cui entrava la catena che mi tratteneva. Da lì
camminai nel verso opposto da dove ero andato prima, e fui felice di trovare una grossa
brocca d'acqua e un piatto con carne e frutta secca. "Dunque qualcuno deve
esserci" mi dissi.
Mangiai la frutta e andai avanti con la mia esplorazione. Dopo pochi passi, inciampai in
un ostacolo che si ruppe subito. In ginocchio, presi in mano qualche pezzo di quella cosa,
uno di essi era tondo, e tastandolo dedussi con orrore che era un teschio umano. In un
attimo i miei nervi saltarono, e mi allontanai dallo scheletro, andando verso il centro
della stanza, ma inciampai in un altro scheletro che era stato brutalmente fatti a pezzi
prima che io ci cadessi sopra. In quel momento la follia si impadronì di me, e correndo
sbattei contro al muro, svenendo.
Quando mi riebbi, cominciai a ragionare: la parola ricorrente era "prigioniero".
Ma il posto doveva essere un'antica sede di tortura medievale, o qualcosa di molto simile,
dopotutto la Francia ne aveva molte di simili. Ma il motivo del perché fossi stato
portato lì, mi era sconosciuto.
Bevvi un po' di acqua, tirai ancora un po' di sassolini. All'improvviso uno di essi
sbatté contro qualcosa di massiccio. Era presumibilmente al centro della stanza, perciò
mi era impossibile avvicinarmi ad esso. Tirai sassolini da una parte e dall'altra per
calcolare la lunghezza del blocco con l'udito, e mi sorpresi nel constatare che era lungo
almeno cinque metri, e alto tre. Mi domandai che aspetto avesse. L'unico indizio sulla sua
composizione era che tirando sassi in certi punti, colpivo del vetro, che dal rumore
doveva essere assai spesso. Poi cominciai a lanciare sassi in alto: per toccare qualcosa
dovevo usare tutte le mie forze. Il soffitto era in parte fatto di travi, poiché quando
un sasso le colpiva c'era un tonfo sordo.
Allora mi feci una chiara idea di dove mi trovavo: ero in una stanza, molto rozza e umida,
al centro della quale c'era un grosso blocco; non entra mai la luce, e cosa più
importante è pieno di scheletri, alcuni dei quali distrutti.
A quest'ultimo pensiero mi vennero i brividi pensando a come potevano essere stati uccisi
quegli uomini. Ma ci doveva essere qualcuno. Qualcuno che porta del cibo.
Dopo che mi fui svegliato da un sonno di incubi, mi accorsi che mi avevano rifornito di
acqua e cibo. Bevvi ancora e mangiai la carne e cominciai a girare intorno in cerca di
altri indizi. Le mie mani trovarono solo ossa e vestiti rinsecchiti.
I vestiti mi diedero un'idea: avrei potuto bruciarne un po' appiccando fuoco con le
scintille che scaturivano dallo sfregamento di un sasso contro la parete, d'altronde anche
in guerra lo facevamo, anche se non ricordo per cosa.
Presto le mie speranze e illusioni furono amaramente sbriciolate dalla realtà: come ho
già detto, le pareti erano umide e vischiose, perciò nessuna scintilla fu prodotta.
Allora mi sdraiai e attesi che il sonno s'impossessasse di me, concedendomi così una
tregua.
Fui svegliato da un rumore proveniente dal centro della stanza, un rumore simile ad un
cigolio, come l'apertura di un vecchio coperchio, soltanto che il coperchio in questione
doveva essere molto pesante. Qualcosa stava uscendo dal blocco in mezzo all'arena. I miei
occhi erano abituati al massimo a quell'oscurità e sebbene nessuno spiraglio di luce
trapelasse dai muri, mi parve di scorgere una mostruosa figura uscire dal blocco e
strisciare molto lentamente verso la parete. Io rimasi sdraiato, col sangue troppo gelato
dal terrore persino per riuscire a svenire. Sentivo alle volte gli sbuffi della cosa,
sentivo le ossa che si spezzavano sotto le sue zampe, sentivo il battito forsennato del
mio cuore. Poi mi si drizzarono i capelli sentendo l'indicibile rumore provocato dalla
catena mossa dal mio braccio. Ma non avvertii variazioni: la creatura era completamente
sorda.
L'orrore non durò molto, infatti dopo poco, la cosa si ritirò nel blocco molto
lentamente. Poi svenni. Quando mi risvegliai, ricominciai a pensare con sangue freddo,
come avevo sempre fatto sino ad allora.
Il blocco che è in mezzo alla stanza, è una tomba, ornata con vetri; dentro di essa c'è
una creatura sorda, ceca e probabilmente priva d'olfatto, lo supposi dal fatto che con
l'olfatto mi avrebbe già individuato. Dedussi anche che quella cosa era il motivo per il
quale ero stato imprigionato lì. Dovevo trovare qualcosa per difendermi, allora cominciai
a tastare bene dappertutto cercando una qualsiasi arma con la quale difendermi: la mia
gioia culminò nello trovare un lungo pugnale stretto nella mano di uno scheletro
distrutto. Ora avevo qualcosa con cui difendermi.
Mangiai e bevvi tutto, per essere in forze con l'inevitabile incontro col mostro.
Attesi, e infine la mia paura crebbe sentendo il cigolio. Ero solo, in un posto
sconosciuto, buio e in compagnia con un misterioso essere intenzionato sicuramente ad
uccidermi spinto dalla fame (sicuramente qualcosa doveva mangiare), decisi di vendere cara
la mia pelle.
Il mostro si muoveva, sempre lento, e lo sentivo venire verso di me. Mi preparai.
Probabilmente il mostro doveva avere solo il senso del tatto, non facevo altro che sentire
i suoi artigli toccare il pavimento, e quello del gusto, ma non volevo scoprire anche
quest'ultimo.
Sulla vista mi sbagliavo, infatti pochi metri davanti a me si fermò e cominciò ad
arrampicarsi sulla parete. Sulla parete! Come le lucertole!
Infine giunse vicino a me a testa in giù. Era talmente vicino che potei sentire il suo
alito fetido come mille carogne. Non persi tempo e pugnalai quell'abominio su quello che
pensai fosse il collo. Non potrò mai descrivere il suo grido, come quello di tutti i
pipistrelli e demoni di questa terra, che lanciò dal dolore. Colpii una seconda volta, ma
lui si ritrasse, e non vedendo niente, detti un forte colpo alla parete, sprizzando le
tanto agognate scintille che andarono a bruciare per alcuni secondi la stoffa secca, e
illuminando così l'orrendo posto. Pensai veramente di essere finito all'inferno, e mi
chiesi perché il Signore lasci che i suoi figli vivano certe esperienze.
Come immaginai l'ambiente era in pietra, ed era un'arena. Gli scheletri erano veramente
molti, alcuni corpi erano mummificati e appesi alle pareti con le due mani, il posto era
enorme, e al centro di esso si ergeva una tomba col coperchio aperto, essa era ornata in
modi incredibili, c'erano figure mostruose, simboli in cristallo e altri ornamenti; la
tomba era ispirata al terribile gotico, con punte rivolte verso l'alto, e sporgenze ai
lati.
Ma la cosa peggiore era l'essere che mi si parava davanti e agitava le grottesche
caricature di quelle che dovevano essere delle braccia: i suoi occhi erano bianchi, con
una minuscola pupilla nera, erano sempre spalancati, e odiavano la luce. La pelle putrida
era di un colore marrone marcio, ed era cascante sul collo, ma la vera cosa impressionante
era la stazza e la testa: il corpo era poderoso, muscoloso e magro, con le ossa in
evidenza; la testa somigliava a quella tipica allungata di un'animale simile all'uomo,
penso che si chiami gorilla. Le orecchie erano due buchi nella testa, e le labbra del muso
allungato erano tirate e scoprivano quattro enormi canini lunghi e affilati.
Invece di svenire, o provare terrore, mi venne solo rabbia e furia vedendo che era
consentito vivere ad una simile creatura. Mi lanciai verso di lei, ma essa mi morse una
gamba e sentii la vita succhiata via: mi stava dissanguando. C'era ancora luce, perciò mi
buttai sulla sue sesta e cominciai ad accoltellare dove pensavo fossero i punti vitali, ma
il mostro-vampiro mi buttò a terra e si apprestò ad azzannarmi di nuovo. Questa volta
fui più veloce io, e le squarciai il petto sino al cuore. Con un rantolo la bestia cadde
morta.
Svenni di nuovo per lo shock e per la perdita di sangue e anche per il lezzo del suo
sangue immondo che mi impregnava i vestiti.
Mi sentii trasportato, spogliato e messo a giacere. Ora avverto che i miei sensi si
affievoliscono sempre di più, il mio corpo sta cambiando, ho perso i denti, ma penso che
verranno rimpiazzati da ben altro. Presto la mia mente sarà soppiantata dall'animale che
stà nascendo in me, e finirò per strisciare fuori dalla tomba in cerca dell'uomo
scalciante e urlante che avevo sentito qualche tempo fa.