La luna
penetrava gli specchi della casa vetusta, fascinosa e oscura come una bella e pericolosa
donna dalle forme pallide cinte di neri drappi. Nella stanza illuminato dai raggi
spettrali vi era un uomo, un vecchio stanco e stordito dal tempo, un vecchio uomo che non
aveva mai imparato a vivere. La notte incombeva su di lui e ne era nuovamente commosso,
dopo averla rivista innumerevoli volte, ogni volta diversa, ogni volta ammaliante;
perpetua e memorabile, che però lo stordiva come oppio col suo mefitico effluvio,
consumando la sua mente facendosi pagare quel fascino, svanendo crudele, evanescente.
Luomo era inerte sulla sua poltrona, il buio era come un sottile velo, la luna era
alta: enorme. Egli non voleva muoversi, voleva attendere nella tenebra quelloscuro,
avvilente richiamo che aveva tormentato la sua lunga vita, lignota malia che si
susseguiva nei suoi lunghi anni. Era assorto dal felpato tocco della notte, ogni suono era
musica, il silenzio era musica.
Eppure anchesso assordante, perpetuo, che si avvicinava allo splendore di una mente
in delirio. Nel silenzio il vecchio udì un flebile suono, quasi un lamento che danzava
lugubre nella notte. Acuì il suo udito, cercò nel silenzio e udì nitido lo spettrale
verso, come lambito da un sogno oppiaceo lo ascoltò lungamente, si confuse con la sua
mente e penetrò con violenza dentro di lui, sfuggente e allo stesso tempo lento, morboso.
Poi il diafano velo che gli appannava gli occhi si allargò fluttuante e magico ed egli
guardò fuori, viveva in una foresta, i pini erano unimmensa massa nera, un maestoso
monumento di tenebra. Il suono si udiva ancora, ed egli lo seguì lentamente, scese la
rampa di scale di legno e lo scricchiolio delle travi marce fu il primo rumore che carpì.
Tanto era vecchio che le sue ossa apparivano nitide, era nudo, e la sua pelle era simile
ad un velo diafano posato sul suo scheletro fragile, il suo passo era inquietante,
leggero, spettrale.
Apri luscio di casa e uscì nella notte gelida, nudo sembrava un fantasma, seguiva
il suono che gli gelava le membra più del vento tagliente, vicino esso risuonava
invadente mentre la luna illuminava il di lui corpo bianco rendendolo fulgido. Fu invaso
da un fremito quando intravide il bianco fautore di quel verso, come un barbaro idolo una
grande capra belava ammantata dalla tenebra. Attendeva luomo, e quando egli giunse
cessò il suo verso fatato.
La capra avanzò, gli zoccoli si udivano nel silenzio, forse un cimitero lontano cantava.
Luomo guardò lanimale negli occhi, riconobbe una luce, una luce che non aveva
mai visto negli occhi di nessuna capra; erano freddi e spietati, selvaggi e affascinanti
come quelli di un lupo. Lanimale avanzò ancora con decisione flemmatica, e lui si
sedette in terra, nudo, senza comprendere ancora perfettamente, pervaso da un malsano
flusso di sangue che avvampava il suo cervello seducendolo a morte. Sentì il gelo
carezzargli la nuda pelle, violentarlo; un amplesso sclerotico con la natura si compì, un
intimo, violento abbraccio ove egli era schiavizzato e ucciso dal piacere delirante di
quel contatto con la sua epidermide. Poi un nuovo elemento si aggiunse alla violenza
masochista di quellaccoppiamento, piovve, prima flebilmente eccitando il suo
patetico corpo che giaceva tra le foglie morte, poi con fervore, pesantemente,
flagellandogli le membra; riempiendogli la bocca mentre lasciva lacqua strisciava
sulla sua pelle, perpetua essa cadeva colpendolo dal cielo e suoi sensi erano accesi da
quelle letali, dolcissime lacrime.
Nellestasi impetuosa di quella maestosa mescolanza il suo corpo sporco da larghe
chiazze di fango fu scosso da un gelido tocco, il naso dellanimale giunto sin lì
con regale flemma annusava ora lentamente e con violenza le sue carni. Il suo cuore pulsò
ancora più velocemente, riecheggiando nella sua mente, assordandolo col suo irruente
battito. Ma la paura non vinse il vetusto fascino, il male, vivo, faceva quel che voleva
della sua pelle, costringendolo allobbedienza donandogli oscuro piacere. La capra
morse un suo scheletrico fianco in modo inquietante, la poggia si mescolò al sangue e
lanimale salì su di lui sanguinante, patetico lui sospirava al di sotto di esso che
consumava latto blasfemo muovendosi spasmodico sopra di lui. Il belare appariva come
una sinfonia di convulsi gemiti che sacrileghi sergevano accompagnati dal ritmo
della pioggia.
Egli in terra stringeva a sè lanimale con deboli forze sentendo un mefitico alito
caldo, penetrava la capra e sentiva sparire piccoli soffi di vita, essa invece appariva
incessante e quella turpe scena ormai si consumava da lunghi attimi.
Luomo sentì la sua mente estraniarsi dal corpo straziato dai denti quadrati
dellanimale che belava inquietante su di lui, poi provò un fisico affanno e la
morte, la sua vita svaniva evanescente e morbida come fumo sulle ali del peccato.
La capra belava ancora infierendo sul suo cadavere immoto, lanciando ancora quello
straziante suono nella notte, violando quelle spoglie mortali sacrilegamente, con
ossessione e perversione animale scempiava quel corpo morto, con truculenta e macabra
passione.