La regione
che attraverserai nei prossimi giorni, straniero, è bella e terribile. La terra è secca
e riarsa dai raggi del sole pochi arbusti e qualche ciuffo derba ingiallito
costituiscono tutta la sua vegetazione, ed ogni tanto vedrai biancheggiare le distese di
antichi laghi salati. Non pensare tuttavia ad una distesa piatta ed uniforme: al
contrario, il paesaggio è scandito da bizzarri pinnacoli di pietra erosi dal vento, che
spesso assumono le forme più fantastiche. Spesso li vedrai traforati da cunicoli e
gallerie, certo non di origine naturale. Non mi chiedere chi o perché si assunse il
compito di scavare la roccia e di creare labirinti sotterranei che scivolano nelle viscere
della terra. Si dice che alcuni dei pozzi più profondi risalgano a prima del Diluvio,
così come certe delle iscrizioni che compaiono in cima ai picchi più inaccessibili.
Secondo alcuni, una razza dimenticata di maghi, che stava per essere sommersa dalle acque,
decise di affidare la propria sapienza a queste scritte. Non so se è vero, e ignoro se,
come altri aggiungono, alcuni dei discendenti di Noè siano riusciti poi a interpretare
quei messaggi, dando origine ad una nuova stirpe di stregoni. Ti consiglio però,
straniero, di non avvicinarti troppo ai pinnacoli più solitari durante le notti di
novilunio, e di evitare certe figure silenziose che si intravedono ogni tanto nei pressi
di antichi altari in rovina. Quelle grotte che ricordano le occhiaie di un teschio non
sono fatte per essere esplorate dagli uomini, ed i loro abitanti non sono più di questo
mondo se mai un tempo lo sono stati.
Vedo che non mi credi. Se ti parlassi dei molti viaggiatori che si arrampicarono
incautamente su per le rocce scoscese o che si fecero calare negli abissi più
vertiginosi, e che non sono più tornati, aumenterei certamente la tua curiosità. Non ti
sto raccontando favole per bambini, novelle di mostri e spettri. Cè qualcosa di
sottilmente malvagio là nel deserto, certi sussurri che si fanno insistenti al calar
della notte, pensieri e forme che si insinuano nella mente di un uomo e che, se non ha
lanimo abbastanza forte, lo spingono alla pazzia e alla morte.
Circa cinquantanni fa un giovane monaco, giunto dal Settentrione, proprio come te,
si stabilì in una piccola cella scavata nella roccia. Aveva con sé solo una ciotola,
oltre al rozzo saio che indossava. Mi ricordo che di tanto in tanto qualche abitante dei
villaggi vicini gli portava un po di cibo; molti lo scongiurarono più e più volte
di allontanarsi da quelle gole spettrali, dallaltopiano incrostato dalla polvere del
tempo e dal sale di mari estinti, su cui una volta avevano brillato strane costellazioni.
Lui sorrideva in silenzio, ed a volte aggiungeva che era venuto nel deserto desolato e
inospitale perché era lì che avrebbe sentito più distintamente la voce di Dio.
Cè chi dice che lei sia comparsa una sera, al crepuscolo, allentrata della
sua cella. Per altri sarebbe stato lui attratto da un canto che riecheggiava nella
notte a cercarla. Una volta ho sentito anchio quel canto, dolce ed inebriante
come idromele, antico e seducente come il Serpente dellEden. Alcuni hanno visto
anche lei non mi costringere a darle un nome
Non mi costringere ad evocarla;
i caldei ed i cabalisti, che ne trattano nei loro libri, non immaginano neppure la sua
vera potenza, la bellezza che promana dalla signora incontrastata delle notti illuni e
della landa dai pinnacoli scolpiti dal vento.
I suoi neri capelli sono raccolti in ciocche lucenti ed olezzanti, e la sua pelle levigata
è del colore dellambra che le onde lasciano sulle spiagge di oceani
dimenticati
Gli occhi sono freddi come le rocce smussate dal tempo ed irrorate
dargento in una notte di luna, eppure infinitamente lascivi, come le labbra
dun rosso cupo dietro le quali compaiono denti bianchissimi e crudeli. Il viso nel
suo complesso esprime raffinata ferinità
e tutto il resto della sua figura, quei
seni voluttuosi e inebrianti, quelle anche tornite, emana impudente seducenza. Le parole
non bastano a descriverla
ma forse questo è un bene, amico mio.
La fede del giovane monaco era salda, ma il potere della landa scabra e dirupata e dei
suoi abitatori fu più forte di lui. Cedette, e bevve senza rimpianti dal calice
dellempietà, i cui bordi sono cosparsi di miele dolcissimo, ma il cui contenuto è
mille volte più amaro del fiele.
Quando lei scomparve, un altro sarebbe probabilmente impazzito di dolore. Perché se ne
andò? Forse perché le creature dellabisso, come ci hanno detto i nostri padri,
frequentano luomo solo per carpirgli quello che hanno perso molte ere fa. Lei si
impossessò del cuore e dellanima del giovane, e poi ritornò nei suoi recessi
tenebrosi, sotto laltopiano incrostato di sale.
Un altro, dicevo, sarebbe forse uscito di senno; lui invece, disperato ma lucido, osò
fare quello che a memoria duomo nessuno aveva mai tentato. Si addentrò nei
labirinti più profondi per ritrovarla; si dice che lungo il suo percorso nelle viscere
della terra abbia dovuto affrontare pericoli al di là di qualsiasi immaginazione, e che
più duna volta sia stato sfiorato dal soffio gelido della morte, o di qualcosa che
era peggio della morte stessa. Perse la cognizione del tempo, procedendo a tentoni in
unoscurità morbida e vischiosa, ignorando le voci insinuanti e carezzevoli che
cercavano di attirarlo verso voragini senza fondo e crepacci insondabili. Infine la
trovò, in un ampio salone sotterraneo debolmente illuminato dalla fosforescenza delle
pareti tappezzate di strani licheni.
Pianse, e le gridò che, se gliela avesse chiesta, non avrebbe esitato a farle dono della
sua stessa vita; ed invece lei se ne era fuggita dopo averlo svuotato e depredato, dopo
averlo reso una larva inutile e incompleta. Sapeva di essere dannato, e di non poter più
recuperare quel gli era stato rubato, e soprattutto sapeva che lei non sarebbe più
tornata. Lei rimase in silenzio, guardandolo negli occhi. Lui allora, con la meschina
sfrontatezza della disperazione, lacerato dal rimorso per ciò che aveva fatto, eppure
sottomesso più che mai a quella passione bruciante, gridò di volere qualcosa in cambio
della sua anima
e dopo aver detto questo si accasciò per terra singhiozzando.
Alcuni dicono che quella creatura fresca e desiderabile come una vergine, ed al contempo
corrotta ed inaridita dallo scorrere dei millenni, per un attimo (un solo attimo per tutta
leternità!) abbia avuto compassione; altri pensano che in questultimo gesto
abbia invece rivelato la malvagità cieca e sorda che quelli della sua razza covano da
quando furono esiliati quaggiù. Gli chiese se accettava, come compenso, di conoscere il
segreto della vita; lui assentì, e seppe. Ho motivo di credere che abbia percorso quei
budelli interminabili correndo in preda al panico, urlando e incespicando, impazzito,
adesso, per il terrore di quello che aveva sentito, e che il suo percorso a ritroso fino a
ritrovare la superficie sia stato ben più lungo e tormentato della discesa.
Lo trovai io nella sua cella, mentre pascolavo le pecore che mi erano affidate, dopo quasi
due anni che era scomparso. Aveva la pelle bianca come quella dei lebbrosi, ed i suoi
occhi non vedevano più li aveva bruciati la luce del sole quando era finalmente
riemerso. Probabilmente erano diversi giorni che non toccava cibo né acqua, ed era caduto
in deliquio. Gli accostai un otre alle labbra, e gli versai un po dacqua nella
gola riarsa. Riprese lentamente coscienza, e, per quanto squassato da violenti brividi ed
a tratti delirante, mi raccontò la sua storia. Perse i sensi unaltra volta; temetti
che fosse morto, ma ad un tratto sobbalzò, si mise a sghignazzare e, roteando le pupille
spente, mi gridò: Ragazzo, lo vuoi sapere il segreto che mi è stato dato in cambio
dellanima
il segreto della vita?
Se sono sopravvissuto fino a questa età devo avere per forza un certo istinto di
sopravvivenza; certo è che fui saggio allora, quando fuggii da lui a gambe levate,
tappandomi gli orecchi con le mani, ché certe verità non sono fatte per essere
conosciute dai mortali, e non è senza motivo che Dio ci ha pietosamente fatto nascere
nellignoranza.
Arrivai al villaggio, ed avvertii gli uomini. Partirono immediatamente verso la cella del
monaco, ma, giunti là, non trovarono nulla. Forse avrebbero pensato di essere stati
beffati da un ragazzino, se non fosse stato per la sabbia fine e compatta di cui era
cosparso il fondo della grotta, su cui, in un angolo, era rimasta distintamente impressa
la forma del corpo macilento del monaco. Nessuno ne ha più saputo nulla. Io credo che sia
morto pochi istanti dopo che fui fuggito; cosa poi sia accaduto del suo corpo, è
impossibile da dirsi, anche se alcuni vecchi, allepoca, parlarono del fato oscuro
dei resti di coloro che in vita si erano avvicinati troppo alle gallerie solitarie,
scavate da una razza dimenticata prima del Diluvio.
Non mi chiedere, straniero, di condurti alla cella del giovane e sventurato eremita: molti
anni fa un terremoto lha fatta crollare e del resto io mi sarei comunque
rifiutato. Stai attento nei prossimi giorni, quando traverserai quella regione arida e
disabitata, costellata di pinnacoli da cui si accede a labirinti vietati ai comuni
mortali, ché gli abitatori degli abissi sotterranei sono antichi e malvagi, seducenti e
perversi, e sono in grado di nuocere agli uomini in molti modi, minandone il corpo e
corrodendone lo spirito, talora con linganno e la menzogna, talora con la
verità
e soprattutto, se senti un canto ammaliante e selvaggio echeggiare per le
vallate nelle notti senza luna, non uscire dal tuo rifugio, e che la tua fede sia salda.
Mi chiamo Ruggero Balbo, sono nato nel 1976 e risiedo a Pistoia; nel 2002 mi sono laureato in Letteratura Greca all'Università di Firenze, ed attualmente rimango impegnato nel settore della ricerca. La letteratura horror, così come lo studio di magia, culti e religioni bizzarre e dimenticate, è tra i miei maggiori interessi.