Oggi è il
gran giorno. Ho consumato l'ultimo pasto. Ho ricevuto la benedizione del cappellano. Ho
lasciato scritto cosa fare delle mie cose.
Le guardie mi scortano per i lunghi corridoi, pronte a reprimere ogni mia possibile
disperata reazione. Non ce ne sarà nessuna. Non ne ho la voglia. Non ne ho le forze.
Vent'anni di mura grigie e di cibo scolorito me le hanno tolte.
Sopra la tuta arancio i ceppi mi mordono alle caviglie e ai polsi, braccia tese mi
sospingono, sguardi attenti mi controllano; io voglio solo che tutto finisca presto.
Veleno nelle mie vene. Dissolvenza in nero. Addio.
Quando passiamo per il corridoio C mi blocco, e le guardie si bloccano con me.
Fanno per trascinarmi via, ma poi capiscono; capiscono e mi lasciano qui, immobile, a
contemplare per la prima volta dopo vent'anni d'isolamento il mondo al di là delle
finestre e delle mura. Il mio sguardo si perde nel verde degli alberi e nell'azzurro del
cielo, accecato dalla bellezza del sole e illuminato dai gialli, dai bianchi, e dai viola
dei fiori.
"Ha appena smesso di piovere" mi dice uno dei secondini. Annuisco e sorrido,
rapito.
Chiudo gli occhi. Inspiro a fondo. Mi sembra quasi di poter sentire l'odore profondo della
terra bagnata. Quando apro gli occhi vedo nascere nel mezzo del cielo un magnifico
arcobaleno; alto e magico, mi riempie di colore come quando ero bambino e la vita era
facile e gioiosa.
Il mio tempo è finito. Vengo spinto via tra calde lacrime.
Fa freddo nella stanza del sonno eterno.
Sdraiato sul lettino, inchiodato da cinghie e lacci, ho l'ago mortale già infilato nel
braccio, guardo al di là del vetro protettivo e aspetto l'inizio della fine.
Il direttore del carcere appare nervoso e deluso: l'esecuzione che ha messo in scena non
sembra essere uno spettacolo ambito, e in molti hanno defezionato.
Scruto tra i volti dei pochi presenti alla ricerca del senatore che ha respinto la mia
richiesta di grazia, del presidente della giuria che mi ha condannato, dell'avvocato che
non è riuscito a difendermi, di coloro che mi hanno tradito e consegnato alla polizia, di
quelli che hanno testimoniato contro di me.
Li cerco ma non li trovo.
Solo mia sorella è presente, seduta in disparte e con una maschera triste sul volto.
E' venuta a farmi compagnia, a portarmi il suo ultimo regalo. Regge in mano un mazzo di
rose, ognuna di un colore diverso. Ne conto sette. Sette come gli assenti alla mia
esecuzione. Il mio piccolo arcobaleno di morte.
Sapevo di poter contare su di lei.
La guardo. Le sorrido.
Poi è solo il buio.