Il
condominio era decisamente troppo tranquillo.
Beppe, che abitava al primo piano di una palazzina che arrivava fino al settimo, non poté
fare a meno d'ignorare questa stranezza. A dire il vero, essendo agosto, inizialmente
Beppe aveva immaginato che magari gli altri condomini erano in vacanza, ma a pensarci bene
quest'ipotesi non era del tutto convincente. Possibile che le tredici famiglie che
abitavano la palazzina fossero partite per le ferie tutte insieme? A parte Antonio, il
portiere, che abitava in un bilocale al pian terreno, da parecchi giorni Beppe non
incontrava anima viva per le scale, per non parlare poi della totale assenza di
qualsivoglia rumore. In un condominio dalle pareti spesse come un foglio di carta, dove si
sentiva anche una scoreggia, un silenzio così assoluto era oltremodo preoccupante.
<Poco male!>, pensò Beppe, stappandosi una lattina di birra gelata appena tirata
fuori del frigo, <Dato che stanotte non ho mai chiuso occhio a causa del caldo torrido,
approfitterò di quest'insolita tranquillità per concedermi un breve riposino>.
Il letto era ancora sfatto, reduce dalla nottata insonne del suo occupante; Beppe vi si
coricò, lasciando cadere pesantemente la testa sopra al cuscino. Per un paio di minuti
tenne la lattina di birra in equilibrio appoggiata sulla fronte, in cerca di un po' di
frescura, poi, quando il braccio iniziò a dolergli, la appoggiò sul comodino e chiuse
gli occhi.
Erano da poco passate le tre del pomeriggio quando finalmente si addormentò, ma il suo
sonno fu bruscamente interrotto da un rumore sordo e continuo proveniente dal piano di
sopra. Lentamente aprì gli occhi, spostando lo sguardo sul piccolo orologio da parete
appeso sopra la porta, e con disappunto capì di aver dormito solamente per una decina di
minuti.
<Ti pareva!>, bofonchiò stiracchiando le proprie membra per tutta la lunghezza del
capezzale, <Non vola una mosca per una settimana e nel momento che decido di riposarmi
ecco che qualcuno inizia a fare baccano!>.
Sopra al suo appartamento c'era quello della famiglia Camponese, composta da padre, madre,
suocera e tre marmocchi schifosi, d'età compresa tra i cinque e gli otto anni. Forse
erano tornati da poco dalle vacanze, anche se Beppe, che abitava in quel palazzo da molti
anni, ricordava che non si fossero mai concessi un solo giorno di ferie, soprattutto a
causa della vecchia che non sapevano dove sbattere.
Intanto, lo sgradevole suono continuava; Beppe intuì che probabilmente la fonte era un
aspirapolvere.
Dopo parecchi minuti trascorsi ad ascoltare l'aggeggio infernale che andava avanti e
indietro per la stanza, sbattendo rumorosamente addosso al mobilio, Beppe si rassegnò;
probabilmente, per la signora Camponese quello era il giorno delle grandi pulizie, perciò
tanto valeva rinunciare ai propositi di addormentarsi. Ritornò in cucina e si sedette
sulla poltrona, poi accese la tv ed iniziò a seguire distrattamente una vecchia puntata
di Hazard.
Ora, entusiasmarsi per le avventure di due deficienti come Bo e Luke, in una giornata in
cui l'afa faceva grondare litri di sudore da tutto il corpo, già di per sé era alquanto
improbabile; se a questo aggiungiamo il frastuono di quel maledetto aspirapolvere, che nel
mentre si era spostato proprio sopra la cucina, capirete come l'attenzione di Beppe finì
ben presto del tutto distolta dal telefilm in questione.
<E che cazzo!>, sbraitò volgendo gli occhi al soffitto, come se l'imprecazione
fosse dovuta arrivare direttamente a chi maneggiava quel dannato elettrodomestico.
Il volume della televisione era al massimo, ma ancora non era sufficiente a sovrastare il
fragore prodotto dall'aspirapolvere. Beppe spense il televisore scagliando con violenza
addosso al muro il telecomando, il quale finì per frantumarsi in decine di piccoli pezzi.
<La tv non è l'arma più appropriata per combattere questo baccano assordante!>,
proferì al culmine della sopportazione, <conosco un modo migliore!>.
Detto questo, Beppe si spostò in salotto, da dove fece di lì a poco ritorno portando con
sé una voluminosa cassa dello stereo, che appoggiò nel mezzo del pavimento della cucina
col cono rivolto verso l'alto. In breve, anche la seconda cassa fu disposta sul pavimento
accanto all'altra, e una volta collegati i fili allo stereo, i seicento watt di potenza
esplosero in direzione dell'appartamento dei Camponese.
Inizialmente, la voce vibrante di Letfield, leader indiscusso dei Metallica, sembrò avere
la meglio sul cupo rimbombo del fottuto marchingegno, ma l'illusione non durò a lungo; in
pochi secondi il poderoso ruggito del mostro crebbe d'intensità fino a riportare la
contesa a favore dei Camponese, e anche oltre.
Beppe, con un'ultima mossa disperata, ruotò la manopola dello stereo fino in fondo, ma fu
inutile: in quanto a decibel, l'aspirapolvere era decisamente più potente. Esauste per
l'immane sforzo compiuto, le casse esplosero una dopo l'altra, lasciando Beppe del tutto
indifeso alla mercé dell'elettrodomestico.
Sollecitata dalle tremende vibrazioni, la finestra del salotto finì in frantumi, sparando
nel cortile sottostante migliaia di minuscole scaglie di vetro, le quali atterrarono in
mezzo all'erba rilucendo alla luce del sole come diamanti.
Beppe si portò le mani alle orecchie, nel tentativo di ripararsi i timpani che gli
facevano un male pazzesco, quindi corse a rifugiarsi nella stanza da letto, dove ficcò la
testa sotto il cuscino.
Dopo un poco, tuttavia, la situazione ritornò alla normalità; il fragore
dell'aspirapolvere divenne nuovamente sopportabile e le orecchie smisero lentamente di
causargli dolore. Se non fosse stato per il vetro mancante, Beppe avrebbe pensato di
essersi sognato tutto.
<Sono pazzi!>, pensò, incapace di spiegarsi quello che era appena accaduto,
<Sono pazzi da legare! Possibile che nessuno abbia sentito niente? Ma dove sono finiti
tutti gli altri condomini?>.
Occorreva pensare alla svelta ad una soluzione. Di salire a controllare Beppe non ci
pensava minimamente, pertanto decise di provare a telefonare. Il numero dei Camponese non
era segnato nella sua agenda, ma nell'elenco lo trovò senza alcuna difficoltà. Annotò
le cifre con una biro su un pezzetto di carta, quindi alzò il ricevitore e chiamò.
Nel mentre l'aspirapolvere (o colui che lo stava usando) sembrava decisamente impazzito;
Beppe lo sentiva spostarsi freneticamente da una stanza all'altra, sbattendo con violenza
addosso ai mobili e alle pareti.
In mezzo a tutta quella confusione, egli dubitò che qualcuno avrebbe sentito il telefono
suonare, tuttavia, dopo il primo squillo, il bidone smise di agitarsi, facendo ripiombare
la palazzina nel consueto innaturale silenzio.
Beppe rimase in ascolto per un buon minuto, durante il quale nessuno si decidette a
rispondere
poi, improvvisamente, l'aspirapolvere riprese a funzionare.
Per prima cosa si sentì il rumore di uno schianto, come se un grosso mobile fosse stato
rovesciato sul pavimento, quindi le vibrazioni si fecero di nuovo insopportabili,
costringendo Beppe a tapparsi le orecchie per la seconda volta. I vetri della credenza
finirono in frantumi, ed una grossa crepa iniziò a formarsi nel soffitto, facendo
staccare numerosi pezzetti d'intonaco.
Certamente un semplice elettrodomestico, per quanto potente, non poteva essere in grado di
produrre un simile frastuono; con i timpani che iniziavano a sanguinare, Beppe uscì nel
pianerottolo e salì le scale due gradini alla volta, deciso a capire cosa stava
succedendo.
Continuando a premersi l'orecchio con la mano sinistra, con la destra chiusa a pugno
iniziò a sferrare dei violenti colpi sulla porta di legno massiccio dei Camponese,
finché non si accorse che questa era già aperta. Una leggera spinta gli fu sufficiente
per spalancarla del tutto, rivelando l'atrio in penombra dell'appartamento; Beppe entrò,
e nello stesso momento intorno a lui si fece silenzio.
Nonostante il buio, egli notò subito un particolare alquanto strano, e cioè la totale
assenza dell'arredamento; il corridoio era totalmente privo di mobilio, così come le
altre stanze che si riuscivano ad intravedere. Senza difficoltà individuò l'interruttore
della luce e lo accese, illuminando l'atrio fino in fondo. E proprio di fronte a lui,
dall'altra parte del corridoio, ebbe la conferma dei suoi sospetti: una lunga appendice
tubolare terminante ad imbuto, che si dipanava dal tozzo corpo centrale come una
proboscide, era appoggiata alla parete. Il diabolico oggetto era appena stato deposto dopo
l'uso, ma di colui che l'aveva utilizzato non v'era nessuna traccia.
Beppe avanzò cautamente di qualche passo verso l'elettrodomestico, cercando di non farsi
cogliere di sorpresa; arrivato abbastanza vicino da poterlo quasi toccare, con un gesto di
stizza afferrò la spina e, con un deciso strattone, la staccò dalla presa di corrente
nella quale era infilata, cautelandosi così da altre rumorose esplosioni di follia.
Fu a quel punto che una paurosa deflagrazione di decibel lo colpì come un pugno in pieno
viso, mandandolo violentemente a sbattere contro la parete; non fece neppure in tempo a
rialzarsi che l'arto di plastica lo aveva già afferrato per una gamba, aspirandone
all'interno dell'imbuto la scarpa sinistra. Con una reazione disperata, dettata da un vero
e proprio istinto di sopravvivenza, Beppe riuscì a divincolarsi dalla forte stretta e a
riguadagnare l'uscita; senza neppure voltarsi indietro corse giù per le scale e, una
volta rientrato nel suo appartamento, chiuse la porta a chiave dietro di sé.
Il fragore, intanto, aveva raggiunto picchi di furia inaudita; attento com'era ad evitare
i frammenti dei vetri superstiti che andavano in frantumi, probabilmente Beppe non si
accorse della porta che cedette con uno schianto
probabilmente non si accorse
neppure dell'aspirapolvere impazzito che era entrato nell'appartamento, se non quando
questi iniziò a risucchiarlo all'interno del suo stomaco d'acciaio
Alle undici di sera il bidone riprese a funzionare.
Antonio, il portinaio, che era stato assente per tutto il pomeriggio (la domenica era il
suo giorno libero), ritenne che quella non era l'ora più adatta per fare le pulizie,
perciò s'infilò la vestaglia sopra al pigiama ed iniziò a salire le scale.
La porta dell'appartamento di Beppe era aperta
Antonio entrò e vide che mancavano i mobili