La voce delle anime vaganti

Deserto del Nevada, 400 miglia a sud-est di Carson City, 7 aprile 1999, h 9.30

 

Solitamente sull'altopiano del Nevada picchia un sole fortissimo e quel giorno non faceva eccezione, a parte forse per la presenza di qualche piccola nuvola e di una leggera brezza che rinfrescavano l'aria.
Regnava un'insolita pace accompagnata dal sibilo di alcuni serpenti quando una jeep attraversò la zona. A bordo della jeep verdastra l'agente del FBI George McDowell batteva le mani sul volante al ritmo dei Pink Floyd. McDowell, 38 anni, si era vestito utilizzando vecchi abiti: i pantaloni, gli stivali e la giacca neri si intonavano con gli occhiali da sole; attraversò una zona ricca di cactus sotto il sole cocente ed accelerò appena fu superata.
Tre mattine prima il suo capo Miles O'Connell gli aveva spiegato con precisione ogni punto della missione, McDowell si ricordava ancora le sue parole: "George, la missione è semplice, una piccola visita ad un ex avamposto dell'esercito, abbandonato dal 1979, per recuperare un plico, niente di più."
Il viso di George aveva cambiato espressione in quel momento assumendone un'altra che O'Connell conosceva bene: "Scommetto che vuoi sapere cosa contiene quel plico." lo anticipò il capo "Beh, mi dispiace ma è Top Secret."
Quando l'espressione dell'agente federale raggiunse il culmine dell'imperturbabilità O'Connell decise di continuare: "George, tu sai meglio di me che quando c'è di mezzo l'esercito io ho poco potere! Ufficialmente l'esercito non è a conoscenza dei documenti all'interno del plico e quindi l'affare non è più militare ma federale, e tocca a noi rimettere a posto le cose! Tu hai esperienza e capacità, sei il miglior offerente in un'asta di smidollati!"
"E questo fa di me l'agente più adatto?" O'Connell gli rispose sillabando la parola per risaltare la risposta: "CERTAMENTE".
McDowell osservò gli occhi del suo capo: "Mi faccia vedere la pianta dell'edificio, per favore."
Non aveva capito perché O'Connell avesse scelto proprio lui; George aveva intravisto numerose contraddizioni nel discorso del suo capo come, ad esempio, il fatto che lui stesso fosse considerato uno dei migliori agenti a disposizione di O'Connell e che quest'ultimo l'avesse scelto per una missione così semplice. McDowell sapeva che c'era qualcosa di diverso sotto a tutto questo ma decise di non approfondire e di eseguire la missione.
Arrivò a destinazione cinque minuti dopo il dovuto, a causa di una deviazione effettuata per evitare i resti di una frana, probabilmente avvenuta qualche giorno prima; scese dalla jeep e osservò, dopo essersi tolto gli occhiali da sole, la struttura che si erigeva di fronte a lui: si trattava di un edificio alto per lo più 30 metri e diviso, secondo la piantina, in cinque piani collegati tra loro tramite una serie di rampe di scale. Il colore con cui l'edificio era stato pitturato era ormai scomparso a causa degli anni, dell'originale tintura era rimasto solo un marroncino sbiadito. Le finestre erano per la maggior parte distrutte o comunque danneggiate e attraverso di esse si poteva vedere l'interno dell'edificio.
"Il classico edificio abbandonato" pensò fra sè McDowell mentre spegneva l'autoradio e tirava fuori del cassetto del cruscotto una P229S, pistola fuori commercio che gli era stata gentilmente "fornita" da un amico: "Non si sa mai..." disse a bassa voce.
Sentiva il sole picchiare sul suo collo e gli abiti neri non lo aiutavano di certo, decise di affrettarsi.

Si diresse a passo veloce verso l'entrata posteriore dell'edificio aiutandosi con la piantina; mentre camminava, la leggera brezza ed il suo passo facevano danzare ad un ritmo irregolare la giacca nera aperta provocando un leggero, inquietante fruscio che rovinava la calma ed il silenzio di quel luogo sperduto.
McDowell arrivò alla porta posteriore del palazzo senza alcuna difficoltà, prima di aprirla la esaminò con cura e notò nei cardini arrugginiti come nella serratura segni di scasso, come se qualcuno fosse già entrato nell'edificio dopo l'abbandono da parte dei militari.
McDowell entrò facilmente; estrasse dalla tasca della giacca una piccola torcia e la accese, attraversò un corridoio buio con pareti logore per poi arrivare ad un'altra porta, anch'essa arrugginita e forzata, la aprì e si ritrovò alla base della tromba di scale di emergenza.
L'aria all'interno dell'edificio non era viziata a causa delle finestre in pratica inesistenti, tuttavia George ebbe un'insolita difficoltà nell'adattarsi a quel nuovo ambiente.
Secondo le istruzioni di O'Connell George si diresse all'ultimo piano attraversando una serie di rampe per lui infinita, al secondo piano, quando comparvero le prime finestre, George spense la torcia e se la rimise in tasca; arrivò al quinto piano madido di sudore, un po' per la fatica ed un po' per la strana aria umida e pesante che si era andata creando. Si ritrovò in una stanza molto ampia con le pareti in uno stato decisamente pietoso: all'interno della stanza, a sinistra, vi erano tre poltrone disposte in modo circolare dalla pelle ormai ridotta a brandelli; a destra invece vi era una scrivania occupata da una serie di macchine da scrivere ormai inutilizzabili.
McDowell arrivò alla porta che conduceva alla stanza successiva senza però controllare eventuali segni di scasso, la aprì. La stanza era molto più piccola della precedente, sembrava per lo più uno studio, a dir la verità l'intero edificio non assomigliava per nulla ad un ex avamposto dell'esercito e questo McDowell l'aveva notato. George esaminò la scrivania sul fondo della stanza in tutti i suoi angoli, aprendo ogni cassetto e sollevando numerosi strati di polvere senza però trovare niente. Ricontrollò una seconda volta e questa volta notò un piccolo pezzo di carta fuoriuscire dal fondo di uno dei cassetti: tirò fuori il cassetto e dal doppio fondo di quest'ultimo estrasse il plico. Guardando quell'oggetto McDowell si sentì come risollevato dal fatto che ora poteva andarsene da quell'edificio, che in un qualche modo lo aveva turbato. Infilò il plico nella tasca interna della giacca, uscì dallo studio e si ritrovò nella stanza precedente, ripercorse tutto il tragitto al contrario e si ritrovò di nuovo all'esterno dell'edificio. D'un tratto la roccia sotto di lui cedette, McDowell lanciò un urlo di spavento tentando di aggrapparsi all'estremità del terreno ancora intatto ma fu inutile; il salto fu interminabile.
Si rialzò dopo pochi minuti, con la schiena ancora dolorante, si guardò attorno e poté riconoscere una stanza rettangolare, non molto grande con attaccati alle pareti una serie di tubi che conducevano ad un unico macchinario arrugginito posto in un angolo semibuio: "Dev'essere la caldaia" disse McDowell a bassa voce; controllò la piantina tenendo la sua piccola torcia in bocca e si accorse che quella parte della struttura non era indicata. Controllò di nuovo, inutilmente, e si rassegnò all'idea che doveva trovarsi un'uscita da solo; esaminò ancor più attentamente la stanza sfruttando sia la luce che proveniva dall'apertura sopra di lui sia quella della sua piccola torcia.
Girò su se stesso per tre volte per poi notare una piccola fenditura creatasi nella parete alla sua sinistra; la esaminò con cura, guardò oltre ad essa e vide un passaggio, stretto ma comunque accessibile. La fenditura era troppo stretta per George così, quest'ultimo, decise di staccare da una delle pareti un tubo e utilizzarlo come leva per allargare la fenditura. L'operazione durò poco tempo e George non fece molta fatica, essendo la parete totalmente arrugginita. Non appena la fenditura fu abbastanza larga, George buttò il tubo dietro di sè ed entrò nel passaggio che aveva a poco a poco creato.
Superata la fenditura George si ritrovò in un lungo corridoio, molto basso e stretto; con la torcia in mano, l'agente attraversò l'intero spazio che gli si presentava davanti: quel piccolo corridoio aveva le pareti di metallo, stranamente non arrugginito, e sembrava piuttosto lungo. George, non curandosi di una porta alla sua destra, continuò accelerando il passo ad ogni metro percorso e ad ogni metro percorso sentì l'aria appesantirsi su di lui come un compressore che gli impediva di respirare. La fine del corridoio era ancora più piccola ma non inaccessibile, George dovette inginocchiarsi per passare. Si ritrovò in un luogo alquanto insolito, una stanza enorme, dalle pareti metalliche non arrugginite e totalmente vuota; quel luogo era talmente grande e vuoto da far rimbombare persino il respiro di McDowell, ma il vero problema era il buio totale. La piccola torcia che George aveva portato con sè risultò inutile in uno spazio così aperto, perciò l'agente fu costretto ad esaminare la stanza angolo per angolo: quando si accorse che non vi erano porte o comunque aperture cominciò a tastare la parete nel tentativo di tornare al corridoio di prima; a pochi passi dall'entrata udì un sibilo, come di un flauto suonato senza coprire alcun foro, all'inizio non ci fece caso ma quando il suono divenne più forte George si girò: "C'è qualcuno?" gridò. Nessuna risposta, solo quel suono che continuava ad aumentare, e man mano che aumentava si trasformava in stridio, ed infine in urlo. Quell'urlo non smosse di un centimetro McDowell spinto a restare in quel luogo più che altro dalla curiosità; l'agente puntò la torcia al centro della stanza, sapendo che era del tutto inutile, ed infatti il risultato che ottenne fu soltanto l'aumentare di quell'urlo.
Questa volta George non stette a guardare, si girò e rientrò nel corridoio; correndo raggiunse la porta che in precedenza non aveva aperto, la aprì, ma quell'urlo lo seguiva e si faceva sempre più forte, tanto da costringere McDowell a coprirsi le orecchie. Chiuse la porta dietro di sè si ritrovò in un altro corridoio, più largo del precedente e dalle pareti di metallo arrugginito, sentiva che era sulla strada giusta; correndo si accorse che quell'urlo, trasformatisi in un insieme acuto di grida, lo stava ancora seguendo. Inciampò, cadde a faccia in giù, ferendosi il volto; per rialzarsi fu costretto a girarsi dall'altra parte e quello che vide fu terribile: "Mio Dio!" esclamò George dalla paura.
Tirò fuori la pistola dalla fondina e scaricò tutto il caricatore senza nemmeno prendere la mira, gli urli aumentavano d'intensità, tirò fuori l'altro caricatore ma prima che potesse inserirlo nella pistola sentì un'incredibile fitta allo stomaco, poi alla gamba destra ed intanto gli urli aumentavano ancora.
Si rialzò a fatica, riprese a correre come poteva mentre quegli urli lo seguivano, inciampò di nuovo, questa volta senza ferirsi, si rialzò e si girò indietro per valutare la distanza tra gli urli ma il suo sguardo cadde sulla causa della sua caduta: "Maledizione, non è possibile!". Lì a terra due agenti dell'FBI che George conosceva bene, Robert Malcolm e Bryan Grant, senza vita con lo sguardo ancora inorridito dal terrore. Senza indugiare oltre McDowell riprese la sua fuga ma quegli urli lo seguivano e si facevano sempre più vicini. George era madido di sudore per la corsa, il suo battito del cuore aveva raggiunto un ritmo frenetico e non solo per la fatica.
Nonostante la stanchezza l'agente dell'FBI continuò la corsa, si toccò la parte dolorante della gamba e quando riportò indietro la mano si accorse che era insanguinata. Senza badare al dolore e alla fatica della corsa George si concentrò sugli urli che gli stavano sovrastando la mente, non si accorse da dove arrivavano e in ogni caso non gli interessava, voleva solo uscire da lì VIVO.
Vide delle scale, una porta, ma non si fermò per paura che lo raggiungessero, la aprì con una spallata e si ritrovò fuori dell'edificio, gli urli si allontanavano, la paura diminuiva.
McDowell si allontanò il più velocemente possibile e non appena raggiunse la jeep si tolse la cintura dei pantaloni, la legò più stretta che poteva vicino all'emorragia alla gamba destra e partì. Poche miglia dopo la sua vista cominciò ad annebbiarsi, sentì girare la testa ed andò a sbattere contro delle rocce. Si ritrovò fuori dell'abitacolo di guida, steso sul cofano sfondato a causa dell'incidente; pensò al suo capo Miles O'Connell che lo aveva mandato in quell'edificio a morire, non ne capì il motivo ed utilizzò le sue ultime forze per tirare fuori della tasca della giacca il plico, lo alzò più in alto che poté e gridò: "Missione compiuta, bastardo!"

Paolo Cortese