E allimprovviso tutto è diventato buio e nero, le stelle sono scomparse; solo il
rumore tranquillo delle onde, lodore del mare, e una luce lontana lontana lungo la
riva.
Non so perché sono qui, non so cosa cerco, cosa voglio, mi scopro a camminare verso
quella luce distante, i piedi nudi nella sabbia umida, la brezza marina sul volto...
Cammino lento per minuti e guardo alla mia sinistra, gli ombrelloni chiusi e le sdraio
ripiegate, e prima che me ne renda conto arrivo su questa spiaggia. Di nuovo in questo
luogo, circondato da scogli e rocce...
La mia spiaggia.
La spiaggia delle estati adolescenti, delle prime e più vere emozioni, la spiaggia dei
giorni che non torneranno più.
Fisso la luce lontana, quella da cui sono così attratto, e mi sento stanco, stanchissimo;
non mi va di riprendere a camminare, preferisco sedermi qui, in questo luogo familiare, a
bere dal boccale del mio passato.
Giocherello con dei sassolini, li getto in mare e li osservo colpire lacqua, lascio
che la schiuma delle piccole onde mi solletichi i piedi.
Mi sto ubriacando di ricordi, ebbro di passate gioie e dispiaceri, quando
allimprovviso sento qualcosa alle mie spalle.
Una presenza silenziosa. Eppure conosciuta.
Mi volto lentamente, senza paura, senza curiosità.
E la vedo.
La vedo e non ci credo.
E lì in piedi, a pochi passi da me, identica alla prima volta che posai i miei
occhi soli su di lei, quando minnamorai allistante.
Sono passati anni da quel giorno, eppure il tempo per lei sembra essersi fermato; mi
guarda splendida con occhi tristi e verdi, si sposta lenta e dolce verso di me, si siede
al mio fianco, sfiorandomi.
Guardiamo insieme il mare nero di fronte a noi; sembra in pace con se stesso.
Lei non dice nulla, forse in attesa che sia io a parlare per primo.
Resto muto, lo sguardo fisso nelle onde, la testa sballottata da una tempesta di domande
senza risposta e riflessioni incerte.
Vengo risucchiato da un vortice di ricordi formato dalla sua vicinanza, trascinato
nellabisso dellestate del nostro primo incontro, bevo acqua salata intrisa
delle ore passate a raccontarci e parlare, del mio innamoramento, dal suo cortese rifiuto.
Forse dovrei alzarmi ed andarmene, scappare via da lei, tornare a muovermi verso quella
luce; eppure qualcosa mi trattiene qui, seduto.
Annaspo nel passato, soffoco, mi dibatto nel timore di nuove sofferenze, nel terrore di
essere ancora senza difese di fronte a lei, pronto per essere riconquistato
dallamore, dallossessione, dalla speranza, e poi devastato dal rifiuto e dal
dolore.
Confuso, riesco finalmente ad alzarmi in piedi; osservo il mare, poi la luce, e cerco di
non pensare a lei, in attesa ai miei piedi...
Poi ecco di nuovo che monta quella sensazione, qualcosa che mi spinge alla luce, che mi
spinge a scappare, qualcosa a cui ora non posso resistere. E questa volta scappo, corro
via veloce, verso non so che cosa...
Fuggo via da lei, dai ricordi, dal passato, e mi sembra di essere in fuga da sempre, di
evitarla dallultima volta che lho vista, anni fa.
Ma verso cosa sto correndo?
Il cuore pompa e le gambe vanno veloci, ma la distanza tra me e quella luce non sembra mai
diminuire: ben presto mi stanco, mi blocco col fiatone, piagato in due dalla fatica.
Crollo in ginocchio sui sassolini bagnati. Chiudo gli occhi, annuso laria e il mare
e gli scogli tuttintorno a me.
Ascolto in silenzio. Il mio respiro, le onde, i passi leggeri sulla spiaggia.I suoi passi.
Mi ha seguito fin qui.
Riapro gli occhi e la osservo mentre mi si siede vicina.
Non smette di contemplarmi con quel suo sguardo triste e profondo, uno sguardo che mi pare
più che familiare; scavato nella mia mente poco alla volta, lì impresso per sempre.
E uno sguardo che mi sembra di aver visto centinaia di altre volte in centinaia
daltri luoghi, ma non ricordo dove, non ricordo quando. La luce da un lato, lei
dallaltro, le rocce dietro di me, il mare di fronte.
Mi sento come se dovessi prendere una decisione importante senza conoscere nulla riguardo
al problema. Mi sembra di aver passato tutta la mia esistenza in questa situazione.
Mi spoglio nudo, senza vergogna o esitazioni, guidato dal momento, ed entro in mare,
lasciando che lacqua mi abbracci calda e mi sollevi da terra, rilassandomi
completamente; baciato dalle onde, accarezzato dal vento della notte, illuminato dalla
luce lontana, il mio pensiero è su di lei, su quello che cè stato tra noi, sul suo
sguardo misterioso.
Mi tormento nel tentativo di ricordare dove lho visto, cercando di stabilire perché
mi sembra così importante saperlo. Lei rimane in silenzio, senza risposte da darmi; io
nuoto un po.
Minterrogo sul significato di quella luce lontana, di questa spiaggia, del passato.
E comincio a ridere, tanto la situazione mi sembra assurda.
Anni prima lei nuotava assorta ed io restavo muto ed esitante a guardarla dalla riva, e
già lo sapevo, già lavevo capito che mi avrebbe detto di no, eppure rimanevo
sempre fino alla fine del suo bagno, le sorridevo quando usciva, gentile, sognante...
Al tempo bastava questo per farmi sentire vivo.
Le risate muoiono nostalgiche nellaria, il mare e il vento notturno cominciano a
diventare troppo freddi. E poi cè la luce lontana che mi chiama. Insistente.
Mi trascino fino a riva, tagliando in due col mio corpo lacqua lucida e buia,
specchiandomi nel suo nero impietoso.
Vedo il mio volto, e scopro dove ho già visto quello sguardo triste.
Lo vedo da sempre, da quando ho coscienza di me stesso, ogni volta che mi osservo allo
specchio: uno sguardo lacerato, vuoto, alla ricerca di vita, di qualcosa che sembra non
esserci mai stato.
Adesso comprendo e capisco, e sul mio volto il sale marino si mischia con quello delle
lacrime; scivolano lente fuori dai miei occhi, se ne vanno per sempre.
Cerco il suo volto, la vedo sorridere verso di me come ho sempre sperato sorridesse.
Ogni dubbio o esitazione sparisce; mi volto a fissare la luce lontana e la percepisco
inutile e fredda, ingannevole e fatua. Cè solo lei adesso, lei ed il suo nuovo
sguardo gioioso e vitale.
Vado da lei, vado a scaldarmi tra le sue braccia, vado ad amarla come non ho potuto fare
in passato.
Vado finalmente ad essere felice.
Le macchine si spengono, la sala si fa improvvisamente silenziosa.
"Ora del decesso?"
"3 e 23"
I medici si tolgono di dosso i guanti insanguinati e li gettano via; se ne vanno,
amareggiati e dispiaciuti, lasciando le infermiere a finire il lavoro.
"Ad un certo punto sembrava potesse farcela."
"Era messo male. Abbiamo fatto tutto il possibile."
Il cadavere viene coperto da un telo bianco, portato via.
Nessuno vede il sorriso sul suo volto.