Luca non
riusciva a dormire quella notte di giugno del 1986, e non avrebbe più dormito. Allungò
la mano in cerca della lampada del comodino, la trovò. La luce lo disturbò
costringendolo a chiudere gli occhi, occhi che non riusciva a tenere chiusi non appena
l'oscurità reclamava il suo spazio al giorno.
Luca seduto con le spalle appoggiate al cuscino, meditava, pensava, rifletteva, ma non
c'era niente a cui pensare. La fame era l'unico istinto che lo spingeva a svegliarsi, o
meglio a non addormentarsi. Quella notte, la camera era piccola, angusta, ma soprattutto
insopportabile. Gli dava l'impressione di una cella, una maledetta cella da cui evadere,
scappare, spaziare verso altri luoghi, spazi aperti.
Affacciatosi dall'unica finestra Luca poté ammirare la vallata circostante, così senza
spazi, così grande, così aperta. L'occhio socchiuso della luna faceva l'occhiolino. Luca
ne era attratto, era come se la luna lo invitasse ad uscire all'aperto per essere
finalmente libero. La stessa luna che con il suo freddo lenzuolo bianco gli indicava la
strada.
Un grillo iniziò il suo concerto notturno, se ne aggiunsero altri, e poi ancora. I grilli
pensò Luca, spensierati, sereni, ma soprattutto liberi. Il concerto proseguiva, e la
luna, prima buia coperta da una nuvola schiarì per mostrare tutto il suo splendore, una
luce fredda, malinconica, tetra, ma allo stesso tempo invitante e provocatrice.
La vallata circostante era un invito ammiccante
Luca non riusciva a resistere.
Balzò sul davanzale con il suo pigiama a righe
A righe come le divise che
indossavano i detenuti nei vecchi film in bianco e nero. Pensò.
Era arrivato il momento di scappare, fuggire dalla realtà, dal quotidiano, dal nulla. Era
il momento giusto per evadere. La luna, le poche stelle, il buio e i grilli sarebbero
stati gli unici testimoni di quel gesto. Luca non voleva uccidersi, non l'aveva mai
pensato, la sua voleva essere solo una fuga notturna, un giro, e perché no, una
scappatella. Luca però sapeva che sarebbe dovuto tornare prima che il dispotico re sole
avrebbe reclamato il suo spazio alla timida luna. Aspirando la fresca brezza notturna si
gettò. La schiena gli faceva male, l'atterraggio non era stato dei migliori, l'erba sotto
il davanzale della finestra era umida, anzi bagnata. Ma era libero, a Luca solo quello
interessava. Il contatto umidiccio con l'erba non gli dava fastidio. La sensazione era
paradisiaca, era a contatto con la fredda terra, con l'erba e con la brina notturna
la natura così com'era stata creata.
Alzando lo sguardo al cielo poté sorridere alla luna, che era sempre lì, sempre
ammiccante, sempre pronta ad illuminargli il cammino senza dare nell'occhio, con
discrezione come solo lei sapeva fare.
L'aria era fresca, forse un po' troppo, ma Luca n'era felice, la preferiva alla fittizia
puzza di chiuso di quella cella. Si mise in piedi e la frescura dell'erba sotto i piedi
scalzi lo invogliavano a calpestare nuove zolle di fresco. Era sconcertato di come la
notte fosse complice e silenziosa. A Luca piaceva la notte, non era invadente, non era
prepotente, non era buffona, come il dispotico sole. Luca continuava a percorrere la
vallata che sembrava non avere fine, il suo occhio non riusciva a vedere molto lontano,
perché la sorniona luna gli illuminava solo quello che voleva, mentre gli celava con la
complicità di grossi alberi e cespugli, altre zone. Presumibilmente pericolose pensò
Luca.
Fame, fame, sembrava gridare il suo stomaco. Il cibo non era in casa, Luca lo sapeva, ma
il suo stomaco non ne voleva sapere di ragioni, il suo stomaco viveva d'istinto, solo di
quello, solo di fame, tanta fame, tanta che a volte gli faceva male pur di attirare la sua
attenzione. In quei momenti Luca doveva cercare qualcosa da magiare anche contro voglia,
ma doveva in qualche modo placare l'ira del mostro che aveva dentro, una creatura che
viveva solo per mangiare
solo quello sapeva fare.
Un rumore destò la sua attenzione, qualcosa si era mosso in un buio cespuglio alle sue
spalle, l'essere rumoroso sbucò fuori. Era un grosso coniglio che allarmato dalla
sinistra ombra di Luca si era destato.
Fame, Fame, Fame, reclamava lo stomaco. Luca non poté resistere al richiamo incantato
della creatura che viveva lì giù in fondo. Alla vista dell'animale, la creatura che
aveva dentro si era svegliata, e lui non poté far altro che ubbidire all'istinto. Prese
ad inseguire il coniglio. L'animale accortosi del pericolo, fuggiva, correva, non avrebbe
immaginato che Luca volesse mangiarlo, ma scappava perché la paura, emozione senza
ragione, glielo ordinava. La stessa paura che spingeva Luca a corrergli dietro a piedi
nudi attraverso la vallata. Il coniglio era molto più veloce del ragazzo, che dopo un po'
quando l'aria cominciava a mancare si fermò. Respirava a bocca aperta. L'animale era
scomparso inghiottito dalle tenebre della notte, sgattaiolato in qualche cespuglio, o più
semplicemente stava continuando a correre. Lo stomaco reclamò furiosamente piegando in
due il povero ragazzo, come per volerlo ammonire per l'insuccesso ottenuto.
Luca sentiva che il giorno, accompagnato dall'amico sole, non sarebbe tardato ad arrivare.
Non voleva essere visto con il pigiama a piedi scalzi passeggiare per i prati. Diede uno
sguardo alla casa, gli sembrava un mostro con un solo occhio infuocato
la finestra.
Si era allontanato un bel po' e adesso doveva sbrigarsi prima che il sole si affacciasse
dietro le irte colline, non voleva che lo vedesse, non voleva che nessuno lo vedesse! A
passo svelto calpestava l'erba umida, i piedi erano gelidi, non li sentiva più. Allungò
il passo verso la casa girandosi per vedere se il sole lo stesse spiando
non ancora,
il giorno era ancora in attesa, ma da lì a poco avrebbe preso il posto della notte, gli
spettava di diritto, e né Luca, i grilli, e la luna avrebbero potuto impedirlo. La casa
era vicina, ma bisognava trovare il modo di risalire sulla finestra, la grossa porta era
sbarrata, Luca avrebbe dovuto arrampicarsi su per la finestra. Niente da fare, l'apertura
era troppo in alto. Una grondaia poco distante gli fu amica. Luca si arrampicò senza non
poche difficoltà su per la tubazione, fino a potersi aggrappare al davanzale
dell'apertura. Giusto in tempo pensò. Mentre chiudeva le ante della finestra riuscì con
la coda dell'occhio ad intravedere i rossi capelli del re sole. Adesso avrebbe potuto
dormire, il suo confortevole letto lo aspettava, il giorno era fatto per dormire, per non
essere visti, per riposare. Ma Luca aveva fame, tanta fame. Sapeva che avrebbe dovuto
aspettare la notte successiva per cibarsi. Si adagiò nella cassa, sistemò il cuscino e
chiuse. Prima un rumore gridante di cardini, poi un tonfo echeggiarono nell'aria di quella
mattina.